A Milano durante il Salone c’è una mostra sugli arredi delle carceri

L’architettura e l’arredamento delle carceri erano una sorta di “buco nero” dei discorsi sulla progettazione: qualcosa che esiste ma non si vede mai. Una mostra allestita nei tunnel sotto i binari della Stazione Centrale di Milano li racconta in maniera intelligente

Gli oggetti e gli elementi di arredo che ritroviamo nei tunnel di Dropcity dedicati alla mostra Prison Times – Spatial Dynamics of Penal Environment sono simili tra loro e allo stesso tempo differenti. Raggruppati per tipo come in una tassonomia, hanno una qualità ossessiva che può ricordare le serie fotografiche di Bernd e Hilla Becher esposte alla Fondazione Prada (per la mostra Typologien, fino al 14 luglio), se non fosse che al posto dei serbatoi idrici, delle cisterne e degli altri impianti industriali immortalati dai coniugi tedeschi qui abbiamo un’infilata di porte blindate, tavoli, vassoi per il cibo, brande e sanitari solitamente fuori dalla portata degli osservatori comuni perché nascosti tra le mura  delle carceri di diversi paesi del mondo. La ricerca sugli ambienti penitenziari prodotta dal centro per l’architettura e il design che sta nascendo all’interno dei Magazzini Raccordati, e che dovrebbe presto aprire le porte al pubblico in maniera più stabile con una biblioteca, una materioteca e un coworking innovativo, è certamente affascinante, ma prima di tutto necessaria. 

In carcere il controllo del corpo passa anche attraverso l’architettura e gli arredi

La popolazione carceraria italiana, ci ricordano gli organizzatori, è di circa 61mila persone, un po’ più degli abitanti totali di Viareggio e poco meno di quelli, per esempio, di Olbia o di Cosenza. Se questi numeri vengono citati di frequente, spesso con un intento populistico e accompagnati all’invocazione a pene più repressive, della realtà spaziale della prigione e della concreta vita quotidiana al suo interno – delle persone vere, in carne e ossa, insomma – non si parla quasi mai. L’analisi di Dropcity, puntuale e approfondita, si articola in tre capitoli con finalità distinte: uno di questi è la mostra, che occupa un’area di oltre 1500 metri quadri, pari a cinque tunnel, e invita a riflettere su come le scelte in materia di architettura e di design possano incidere sull’esperienza di chi trascorre tutto il proprio tempo in un contesto così particolare e su come il controllo e la coercizione siano presenti a tutti livelli nell’esperienza dei detenuti, a partire dalla postura e dai movimenti del corpo. 

©piercarloquecchia DSL studio
©piercarloquecchia DSL studio

La “giornata tipo” del detenuto: il progetto sulla vita in carcere a Dropcity

A scandire gli spazi sono i momenti della giornata-tipo delle persone private della libertà, la “metrica fondamentale dell’incarcerazione” secondo gli organizzatori, poiché “manipolare la percezione del tempo è una delle strategie utili a mantenere la disciplina”: il consumo dei pasti, l’essere sotto osservazione, l’igiene personale e il sonno. Il primo tunnel è invece riservato all’ingresso e alle porte, i “pezzi” dalla portata simbolica più forte, dal momento che rappresentano la soglia tra il mondo fuori e il microcosmo del carcere. Gli altri due pezzi del puzzle sono un libro, che presenta gli stessi oggetti prendendo in esame dettagli più tecnici come i parametri di sicurezza richiesti per ogni categoria di prodotto, e un programma di dibattiti su temi legati all’attualità sociale e politica.

Il design carcerario: oggetti senza firma e controversi

Abbiamo iniziato la nostra ricerca un anno fa, ci è sembrato importante far emergere un tema urgente del quale però non si sa quasi nulla”, spiega la curatrice Giada Zuan. “Ci siamo voluti allontanare un po’ dall’impostazione classica della design week milanese, molto legata a un concetto di design autoriale, e ci siamo spostati verso l’estremo opposto: la ricerca dei progettisti anonimi degli spazi di questi ‘quartieri’ sui generis e di questi oggetti che, come si vede nella mostra, incorporano funzioni molto specifiche riguardo al controllo dei corpi e dei loro movimenti. Perfino le azioni per noi più scontate come il mangiare o il bere in carcere sono sottoposte a delle restrizioni”. Il percorso è completato da una serie di box che permettono di approfondire altri aspetti della realtà carceraria con l’aiuto di videomaker, artisti e studiosi. Due inchieste di Altraeconomia, per esempio, fanno il punto sul consumo di psicofarmaci nelle prigioni italiane, mentre l’installazione audio Countering Risks: John, David, Edward di Tomas Percival esamina il funzionamento dell’Offender Assessment System (OASys), un database usato in Inghilterra e in Galles per valutare la pericolosità dei singoli detenuti e decidere quali sono le forme di sorveglianza più adatte a loro.

Giulia Marani

Prison Times – Spatial Dynamics of Penal Environments
Fino al 31 Maggio, dalle 11 alle 19
Dropcity, tunnel 42-140, via Sammartini, Milano

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Giulia Marani

Giulia Marani

Giornalista pubblicista, vive a Milano. Scrive per riviste italiane e straniere e si occupa della promozione di progetti editoriali e culturali. Dopo la laurea in Comunicazione alla Statale di Milano si specializza in editoria a Paris X-Nanterre. La passione per…

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