Se pensiamo all’abito come un’architettura che protegge, ripara e sostiene il nostro corpo, il designer è un progettista che, attraverso calcoli e proporzioni, disegna forme e geometrie di tessuto, le quali prendono vita una volta indossate. Parte da questa visione Giuseppe Buccinnà: dopo aver conseguito una laurea in Ingegneria Civile presso il Politecnico di Milano ed essersi successivamente diplomato all’Istituto Secoli, ha iniziato un percorso da creativo presentando la sua collezione tra Milano e Parigi.
GEOMETRIA E ABITI
Il suo Dna è un mondo di forme e numeri, di fredda strutturalità e rigorosa ritmicità seriale. Un esito, la moda, frutto del desiderio di andare incontro a un’estetica più immediata, rapida, diretta. Un processo creativo di derivazione matematica, di stampo riduttivo e analitico, che trasla le regole della geometria sugli abiti. Nasce così una collezione dalla forte personalità, dove paure e durezze contemporanee sono affrontate a colpi di poesia materica. Elementi e forme classiche vengono destrutturati da tagli, fusioni, perforazioni che delineano la poesia di abiti che portano all’introspezione. Linee pure e buchi che si aprono su mondi interiori, che sono strade per riuscire a guardarsi dentro. Una dimensione filosofica e intimistica di concepire la moda. Capi che diventano metafora di una stratificazione dell’individuo e del suo vissuto, rispettandone esigenze e diventandone prolungamento dei pensieri. Il nero è preponderante nella collezione e, pur mescolandosi al colore, non perde la sua sensualità e forza.
POESIA E INGEGNERIA
Identità, innovazione, ricerca di nuovi sistemi di produzione orientati verso un commercio etico e uno sviluppo sostenibile sono le linee guida del brand. Nel ricambio generazionale attualmente in corso in Italia, Giuseppe Buccinnà rappresenta un nuovo modo di concepire la moda in maniera contemporanea e funzionale, unendo la poesia all’ingegneria, in un sistema complesso di rimandi e referenze tra diverse arti e discipline.
‒ Alessio de’ Navasques
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #41
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