Vuitton, il Giappone in collezione. Passerella in un museo spettacolare tra i boschi di Kyoto
Location pazzesca, grandi collaborazioni, ispirazioni ibride e una spumeggiante collezione “Cruise” (che sono tradizionalmente delle linee primaverili destinate a chi se ne va in vacanza in inverno, magari in posti esotici). Louis Vuitton s’ispira al Giappone…
Venti d’Oriente per Louis Vuitton, che dedica la Collezione Cruise 2018 al Giappone e alla sua gloriosa tradizione artistica e culturale. Una sfida coltivata negli anni da Nicolas Ghesquière, direttore creativo della maison, e finalmente divenuta realtà, nella più spettacolare delle cornici: la sfilata si è svolta lo scorso 14 maggio presso il Miho Museum di Kyoto, mirabolante architettura disegnata dall’archistar Ieoh Ming Pei – colui che, fra le altre cose, progettò la celebre Piramide del Louvre – dietro richiesta della ricchissima ereditiera e guru spirituale Mihoko Koyama (1910-2003). Edificato in mezzo ai boschi, il corpo in vetro, acciaio e pietra calcarea si estende per tre quarti sottoterra, scavato e modellato nella roccia delle colline. Un teatro incantevole, fortemente voluto da Ghesquière per la sua passerella, allestita lungo il tunnel metallico e il ponte sospeso che collega le due cime tra cui s’incastona il museo.
LA COLLABORAZIONE CON UN VETERANO DEL FASHION MADE IN JAPAN
Così come è stata centrale la collaborazione con un altro creativo straordinario della scena contemporanea giapponese, lo stilista Kansai Yamamoto, emblema della più viva sperimentazione fashion degli anni Settanta e Ottanta, col suo stile futuristico, tecnologico, teatrale, androgino, irriverente, contaminato: basti pensare, in fatto di capi iconici, a quell’abito curvilineo in vinile traslucido disegnato nel 1973 per David Bowie, che lo indossò per un famoso shooting con fondo rosso fuoco. Scatti passati sulle più celebri riviste del mondo. E fu solo una delle molte creazioni realizzate da Yamamoto per l’amico Bowie.
Alla nuova collezione Vuitton il designer ha contribuito con applicazioni, sticker e stampe destinati a capi e accessori. Anche giocando con insolite sovrapposizioni, tra la forgia più classica delle borse e i dettagli eccentrici a contrasto.
DA AKIRA KUROSAWA AI COWBOY
Un alleato prezioso per Ghesquière, che ha provato a lavorare nel segno delle più ricercate ibridazioni, attingendo dall’estetica del Sol Levante e trasformandola in materia prima di eccentriche soluzioni contemporanee: citazionismo postmodern in piena regola. “Ho cercato di approcciare la cultura giapponese con il punto di vista di un francese”, ha raccontato in un’intervista su MF Fashion, “ricordando che Louis Vuitton è una maison con radici nel mondo del viaggio. Nella collezione ci sono tracce di samurai e rimandi agli shogun, ci sono riferimenti al mondo del teatro Kabuki ma anche frame dei film di Akira Kurosawa o di Takeshi Kitano. Ci sono i simboli del mio Giappone”.
E ci sono, ad esempio, i tipici tessuti usati per i kimono o per gli obi, i keikogi delle arti marziali, l’oro del teatro Nō, il richiamo a certe armature militari, l’occhio strizzato a paillettes, glam rock e linee Seventie’s, il tutto mischiato col punk, le geometrie audaci e gli stivali da cowboy, le delicate illustrazioni a inchiostro, le maschere teatrali e le finezze scenografiche dei costumi, gli intrecci fra jersey, pelle e animalier. Un eclettismo colto, che invoca lo spirito della tradizione e lo frantuma contro l’imperativo radicale della sperimentazione.
– Helga Marsala
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