“… Un artigiano nel senso più nobile del termine, e un uomo fieramente attaccato alla sua libertà”, lo definisce così, triste per la perdita, François-Henri Pinault, a capo del gruppo Kering.
Azzedine Alaïa (Tunisi, 1940 ‒ Parigi, 2017) era una artista della moda: Roma lo aveva accolto nel 2015 in una bellissima mostra curata da Mark Wilson alla Galleria Borghese, dove le sue creazioni dialogavano animatamente con le sculture di Bernini.
Aveva studiato la scultura prima della moda, all’Accademia di Belle Arti di Tunisi, suo luogo di origine: non amava disegnare ma indagare la struttura dell’abito, plasmare forme elastiche che esaltavano corpi statuari per una femminilità forte della propria bellezza.
Con lui scompare uno dei più importanti creatori di moda del nostro tempo: la sua silhouette scultorea ha segnato lo stile degli Anni Ottanta e ha influenzato tanti altri stilisti.
Era piccolo di statura ma gigantesco nella sua pratica creativa, un mago capace di leggere cose che altri non sapevano, di decodificarle e tradurle in abiti che trasformavano le donne in altre forme viventi.
Creava involucri preziosi, architetture tessili che allungavano le forme con pieghe e volute di tessuto frutto di una tecnica profonda acquisita a Parigi, dove arriva alla fine degli Anni Cinquanta, prima da Dior e poi da Guy Laroche, e dove a rue de Bellechasse apre il suo atelier negli Anni Settanta. Un atelier di haute couture che vanta clienti come Marie-Hélène de Rothschild e Greta Garbo. Negli Anni Ottanta produce la sua prima linea di ready-to-wear fino ad aprire boutique anche a Beverly Hills.
IL COUTURIER INNAMORATO DELLE DONNE
Alaïa apparteneva alla categoria dei couturier innamorati delle donne, di quelli concentrati sull’esaltazione della loro bellezza e non sulla negazione della femminilità che caratterizzerà tanta moda dagli Anni Ottanta in poi.
I suoi abiti, pur essendo sempre molto sexy, sostenevano quella forma di femminismo che ha visto le donne prendere coscienza e controllo del proprio corpo, donne capaci di assumere il carico della propria sensualità. Come un costumista, faceva abiti che aiutavano ad assumere un ruolo con più determinazione ed efficacia, per far felici le sue clienti. Diceva: “È una gioia per me quando una donna porta un mio abito nuovo e qualcuno si innamora di lei in quel momento”.
Creava potenti dee, come una delle sue icone più famose, Grace Jones, di cui l’immagine più significativa, in tal senso, è quella del film 007 ‒ Bersaglio Mobile, dove l’attrice interpreta May Day, una bond girl di devastante bellezza scultorea.
Un reinventore della forma, come Jean Paul Gaultier o Thierry Mugler, capace di realizzare un legame fra passato e futuro proiettando il classicismo su forme futuribili, seguendo l’insegnamento della maestra assoluta della moda scultorea Madeleine Vionnet.
Come lei lavorava sul manichino e non sulla carta, con quella tecnica definita moulage, modanatura, piegava e tirava la viscosa estensibile come una seconda pelle che si muoveva sul corpo con una vita propria.
UN ARTISTA FUORI DAGLI SCHEMI
Aveva anche un carattere libero d’artista, lontano dai calendari imposti dall’industria della moda, presentava le sue collezioni quando voleva, aveva pochissimi collaboratori perché la sua pratica lo portava a realizzare da solo ogni modello. Ogni abito era un’opera che richiedeva i tempi di creazione dell’artista, la ricerca, lo studio, la scelta della materia, un perfezionismo che lo teneva inevitabilmente lontano dall’economia produttiva del mercato.
La sua Femme fatale è anche il primo esempio di fusione etnica e culturale: le origini africane, come quelle di Yves Saint Laurent nato ad Algeri, gli portano una ispirazione sia alle forme che ai tessuti dell’Africa del Nord. Una base su cui sperimenta continuamente fino al contemporaneo, come nella collaborazione con Julian Schnabel che decora le sue boutique, convinto che “… Gli abiti, come l’arte e l’architettura, sono il riflesso di un’epoca”.
Dagli Anni Novanta si era ritirato dalla scena della moda ma continuava a lavorare per una selezionata clientela privata e ad avere successo con il suo raffinato prêt-à-porter.
‒ Clara Tosi Pamphili
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati