LETTERATURA DELLA RIPETIZIONE
C’è chi si chiede se abbiano ancora un senso le sfilate e la rappresentazione della moda che si mostra solo come ripetizione di se stessa: alla fine della fashion week milanese ci chiediamo, anche, se abbia un senso continuare a leggere articoli come pagine di un diario che si è costretti a scrivere per non perdere visibilità.
Descrizioni inutili dal momento in cui abbiamo qualsiasi mezzo di visualizzazione, fino all’immersivo, che fa girare la testa più che capire cosa stiamo guardando; racconti con nomi in neretto e spiegazioni di stile che diventano letteratura della ripetizione e sanciscono lo strapotere delle immagini sulle parole.
Un panorama dove tutti sono più o meno complici e dove è difficile scorgere un segno diverso, una traccia da seguire più nitida del resto: fenomeni fatti apposta per confondere le idee, dove spicca la sempre crescente presenza cinese, con ospiti eccellenti di un sistema che ha proprio bisogno di loro, anche se ci copiano oramai in modo ufficiale.
LA FAMIGLIA ALLARGATA DI GUCCI
Il nostro entusiasmo per Gucci di Alessandro Michele lo abbiamo espresso da subito, da quando quelli che ora lo esaltano lo guardavano come cecchini. Il suo ci è apparso un lavoro perfettamente in regola per aprire varchi nuovi, per rigenerare un sistema: il visionario esploratore.
Non ce ne siamo accorti solo noi: riconoscimenti e successo di mercato sono arrivati, e che piaccia o no sono quei dati che “spostano” sul concreto le chiacchiere. Quella macchina funziona anche grazie a una gestione appassionata, dove la voce della collaborazione fra teste giovani ed esperti maturi – che sembrano più amici che colleghi – è più forte del business plan. Merito, anche questo, di Alessandro Michele, il quale ha costruito una specie di famiglia allargata che condivide con lui un progetto di crescita artistica e produttiva.
Parlare di lui vuol dire parlare non solo di moda: le sue release sono testi che accompagnano le sfilate come il menù di un coltissimo chef che non ti dice cosa mangerai, piuttosto dove ti porterà e cos’altro dovresti sapere per goderti quei sapori fantastici. Un fenomeno che ha condizionato tanti altri designer, che si esprimono anche loro, non sempre con successo, con tesine/release lasciate sui posti numerati.
L’ESEMPIO DI PAUL POIRET
Siamo tra gli entusiasti di quest’ultima sfilata, e capiamo le perplessità di chi rimane dubbioso davanti a una continua variazione sul tema, come rimarrebbe perplesso alla quinta esecuzione di un concerto di Mozart.
Capiamo ma ci chiediamo perché quella critica che si interroga sui problemi dell’eccessiva velocità di proposte richieste alla moda, del pericolo di una comunicazione web o della fine di un calendario davanti a un mondo globalizzato, non sia rassicurata dal lavoro di un vero artista artigiano.
Il fenomeno Alessandro Michele è sin troppo facile da leggere per chi conosce un po’ di storia della moda, per chi ricorda come uno stile tanto elaborato e pieno di riferimenti alle immagini di mondi teatrali, cinematografici e artistici non sia un lavoro di styling, come non lo era quello di Paul Poiret, che a Parigi all’inizio del Novecento diede inizio al lavoro del couturier-demiurgo.
Come Poiret fu “accusato” di fare costume e non moda, anche a Gucci viene mossa la stessa banale critica, senza capire quanto dovremmo essere grati al proustiano isterismo di Alessandro Michele, vittima di mille suggestioni e in cerca di un nuovo universo con lo stesso entusiasmo del couturier francese che fu folgorato dall’Uccello di fuoco di Igor Stravinsky e dai Balletti russi di Sergej Diaghilev.
RITORNO ALL’ENSEMBLIER-COUTURIER
Alessandro Michele è un ensemblier-couturier – come in Francia veniva chiamato chi era in grado di curare la regia totale di un interno e della persona che lo abitava – che cerca di portarci nella sua visione con ogni mezzo espressivo: dal disegno della moquette al colore dei muri ai video delle campagne, creando l’unica vera espressione di realtà aumentata che abbia un senso in questo mondo dove ci propongono caschi virtuali invece di aiutarci a vivere realmente le cose.
Ensemblier-couturier è uno di quei termini descrittivi ormai inutilizzato, come tanti che servono a differenziare e a capire bene, invece di abdicare a uniformi verbali anglosassoni che consentano di mettere tutti in fila, di titolare inutili corsi nelle scuole di moda e stilisti senza identità, utili solo a riempire mostre sovvenzionate profumatamente per promuovere talenti.
Fa pensare la domanda che oramai segue ogni sfilata su come sarà la prossima; non si capisce perché sia tanto difficile accettare quello stile, come se fosse un limite piuttosto che il Dna di una forma che evolve ma non cambia. La riconoscibilità, come per Armani o altri grandi nomi che hanno fatto la storia della moda, non significa incapacità di cambiamento; chiamiamola serenamente coerenza creativa, capace di dare un’identità preziosa al brand.
Il paragone con altri visionari come John Galliano è giusto: ci sono storie che hanno alimentato la formazione di Alessandro Michele e le citazioni che si leggono nelle sue collezioni, come quelle esplicite dal cinema, sono pure dichiarazioni di romantica appartenenza a quel mondo.
Un genere artistico preciso, alimentato dalla contemporaneità, dai segni che dichiarano precisamente la data di realizzazione di quel capo: l’invenzione del guardaroba di figure folli, tra i Tunnenbound e Giulietta degli Spiriti, che possiamo indossare in total look come gli orientali o a pezzi solo con accessori per entrare nel cast di quel sogno che solo la moda sa garantire.
LE LANTERNE MAGICHE DI ALESSANDRO MICHELE
Siamo a parlare di Gucci al termine di questa settimana fashion milanese perché ci ha colpito come altri non hanno fatto: i tanti tentativi di imitazione o le incertezze di altri grandi nomi non ci hanno trasmesso la stessa emozione. Scossi al punto che ci riesce difficile parlare di lunghezze e fogge di gonne e pantaloni o di palette di colori: il ricordo di quelle meduse capaci trascinarci in un abisso sconosciuto e impalpabile restano come un desiderio irrazionale. Avere un abito che è come uno stargate non ha prezzo, quindi è lusso. Ogni outfit della collezione è una storia, un libro di fiabe o un sogno inquietante. Il titolo Lanterne magiche descrive perfettamente la condizione di chi guarda passare quelle figure.
A noi che pensiamo che arte e moda siano spesso mondi coincidenti, ci è sembrato tutto bello come un affresco o come una grande opera dove perle, borchie, balze e bustini di pelle su sete stampate con ogni elemento grafico dalle rose al logo sono stati usati con tecnica sublime e sapiente schizofrenia. Per raccontare chi saremo, se avremo il coraggio di dirlo.
Clara Tosi Pamphili
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