“Ho sempre pensato alla moda come a una forma di comunicazione alternativa, che per manifestarsi necessita di ornamenti più o meno complessi a seconda dell’informazione che si vuole trasmettere. L’atto dell’abbigliarsi sostanzialmente non è altro che il risultato conclusivo di un processo ben più ampio, complesso e affascinante. Il mio racconto è dunque costantemente supportato dall’onestà intellettuale. Divulgo pensieri, idee e concetti nei quali credo profondamente ma che soprattutto conosco. L’‘ispirazione’ così come ci è stata raccontata a scuola non mi interessa, un metodo accademico pronto a risolvere ogni limite ideologico, creativo ed espressivo. Io preferisco parlare della realtà, della vita o di fenomeni e circostanze a esse connesse”. Si racconta così Marco Grisolia, designer dell’eponimo marchio indipendente, nato nel 2013 come naturale prosecuzione della ricerca iniziata con Covherlab, non per sottolineare la conclusione di un ragionamento precedente, non per egocentrismo, sostiene, ma come atto di consapevolezza e voglia di indipendenza.
ATTRITI CREATIVI
Giovane cronologicamente, ha tuttavia un imprinting sicuro, forte dell’esperienza di stylist dello stesso Grisolia; la sua è una poetica lucida che unisce suggestioni personali che arrivano da un percorso artistico legato agli studi di pittura all’Accademia di Brera, ai mondi del design, della musica, sincronizzati su una propria estetica. Generare gap tra elementi eterogenei è una sua inclinazione intrinseca. Il suo linguaggio crea cortocircuiti spontanei partendo dai materiali usati: sfidando accostamenti inediti nei tessuti, produce attrito creativo, rimanendo concreto nella vestibilità. Il suo immaginario si delinea chiaramente nella collezione primavera/estate 2017: “Sette storie visive raccontate con la tecnica del collage (I wanted to stay, I am what I am, Degrees of degradation, It’s too hard for me, Owners of nowhere, Crisis e I wanna be perfect), veri e propri manifesti, riflessioni sulla violenza, il rispetto dei generi, il degrado ecologico, la fragilità interiore, lo sfruttamento delle risorse e dei popoli, il desiderio incessante di apparire, decodificati attraverso i media o per contatto diretto, che diventano terreno quotidiano di costruzione del reale, un tessuto disarmonico accresciuto dalla distrazione comune, esorcizzato attraverso il collage”. Un dialogo intercontestuale e allegorico che si concretizza in una collezione accessibile e complicata, profonda e diretta, che parla del contemporaneo.
‒ Stefania Seoni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #36
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