Per una nuova geopolitica della moda in Italia
Evoluzioni spontanee di un Paese ancora al primo posto nella stima mondiale della produzione di alto livello. Ma privo di ogni attenzione programmatica da parte della politica. E così Altaroma, Pitti Immagine e Camera della Moda di Milano cominciano a pensare da sé in termini di incontro e sinergia.
I cambiamenti politici, amministrativi, religiosi del nostro Paese non risparmiano nemmeno il mondo della moda: sono in scioglimento e ridefinizione sia Altaroma che la Camera della Moda di Milano. In questa situazione si delineano coalizioni e superamenti di confini territoriali di quelle realtà che fino ad ora hanno dialogato a distanza da Roma, Milano e Firenze: si cerca di parlare anche intorno a un tavolino, ci si sfida alimentando il confronto alla ricerca di nuovi orizzonti.
L’ultima edizione della moda a Milano ha visto l’ingresso di una nuova fiera portata da Pitti, Super, che presentava più o meno nuovi talenti, così come il White, storica fiera milanese, apriva la definitiva collaborazione con Altaroma per schierare altri nuovi talenti. Cambiamenti che esprimono soprattutto la volontà di fronteggiare da soli la crisi, di reagire con i propri mezzi, dichiarando una totale assenza del supporto dello Stato. È stata Donatella Versace, seguita da altri autorevoli rappresentanti di settore, a denunciare l’assenza di iniziative strutturali: ancora una volta non si considera la moda come un patrimonio indispensabile ma un bene superfluo; in nessun programma politico appaiono disegni di provvedimenti seri a tutela del made in Italy.
La crisi ha toccato fortemente questo settore, che rappresenta la seconda voce di bilancio nazionale, ha penalizzato tutte le grandi e piccole industrie che vivono in Italia con vocazioni molto diverse, spesso originate dalla loro posizione geografica, per cui si può parlare di veri e propri distretti produttivi. Bisogna ricordare che nel panorama geopolitico del fashion l’Italia non ha mai perso il primato del “ben fatto”, e che se la Francia è la nazione della couture, l’Inghilterra quella delle rotture coraggiose e il Belgio della sperimentazione, a noi spetta il primato della esecuzione artigianale di altissimo livello, che avvenga in fabbrica o in piccoli laboratori.
L’Italia è il Paese della filiera produttiva completa: grazie a questo, vengono a realizzare qui i loro prodotti tutti i più importanti marchi del mondo, quelli che vogliono poter contare sulle competenze di chi materializza le loro idee, oltre che su una buona materia prima. I nostri artigiani ottimizzano spontaneamente i progetti di designer audaci, contribuiscono a inventare nuovi sistemi di tinture come di assemblaggio, sperimentano sui pellami come sulle finiture galvaniche delle borse, realizzano pellicce e abiti come nessun altro sa fare. Oltre a produrre per gli altri, siamo noi stessi imprenditori: i grandi nomi dell’industria italiana contano più famiglie legate alla moda che a ogni altro tipo di produzione.
Il lavoro di produzione ma soprattutto di promozione si sviluppa su tre poli, ben distinti nella gestione del made in Italy: Altaroma a Roma, Pitti Immagine a Firenze e Camera della Moda a Milano.
Altaroma è una società consortile per azioni partecipata da Camera di Commercio, Regione, Provincia e Comune di Roma, che scelgono i loro rappresentanti in un consiglio d’amministrazione guidato da un presidente affiancato da un presidente onorario. Centro propulsore della haute couture italiana e nuova piattaforma di lancio per i designer emergenti, Altaroma è sinonimo di tradizione e sperimentazione. Dalla promozione del made in Italy alla tutela dei valori artigianali che hanno reso Roma celebre nel mondo, l’intento programmatico di Altaroma si concretizza nella valorizzazione delle eccellenze fino alla neocouture, come definizione di un nuovo linguaggio, luogo d’incontro fra tradizione sartoriale, ricerca e avanguardia in uno scenario internazionale dove si fondono arte, moda e cultura.
Pitti Immagine è un’impresa che opera prevalentemente su un sistema fieristico di alto livello iniziato sulla promozione dell’industria e del design della moda, ma che ha esteso la propria attività anche a settori come il cibo o i profumi. È stata la prima realtà a diffondere un concetto di cultura del prodotto, inserendo sempre mostre come eventi paralleli alle fiere, e curando l’immagine della fiera senza paura di dover limitare gli espositori che non fossero in linea con la propria filosofia.
La Camera Sindacale della Moda Italiana fu concepita – a Roma, per poi spostarsi a Milano – come un’associazione apolitica, senza scopo di lucro. Le finalità sono di tutela, valorizzazione e disciplina degli interessi morali, artistici ed economici dell’attività professionale delle categorie dei molteplici settori legati alla moda, sia nei confronti delle istituzioni pubbliche che delle altre associazioni nazionali ed estere. Vede al suo interno i rappresentanti più forti del panorama nazionale della moda e non ha intromissioni politiche, per cui si muove con maggiore libertà imprenditoriale sul panorama internazionale.
Questi organismi stanno cercando di ridisegnare un’immagine che non riesce più a vivere sugli allori. Sarebbe fondamentale un contributo di pianificazione statale che desse la giusta forza a un mondo che non si limita a produrre abiti, ma che è entrato anche nella cultura e nei musei del nostro Paese. Ma questo purtroppo, in Italia, non dà alcuna garanzia di maggiori investimenti e provvedimenti.
Clara Tosi Pamphili
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12
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