Nasce a Roma la Fondazione Renato Balestra. Celebra, dopo la sfilata tributo, la maison italiana
Festeggiato da Altaroma con una sfilata tributo a Cinecittà, Renato Balestra - decano dei couturier italiani - si racconta. Dagli esordi negli anni Sessanta, al blu che porta il suo nome, fino al progetto di trasformare l’archivio di disegni, abiti e documentazione inedita della sua maison in una Fondazione
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In un momento in cui quasi tutti i grandi brand riscoprono le proprie origini e la parola heritage serpeggia come un refrain nelle collezioni, l’annuncio dell’avvio da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali dell’iter conoscitivo dell’archivio Renato Balestra, al fine di dichiararlo di interesse storico particolarmente importante, si colloca come un ulteriore tassello nella riscoperta e nella valorizzazione dei marchi made in Italy.
LA NASCITA DELLA FONDAZIONE
La notizia, data in apertura della settimana della moda romana, è il preludio all’avvio delle attività dell’omonima Fondazione, che ospiterà l’archivio dei disegni e delle collezioni dello stilista triestino, gli abiti e una documentazione – anche filmata – in parte inedita. L’intento non è meramente celebrativo, piuttosto si tratta di superare l’accezione solamente estetica dell’heritage, come fonte d’ispirazione per forme o pattern: nel caso della maison capitolina si parla di uno spaccato di storia del costume, oltre che di una tradizione tecnica e artigianale da riscoprire e studiare, per l’uso dei tessuti, dei ricami per la costruzione sartoriale degli abiti.
IL DISEGNO, COME PRIMO AMORE
Quel che stupisce di Renato Balestra, firma storica dell’haute couture italiana, è la garbata modestia con cui inanella racconti: lo fa senza nostalgia, perché se è vero che l’intero sistema moda è cambiato (e forse il mutamento più radicale è occorso proprio quando ha assunto questa forma “sistemica”) è altrettanto vero che lui è restato fedele a sé stesso, all’idea di una collezione ideata intorno ad un’intuizione poetica – sempre diversa, lui la definisce come un vero e proprio innamoramento – dove i tessuti sostituiscono le pennellate di colore.
Il disegno, spiega, è l’aspetto fondamentale del suo lavoro: e i suoi disegni, oggi, a partire dai primi figurini realizzati con pochi tratti schematici – che tradiscono, forse, gli studi in ingegneria – vengono esposti “anche accanto ad opere di Giorgio de Chirico o Filippo de Pisis” dice lui, stupendosi di questo accostamento, o battuti in asta da Christie’s, come avverrà questo autunno.
UNA SFILATA KOLOSSAL
A 14 anni – racconta – voleva diventare pittore, poi ha iniziato a dipingere con le stoffe. Degli anni del suo esordio ricorda quando gli stilisti si chiamavano couturier e l’alta moda viveva, ricorda divertito, in una torre d’avorio.
Alla sovraesposizione mediatica, lui contrappone il mistero che avvolgeva le collezioni: “Prima delle sfilate in Piazza di Spagna” dice “tenevamo gli abiti coperti sotto dei teli, per evitare che fossero visti prima dell’uscita in passerella. Ora è tutto pubblicizzato, tutto dato in pasto al pubblico”.
Eppure non c’è rammarico, perché è questa stessa moda “più snella e svelta” – come rileva lucidamente – ad aver deciso di celebrarlo, riconoscendo allo stilista che ha vestito Liz Taylor e la regina di Thailandia, il suo ruolo nel pantheon iridato della moda italiana ed internazionale.
Della sfilata tributo, realizzata durante la settimana di Altaroma e fortemente voluto da Silvia Venturini Fendi, Renato Balestra parla ancora con una certa emozione: le scenografie formato kolossal degli studi di Cinecittà hanno offerto una cornice singolare e – per lo stilista – sorprendente ai suoi modelli; dal primo abito nell’iconico colore blu, registrato come un vero e proprio trademark, a quelli più rappresentativi della storia della maison, all’ultimo vestito da sera, dedicato a Roma, città d’adozione, in cui Balestra ha scelto di aprire il suo atelier negli anni Sessanta e poi di restare.
– Maria Cristina Bastante
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