Durante la scorsa Milano Fashion Week, Arthur Arbesser ha stupito il pubblico con un’installazione realizzata in collaborazione con l’architetto Luca Cipelletti. Una fortunata combinazione che continua dopo lo scorso Autunno/Inverno, uscendo dall‘ambito privato e intimo che aveva caratterizzato la precedente edizione, per incontrare la città nelle archeologie industriali del Garage San Remo. Luogo dimenticato della Milano industriale degli Anni Settanta, il vecchio garage è diventato così spazio della memoria, dove lo stesso Arthur Arbesser ha guidato i visitatori, come lo stalker del film di Tarkovskij, in un mondo magnetico e disabitato dove succedono cose straordinarie.
Tableaux vivants di modelle hanno animato queste architetture, definendo una silhouette dove il gioco tra vuoti e pieni, colore e trasparenza, forza e fragilità è metafora del tutto. Filo conduttore diventa, così, la dimensione spaziale e le sue geometrie fatte di pieni e vuoti, che dall’abito rimbalzano nelle sale e negli oggetti dimenticati del garage. Le grandi opere fotografiche dell’artista Carlo Valsecchi, disseminate sul percorso in una sorta di galleria immaginaria e provenienti da importanti collezioni private e musei internazionali, diventano stargate che aprono finestre su altri mondi, andando a rafforzare questa idea di spazialità e magnetismo.
Fonte d’ispirazione per la progettazione e la palette della collezione sono stati invece i lavori di due artisti tedeschi, Blinky Palermo e Isa Genzken. L’uso del colore e un certo bisogno di pulizia dell’opere di Palermo si sposa con gli accostamenti inconsueti di materiali, elementi come la spugna, il nido d’ape e il waxed nylon, che Arthur riprende dalle opere della Genzken. Le sperimentazioni sulla maglieria, la rivisitazione di certi capi da lavoro e i tagli maschili vanno a definire un’immagine di donna eterea e allo stesso tempo androgina, sofisticata e lunare.
La logica dello show e della passerella viene così capovolta, instaurando un dialogo complice tra il designer e il visitatore. Una concezione immaginata da Cipelletti e sviluppata pensando al ruolo di Arbesser: un designer emergente che, nel dialogo con arte e architettura, ha trovato una sua personale forma di ricerca.
Alessio de’ Navasques
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #22
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