Ludovica Amati: moda e cabala
Abiti leggeri e impalpabili come carezze avvolgenti, che cingono come una melodia il corpo femminile che li accoglie. La collezione Kabbalah della giovane e visionaria designer Ludovica Amati si basa sull’idea di un abito ideale, archetipico, una forma pura su cui poter scrivere un messaggio.
“Per me l’abito è quello che posso indossare sempre, a qualunque ora del giorno e della notte, che è parte di me”, racconta Ludovica Amati. Le ispirazioni si ritrovano nella formazione della designer, fatta di viaggi intorno al mondo alla ricerca di una spiritualità perduta che va da Israele fino al Rio delle Amazzoni, passando per l’isla magica Ibiza.
Camice e fluide sottovesti rimandano al lato più intimo del guardaroba femminile, le forme e le linee sono riprese da capi vintage primi Novecento, che conservano quell’aurea di purezza e compostezza che la moda contemporanea sembra aver dimenticato. Cappotti e cappe rubati al guardaroba del rabbino raccontano il mondo segreto dei grandi cabalisti della storia di Gerusalemme e le mille contaminazioni delle tribù di Israele: così il Tallit, il mantello rituale ebraico, diventa un prezioso ornamento anche della donna.
Questa grande ricerca estetica e spirituale serve a Ludovica per trasmettere un messaggio segreto, di cui le sue creazioni sono portatrici. Dopo tre anni vissuti in Israele a studiare la cabala e i testi sacri, il suo percorso è stato profondamente segnato dall’incontro con Yoel Kraus, rabbino di Ibiza, da cui l’idea di un progetto di moda che raccontasse la sua esperienza. Le geometrie sacre della Kabbalah diventano così stampe su seta e cachemire, benedizioni e preghiere per chi le indossa.
Arricchiscono la collezione bottoni scultura, realizzati dall’artista Emiliano Maggi, come fusioni in ottone che riportano incisi a mano i settantadue nomi di Dio in ebraico.
Alessio de’ Navasques
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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