Tilda Swinton guardarobiera. Performance a Pitti Uomo
Quest'anno la Fiera di Pitti Uomo faceva uno strano effetto: si vedeva il successo di un’edizione da record storico di presenze, ma quanto mai eclettico. La elegante e garbata Firenze, una delle tre città della moda italiana così diversa dalla potente Milano e dalla magnificenza esplicita di Roma, sembrava invasa da un raduno di figure difficili da inquadrare, gruppi di uomini diversi, clan e bande.
Inconsciamente interpreti del tema-guida dell’edizione Walkabout Pitti, gruppi di uomini vagavano pronti a partire per una direzione ancora da sapere, confusi in cerca di pericoli da superare per dimostrarsi credibili, a caccia di terroristi o vittime da vedere da vicino, come le due bande rivali di Stand by me dove vince quella che cammina e cammina lungo i binari di un treno senza salirci, anzi schivandolo come un pericolo.
Scordatevi i dandy fotografati da Sartorialist perfetti con le loro bici o a piedi con cartelle pochette sotto il braccio, scordatevi gli amish musicisti e artisti, scordatevi il camouflage militare (il militare c’era, ma da corpo scelto). Quest’anno a Pitti c’erano mandrie di uomini dallo stile irriconoscibile, etnie miste a confronto, i più vestiti con ponchi e coperte colorati, gruppi che si muovevano mischiandosi al centro della fiera come prigionieri usciti dagli spazi allestiti dove il protagonista era la divisa. Divisa da corpo scelto appunto o da lavoro, ma comunque portata su stivali con giacche “utili” dove l’unica nota di stile è il cappello, vincitore assoluto della fiera. Il cappello unico elemento romantico in un mondo di accessori per fare la rapina del secolo o snidare terroristi da un nascondiglio. Fra orologi enormi come detonatori di bombe al plastico, borse in gomma di copertone, abiti in tela e feltro, pellicce e pelli tagliate a vivo, ci siamo coccolati con le collezioni di cappelli, tra cui The Hook di SuperDuper dedicata al pugile, un pugile senza patria che combatte per conquistare dignità, con un pezzo geniale, Lo Storto, con la forma classica e l’impugnatura decentrata come un naso rotto.
Un mondo maschile confuso in cerca di una nuova identità, come dimostrano anche le sfilate, un caos androgino dove il ricordo più forte lo lascia la performance di Tilda Swinton con Olivier Saillard, Cloakroom Vestiare Obligatoire, uno degli eventi più risolti nella storia del rapporto fra arte e moda. L’attrice e il direttore del Palais Galliera compiono il terzo atto di un lavoro iniziato nel 2012 con The Impossible Wardrobe, seguito da Eternity Dress nel 2012, tracciando un percorso del rapporto fra abito e corpo ogni volta diverso pur svolgendosi con dinamiche simili.
Qui l’attrice è una raffinata guardarobiera in abito nero e tacchi a spillo che accoglie la fila del pubblico chiamato a lasciare un capo, una parte di loro stessi in cambio di una contromarca, un atto di fiducia necessaria come quella che si compie ogni volta che lasciamo il cappotto prima di entrare in un teatro o in un museo. Ogni volta lei prende in consegna il capo e sorride gentile, ti dice di fidarsi con lo sguardo senza età, con il movimento gentile di un essere soprannaturale, e tu ti fidi di tanta bellezza indecifrabile.
È una guardarobiera ma è anche qualcuno che può portare una parte di te in un altro mondo, allora la fila aumenta come la fiducia, le persone lasciano cose che lei studia, annusa, lecca e poi rigorosamente piega e mette con un numerino sulla stampella dividendole in due gruppi.
Saillard la assiste, a volte condivide con lei il contatto con le cose lasciate, ma soprattutto riceve e sistema, un gioco che culmina con il momento in cui, come succede alla fine di uno spettacolo, ognuno va a riprendere il suo cappotto.
C’è un sottotitolo che recita “Non ci sono abiti nuovi ma sempre reinventati”, che è il messaggio della performance realizzata qui in occasione di Pitti Immagine Uomo 87 per dire che ogni capo è in grado di generare energia, di portare il ricordo di chi lo ha consegnato come di cambiare forma e vocazione: così un cappuccio diventa tana dove nascondersi e le maniche un tunnel dove far passare un percorso. Tasche in cui nascondere fazzoletti profumati, guanti con cui parlare e fodere dove sistemare fiori: aumentare il potere dell’abito ascoltandolo e regalandogli altri elementi per reinventarlo.
Vince la Swinton anche su Marina Abramovic, che a gennaio scorso ha presentato una performance in collaborazione con Costume National di Ennio Capasa. Vince perché è l’artista-attrice sciamana che incarna l’immortalità di Only lovers left alive dove era vampira per Jarmush, ma anche la Mirandolina della Locandiera di Goldoni che piega tovaglioli e Yoko Ono di Cut piece che si fa tagliare l’abito che indossa dal pubblico.
Clara Tosi Pamphili
http://www.pittimmagine.com/corporate/fairs/uomo.html
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