Arthur Arbesser e Luca Cipelletti. Dialogare a Milano
Il tema britannico della Conversation piece nel fashion è stato consacrato dalla mostra Impossible conversation del 2012 su Prada e Schiaparelli al Metropolitan Museum, elegantemente riuscita dimostrando che, anche se è difficile trovare un equilibrio fra due figure così importanti, è sicuramente più intrigante assistere a un dialogo piuttosto che a un monologo. Durante la fashion week di Milano, notevole è stato il dialogo fra Arthur Arbesser e Luca Cipelletti.
Conversation piece è il dialogo fra Arthur Arbesser, giovane fashion designer austriaco, e Luca Cipelletti, meno giovane ma altrettanto contemporaneo architetto milanese: all’interno di un appartamento degli Anni Venti di sobrio e raffinato stile milanese, uniscono la loro vita privata, la loro cultura e il loro lavoro per presentare la collezione autunno/inverno 2014/15 di Arbesser.
Un dialogo fra progettisti, fra sognatori mitteleuropei, fra elementi creativi ma seri nelle forme e nel contenuto. C’è anche gioco e sperimentazione, ma tutto ha una matrice e una partitura che mette una confortevole soggezione: in un frastuono di cocktail colorati e brutta musica che ha caratterizzato tanti eventi di questa fashion week meneghina, entrare nell’appartamento è stato un incontro felice come vedere un bel film o leggere un buon libro, e la conversazione è stata in grado di raccontarci una storia.
Nell’appartamento, che ha mantenuto un’identità originale degli spazi e degli elementi, come pavimentazioni e rivestimenti, Cipelletti ha operato dei tagli per stravolgere le visuali interne: tre grandi aperture rettangolari mettono in relazione tutta la casa dal living alla camera da letto, sembrano specchi e invece sono aperture, la vita non rimbalza, passa attraverso i luoghi.
Il design e l’arte contemporanea si distribuiscono naturalmente in un ambiente organicamente perfetto e quindi capace di accogliere ogni elemento creativo riuscito. Quindi, insieme ai manichini con la collezione di moda troviamo icone degli Anni Cinquanta e Sessanta come le sedute di Giò Ponti e Franco Albini, i mobili di Ettore Sottsass e Guglielmo Ulrich, il wall drawing Trapeziums (realizzato appositamente da David Tremlett), tutto grazie all’esperienza e alla sensibilità professionale di Luca Cipelletti.
È la terza collezione di Arthur Arbesser, che conferma una natura rigorosa nelle forme ma trasgressiva nei segni grafici e sperimentale nei materiali. Una grande ricerca che attinge alle sue origini ma anche agli anni di formazione londinese: una fonte, un flusso che approda dalle immagini del Novecento italiano più internazionale all’Italia, che oramai è la sua patria professionale. Nei suoi abiti queste suggestioni sviluppano strutture solide, trasparenze percorse da linee che disegnano anche l’immateriale di tessuti con superfici variabili in trame, peso, disegno: un mix azzardato di loden austriaco, faux astrakan, organze di seta traslucide materiali tecnici dai bagliori dorati e loghi autocelebrativi che sdrammatizzano le idee.
Una conferma, quella di Arbesser, una promessa mantenuta di elegante identità ipercontemporanea, ha grande energia anche se lui, immagine attuale di quel Tazio viscontiano di Morte a Venezia, si muove sul racconto di amori non corrisposti sulle note dei Joy Division.
Clara Tosi Pamphili
www.arthurarbesser.com
www.ar.ch.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati