In un mondo sommerso dalla proliferazione bulimica e vuota di marchi travestiti da avanguardismo, in realtà figli del riciclaggio e di una creatività fast fashion ridotta al minimo, dove stili e tendenze sono frutto di strategie seriali, riprendere l’eredità di una storica maison mantenendone lo spirito, ma allo stesso tempo riportarla alla nostra contemporaneità, potrebbe essere una sfida. Ed è quella che ha vinto il designer Josep Font per Delpozo, storico marchio di couture fondato nel 1974 a Madrid dal designer spagnolo Jesús del Pozo. Forte dei suoi quarant’anni di successi, in verità con un seguito più domestico che internazionale, nel 2011, dopo la morte del suo fondatore, Delpozo è stato acquisito dal Grupo Perfumes y Diseño e ha debuttato alla New York Fashion Week nel 2012, per poi trasferirsi da quest’anno a Londra.
Josep Font, con la sua direzione creativa, ne ha mantenuto l’impronta rigorosa; quella della couture, della perfezione, evolvendola in una demi-couture più leggera e dinamica, libera e liberata. Il suo approccio non si può certo definire conservatore. È piuttosto un anacronismo sentimentale, ha la sensibilità e il lirismo di un pensiero metafisico, dove i vestiti hanno un’anima in sé. Font rimane uno degli ultimi designer a relazionarsi con codici stilistici e progettuali altissimi, dove la forma e la costruzione dei capi sono i fondamenti, riferimenti sempre presenti, forse da considerarsi unico erede spirituale del minimalismo di Cristóbal Balenciaga.
“La produzione è interamente realizzata in Spagna, in piccoli atelier, consentendo di proteggere il valore e il know-how della lavorazione artigianale”.
Una bellezza razionale, così potrebbe essere definita l’anima di Delpozo, a cui Font ha ridato un nuovo eclettismo atemporale, che si staglia per la sua intrinseca purezza, che ritorna all’origine e va verso un futuro etico, creando collezioni guidate da quella che lui stesso definisce un’“architettura organica”, curando sagome e volumi, puliti alla vista ma complicatissimi nella struttura, nei minimi dettagli, enfatizzandoli con applicazioni floreali e ricami fatti con materiali sperimentali, licenze poetiche che non sono mai leziose e didascaliche, ma parte integrante di una narrativa che viene dall’arte della proporzione, dall’accostamento, dal décor, ridefinendo nel contemporaneo gli intenti di William Morris e del movimento Arts and Crafts, che coniugava l’idea di dignità e avanguardia della maestria artigianale con il potere demiurgico del creativo e dell’opera bella.
TESSUTI NATURALI
Ogni collezione ha una relazione specifica e forte con l’uso di tessuti naturali, dall’organza al tulle di seta, al crêpe di lana, spesso abbinati a tessuti più moderni come il PVC; l’uso del colore è un altro aspetto importante, perché personale e unico. La produzione è interamente realizzata in Spagna, in piccoli atelier, consentendo di proteggere il valore e il know-how della lavorazione artigianale, restituendo una dimensione umana al savoir-faire artigianale.
Con queste premesse, chi non conosce Delpozo potrebbe aspettarsi un mondo vetusto e noioso, e invece è l’opposto: il marchio ha una forza vitale fortissima, respira freschezza e intuizioni creative oggi rare da incontrare, portando una sua precisa identità. Così come si vede nell’ultima Resort 2019, dove Font si è ispirato alle forme dei cactus del pittore coreano Kwang-ho Lee, sintetizzandone il contrasto tra la perfezione e la bellezza dei loro fiori e l’aridità delle loro foglie spinose.
‒ Stefania Seoni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44
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