C’è una piattaforma nel fashion internazionale che sta emergendo in modo travolgente. Nel suo segmento è leader da tempo, ma lo Zeitgeist la catapulta fuori dal contesto in cui è nata per farla divenire un serio problema anche per un tempo incontrastabili gruppi editoriali come Condé Nast o Hearst, entrambi con i loro imperiali headquarter radicati a New York.
Il successo di Hypebeast è un fenomeno rilevante da più punti di vista. Ma andiamo per gradi.
Hypebeast è in gergo una bestia (ossessionata) dall’hype (di moda). Lo hypebeast e la sua “babe” (hypebae) sono pronti a tutto per ottenerlo. Il termine è dispregiativo e ridicolizza una mancanza di stile proprio: hypebeast è chi acquista tutto ciò che il marchio di riferimento propone, e lo fa senza discernimento e senza distinzione, che si tratti di alta moda o di sneaker Air Jordans e Nike Skateboarding. Di grande appeal per un hypebeast sono le edizioni limitate da possedere a ogni costo, addirittura rivolgendosi all’usato.
La Hypebeast Limited è invece una società composta da media digitali, e-commerce (HPX) e studio creativo (Hypemaker). Offre contenuti moda per young & young adults. Le sue proprietà multimediali includono, oltre ai siti di moda maschile e femminile, un sito per bambini (Hypekids), un sito di alta moda femminile cinese (Popbee) e un magazine cartaceo trimestrale. L’headquarter di Hypebeast ha sede non a New York, Los Angeles o Parigi, ma a Hong Kong. Fondata nel 2005 come blog dal canadese di origine cinese Kevin Ma, allora 22enne, dal 2016 Hypebeast Limited è quotata al GEM – Growth Enterprise Market della Borsa di Hong Kong, specificamente progettato per le aziende emergenti.
“L’headquarter di Hypebeast ha sede non a New York, Los Angeles o Parigi, ma a Hong Kong”.
Il direttore editoriale di Hypebeast, Petar Kujundzic, è di origine tedesca, mentre la crew è un genere di mix etnico che puoi trovare solo in quella ricchissima porta della Cina che è l’ex colonia britannica, e i contenuti spinti sulle piattaforme la riflettono in pieno. Qui non esiste differenza fra alta moda e street style. L’abbigliamento è quasi esclusivamente dedicato all’athleisure: moltissimo Supreme e North Face, ma anche Gucci, Balenciaga e Céline non scherzano. L’automotive è pressoché tutto dedicato all’elettrico, ma il vintage Porsche e Aston Martin ingolosiscono. Il mondo hip-hop è rappresentato in tutte le sue declinazioni. E l’arte? Tanto Murakami, Banksy, Yayoi Kusama, Ai WeiWei, Kaws, Cai Guo-Qiang, una spruzzatina di Jeff Koons e Warhol, ma decisamente in second’ordine.
Le tipologie fisiche rappresentate non sono particolarmente marcate del punto di vista gender, molto più definibili invece da quello razziale: alta percentuale black in Hypebeast, più pronunciato il mix asiatico, latino, black per Hypebae. Ed è proprio il mix in tutte le sue espressioni Hong Kong style a risultare irresistibile. Se è vero che “è nei particolari che si nasconde il diavolo”, un caro saluto all’America First di Donald Trump…
‒ Aldo Premoli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #47
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