Le ciabatte di Demna Gvasalia e Bernie Sanders. Quando la politica è pop, in passerella
Demna Gvasalia e il suo amore per i simboli del pop, tra consumismo e logiche perverse della comunicazione. Uno tra i più interessanti designer del momento, a capo della maison Balenciaga, arriva a rubare il logo anche a un noto politico americano.
Sarà per l’innegabile talento incline ai colpi di genio o per l’occhio da sperimentatore colto, ironico, indipendente. Palesemente divertito. Sarà per il lavoro che, dal 2015, porta avanti come direttore creativo del mitico brand Balenciaga, non tradendo una storia gloriosa di stile, ma reinventandone l’esprit, fra rispetto e attualizzazione. Oppure sarà perché i suoi capi oversize, le geometrie azzardate, le asimmetrie, i colori accesi, le proporzioni alterate e gli audaci mix non precipitano nel tranello dell’importabilità o della sofisticazione, per raccontare storie di comodità, di esclusività, di ruvida irriverenza metropolitana. Sarà per tutte queste ragioni, o chissà per quante altre, ma certo è che il 37enne tedesco di origini georgiane Demna Gvasalia – fondatore anche del marchio Vêtements – è oggi tra gli stilisti più lodati e corteggiati dal sistema. Tanto da aver vinto nel 2017 la categoria International ai CFDA Fashion Awards, gli ambitissimi Oscar della moda.
DALLA BORSA IKEA ALLA T-SHIRT DHL
E a proposito di ironia, come non citare le sue maxi bag a fiori che imitano i contenitori di plastica per piumoni? O le scarpe rosse a punta, ispirate ai cartocci di patatine di McDonald’s? Un caso mediatico divennero i capi gialli con il logo DHL, presentate per la collezione Vêtements primavera-estate 2016, condivisa a raffica sui social, indossata da influencer e celebrità: molto simili alle vere magliette della nota azienda di trasporto merci, le t-shirt costavano però 245 euro contro i 6 delle altre.
Stesso meccanismo e stessa sorte per la borsa azzurra in morbida pelle di agnello, che spudoratamente cita la shopper pieghevole venduta negli store Ikea a 99 centesimi. Costo? 2.145 dollari. Anche in quel caso fu subito notizia, mania, comunicazione virale, esplosione di critiche o di consensi, con tanto di imitazioni fai da te diffuse sui social network.
LE CIABATTE DI BERNIE SANDERS
Felice poi l’intuizione sull’uso e il detournement del logo della campagna di Bernie Sanders, il politico statunitense, senatore del Vermont, che tentò di battere Hillary Clinton alle ultime primarie Democratiche. Il logo bianco e rosso, comparso insieme alla scritta Balenciaga su giacche, maglie e hoodie della collezione autunno-inverno 2017-18, rispunta oggi per la primavera-estate 2018. Si tratta stavolta di un paio di ciabatte aperte, identiche a quelle che si usano al mare. Disponibili in blu e nero, sono realizzate in pelle e costano circa 600 dollari. Il gioco? Riappropriarsi di un marchio, rivisitarlo e fonderlo con il proprio. Oltre qualunque regola e prassi, ma anche oltre una reale lettura politica. Gvasalia testimonial del più democratico tra i democratici statunitensi? La passerella come spazio di militanza? Un paio di ciabatte e una felpa come pagine di un manifesto? Assolutamente no. Il marchio elettorale si confonde tra i tantissimi marchi di natura commerciale e viene scelto per la sua forza comunicativa, per il suo radicamento, più che per il reale contenuto.
“Una delle cose che volevamo creare era un logotipo che conferisse una visione aziendale molto vivida”, ha spiegato il designer a Vogue. “Nella mia ricerca, quella di Bernie Sanders era la più presente in quel momento; è per questo che le assomiglia così direttamente e ovviamente ne ero molto consapevole. Volevo che fosse simile. Era questo il mio messaggio per la collezione”.
TRA BRAND POLITICI E COMMERCIALI
Altro bel cortocircuito quando Gvasalia piazza su una t-shirt Balenciaga il logo di Kering, gruppo francese del lusso che annovera tra i suoi marchi anche quello fondato dal couturier spagnolo nel 1937. Una insolita, provocatoria operazione di sostituzione e disidentificazione, ribadendo con disincanto il criterio di intercambiabilità dei segni. E sono persino i brand politici a seguire le stesse logiche, essendo sigle tra milioni di sigle, spesso passeggere, a volte confondibili se non commutabili, figlie di una cultura postideologica in cui il peso della comunicazione è altissimo e quello dei valori assai di meno.
È evidente. Demna Gvasalia ama il pop e ci si immerge con naturalezza, sfornando oggetti intriganti, in cui l’alta qualità convive con la banalità dei riferimenti: grandi brand figli del capitalismo o della comunicazione global, oggetti d’uso comune, materiali poveri. Cose, ma soprattutto segni, ormai svuotati di significato e divenuti parte delle nostre vite di consumatori. Il paradosso è che un prodotto di lusso – in quando costoso status symbol – arrivi a emulare il “cheap”, l’insignificante, rubandone il potenziale di familiarità e immediatezza.
Un anno fa, a proposito del lancio delle t-shirt DHL, così spiegava Gvasalia: “Ogni giorno qualcuno diceva “Il pacco non è arrivato, dobbiamo smetterla di lavorare con DHL, ci farà fallire”. DHL sembrava ormai parte della mia vita più di qualsiasi altra cosa e così ho pensato: perché non metterlo nella sfilata?”.
Dai meccanismi della pubblicità alle logiche social, passando per le intuizioni pionieristiche della Pop Art, i divertissement di Gvasalia sui marchi e i beni di consumo interrogano il presente con una buona dose di cinismo, genuinità e scaltrezza. La ricerca sullo stile e l’articolazione di forme sartoriali sono il piano in cui s’innesta questo gioco perverso, fra contrasti radicali e leggerezza.
– Helga Marsala
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