In Belgio ha aperto la prima galleria di biodesign al mondo, e in questi giorni è in trasferta a Milano
A cavallo tra promozione artistica e consulenza, la nuova galleria con base a Bruxelles scommette sul design del vivente come opportunità per rigenerare materiali, applicazioni e immaginari. La storia di Aleor, che espone a Labò durante la design week

Chiediamo spesso al design di essere un agente di cambiamento. Affinché ci riesca, desideriamo non solo che promuova l’innovazione, ma che sia lui stesso a cambiare, senza limitarsi a rilanciare la novità o, peggio ancora, le variazioni di stile. La maggior parte delle volte, però, la delusione è cocente: al di là delle intenzioni, il design sa essere passivo, mostrando una resilienza tutta sua, quella di chi muta la pelle per rimanere uguale a sé stesso. E se qualche accelerazione arriva ogni tanto a sorprenderci, finiamo in genere per constatare che si tratta di una goccia nel mare delle sfide che ci stanno già mettendo in discussione. Sogniamo radicalità, insomma, come risposta ai problemi globali, ma ci troviamo di fronte ad agenti isolati che operano in ordine sparso e in senso contrario.
Aleor: il biodesign all’esame di maturità
Eppure, ogni tanto ci sono esperienze che convergono nella medesima direzione. Prendiamo ad esempio il fenomeno del biodesign, che abbiamo visto emergere nel corso degli anni Dieci e che oggi sembra aver raggiunto la maturità per un cambio di scala. Certo, questo termine ombrello è abbastanza ampio da includere attitudini diverse, che vanno dalla manipolazione genetica hi-tech alla sostenibilità dei materiali in chiave low-tech. Niente toglie, però, che questo resti uno degli ambiti più promettenti non solo per la sperimentazione speculativa, ma anche per toccare finalmente con mano applicazioni concrete, pronte al salto di scala o alla contaminazione di riflessioni ed attitudini con settori attigui.

Dal prototipo al pezzo di collectible design
Fresca di lancio, Aleor Craft & Biodesign è la prima galleria al mondo a focalizzarsi sul biodesign. La fondatrice, la curatrice belga Nathalie Guiot, ha lavorato per oltre dieci anni sul tema dell’arte ecologica con la sua Fondazione Thalie. Con sguardo laterale, Guiot intuisce il potenziale legato alla promozione in ambito artistico del biodesign. “Tutto è iniziato con la mia ultima mostra alla Thalie Foundation, intitolata «Regenerative Futures», che ha riunito circa cinquanta creatori in bilico tra arte e design. Volevo offrire un’esperienza, la dimostrazione che oggetti o mobili possono essere progettati in modo virtuoso, senza esaurire le risorse naturali, ad esempio usando materiali quali alghe, micelio e pelle di insetti. La mostra ha riunito una comunità di artisti e designer che non solo sostengono la rigenerazione attraverso le loro pratiche e i loro media, ma che si interrogano allo stesso tempo sui futuri possibili. Questo mi ha dato l’idea che questi oggetti, presentati come prototipi, dovessero essere diffusi per evolversi in oggetti da collezione. È qui che è nata l’idea di dare vita ad Aleor”.
Aleor. Oltre il collezionismo
Acronimo di “Aware, low tech, ethic, open-minded, raw”, Aleor incarna un approccio che privilegia l’intervento localizzato e contingente, più prossimo ad un passato riattualizzato al contemporaneo che ad un futuro da R&D fantascientifica. Eppure, per una sorta di doppia natura che sembra donarle una marcia differenziata, la galleria guarda oltre il perimetro del collezionismo nel biodesign per integrare nelle proprie attività anche una costola dedicata alla consulenza su metodi, immaginari e potenzialità applicative di questo campo. Alexia Venot, che della galleria è direttrice esecutiva, spiega infatti che Aleor “serve anche come proof of concept per ampliare le soluzioni. I designer hanno una capacità unica di definire i materiali di domani attraverso i loro oggetti e le loro narrazioni. Tuttavia, il divario tra questi universi lungimiranti e le industrie attuali persiste”.

La lezione di Bruno Latour e la partecipazione al fuorisalone
Presentata ufficialmente all’ultima edizione di Collectible, fiera dedicata al collezionismo del XXI Secolo con epicentro a Bruxelles, Aleor porta alla design week milanese i lavori di Tony Jouanneau, Marlène Huissoud e Diana Scherer. L’installazione, dal titolo Scale of Life, è realizzata in partnership con Mycoworks, azienda americana specializzata nella produzione di Reishi, materiale a base di micelio destinato alle filiere della moda e dell’arredo, e vanta la scenografia di Patrick Laffont Delojo, storico collaboratore di Bruno Latour. Un nome, quello del grande intellettuale francese, che fa eco e agisce come un monito: fino a quando potremmo opporre resistenza ad un cambiamento che diventa imprescindibile, soprattutto se abbiamo gli strumenti per operare in maniera diversa?
Giulia Zappa
Labò 2025: Crafting Tomorrow, Rising Ideas
Fondazione Rodolfo Ferrari
Via Biella, 6 fino all’11 aprile
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