La prima di Jean-Paul Lespagnard
Fino al 5 aprile, la Galerie des Galeries - spazio espositivo di Lafayette - ospita la prima personale dello stilista belga Jean-Paul Lespagnard. Una scelta interessante, quella del format espositivo, che rivela come sia sempre più importante l’esigenza di trovare formule più originali del classico fashion show per comunicare la moda. E questo vale a maggior ragione per i nuovi talenti.
Classe 1979, Jean-Paul Lespagnard manifesta una creatività precoce: dagli pneumatici del padre, ad esempio, riesce a ricavare corsetti per le sorelle. Curioso e affascinato dal Surrealismo, studia arti visive e fashion design presso l’IFAPME a Liegi. Si forma poi con Anna Sui per due stagioni, per diventare in seguito assistente di Annemie Verbeke. La svolta avviene nel 2008, quando partecipa alla 23esima edizione del Festival International de Mode et de Photographie di Hyères, vincendo ben due premi. Grazie al noto concorso ha la a possibilità di produrre e presentare una sua capsule collection, che riscuote subito grande interesse. Affascinato dall’arte in tutte le sue manifestazioni, pop e surreale ma anche urbana, collabora con Villa Noailles, con la cantante francese Yelle e con i coreografi Meg Stuart, Pierre Droulers e Gilles Jobin.
Difficile definire il lavoro di Lespagnard con una sola espressione: è uno stilista dall’immaginario barocco, che riesce a fondere i riferimenti più disparati, dallo sport alla cultura popolare, fino alla musica classica. La mostra di Parigi prendo spunto e nome dalla collezione primavera/estate 2014, Till We Drop: un percorso che esplora i paradisi artificiali del Messico, come l’Hotel Riviera Maya con i suoi turisti e i colori sgargianti. Una rassegna che svela ai visitatori il mondo colorato ed eccentrico di questo giovane talento e il suo processo creativo attraverso disegni e visual della sua instancabile immaginazione. Filo conduttore è lo spiccato sense of humour, un’ironia fantasiosa che percorre tutte le sue creazioni.
Federico Poletti
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17
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