La cultura punk ha perso uno dei suoi figli più noti: lo stilista Judy Blame (Leatherhead, UK, 1960 – Londra, 2018), considerato l’icona punk della moda. Rivoluzionario, eccentrico, sempre controcorrente, Blame è stato fautore, autore ed interprete del fenomeno punk inteso nella sua accezione originale che nulla ha in comune con quello riproposto oggi dai giovani designer o usato, svuotato da ogni carica sovversiva e destabilizzante, come codice decorativo dai millenials.
UNA VITA INTENSA
Una figura complessa che sfugge a qualsiasi facile classificazione: stilista, designer di gioielli, art director, artista, Judy Blame, al secolo Chris Barnes, ha sostenuto la “causa” punk con coerenza per tutta la sua vita. Nato nei sobborghi di Leatherhead, a soli 17 anni si trasferisce a Londra e diventa subito protagonista della vita notturna, dominata da club frequentati da personaggi come Leigh Bowery e Boy George. È proprio frequentando la scena del clubbing londinese degli anni ’80 che Blame sviluppa una sensibilità creativa radicale che lo porta ad unirsi a The House of Beauty and Culture, un collettivo che promuoveva la moda punk, basata sul recupero degli oggetti, come forma di resistenza e di dissidenza nei confronti del governo Thatcher.
L’INFLUENZA NEL MONDO DELLA MODA
House of Beauty and Culture, di cui Blame divenne presto una figura centrale, ebbe una vita brevissima, ma l’influenza stilistica esercitata nel campo della moda è stata davvero molto lunga. Fondato nel 1986 dal designer di scarpe John Moore, House of Beauty and Culture si collocava a metà strada tra uno studio, uno spazio creativo ed un negozio. Quello che è certo è che il luogo fu una vera e propria fucina di creativi: designer, fotografi, artisti ed artigiani. L’approccio di Blame alla moda è votato all’anticonformismo più spinto. Realizza gioielli partendo da elementi poverissimi, di recupero, che tornano a nuova vita dopo essere stati assemblati a mano. Oggetti e materiali poveri, spesso di risulta, come bottoni, spille da balia, medaglie, tappi per bottiglie, buste di plastica, chiavi, rifiuti accidentalmente recuperati dal designer che li de-contestualizzava e li assemblava in modo innovativo e sorprendentemente poetico. La sua esperienza nel collettivo House of Beauty and Culture è stata la prima di molte importanti collaborazioni con stilisti del calibro di John Galliano, Rei Kawakubo (Comme des Garçons), Gareth Pugh, Marc Jacobs e Kim Jones nel periodo in cui ha lavorato per la marca Louis Vuitton. Non solo designer, ma anche fotografi, come Mark Lebon, Mark Mattock, Jean Baptiste Mondino e Juergen Teller, con cui ha realizzato editoriali di moda che diventeranno iconici. La sua istintiva capacità di creare immagini straordinarie che mixano pop culture, iconografia punk, oggetti ready-made, lo hanno portato a lavorare come art director e consulente d’immagine per figure iconiche come Neneh Cherry, Boy George, Massive Attack, Bjork e Kylie Minogue.
– Stefania Seoni
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati