Palermo dice addio a Tindara Agnello. Mente e cuore della Coppola Storta
È scomparsa giovanissima l’art director di un marchio noto in tutto il mondo, partito in sordina da Palermo e apprezzato per la genialità e la qualità. Un ricordo di Tindara Agnello e un’occasione per raccontare il suo bellissimo progetto imprenditoriale.
Era il volto combattivo e gentile di un marchio vincente, conosciuto oltreconfine e apprezzato per la qualità della manifattura, la forza dell’idea, l’efficacia della macchina produttiva, del progetto di comunicazione, del lavoro col retail, tra i vari store aperti in Italia e all’estero. Tindara Agnello, art director de La Coppola Storta, lavorava a questa sfida da quando aveva 19 anni. E a 35 era ancora lì, con la sua dolcezza, la bellezza e l’intraprendenza, a raccogliere successi, a collezionare uscite sulla stampa, a immaginare nuovi orizzonti, a inventare altre declinazioni per il suo brand. Ma si è spenta all’improvviso, la sera del 22 febbraio scorso: si è accasciata e non si è più ripresa. Un malore l’ha portata via, senza preavviso.
Palermo piange una giovane designer e imprenditrice, che nella sua città era voluta restare, scommettendo sul lavoro in anni difficili, di crisi e di saracinesche chiuse. E alla sua Palermo Tindara aveva rubato energie e illuminazioni, tanto da costruirci sopra una carriera. Così aveva contribuito a restituire, con la sua piccola avventura creativa, un’immagine diversa della città. Differente, alternativa, consapevole. La ricetta: fare impresa su basi etiche e culturali, fra il territorio e il resto del mondo. Usando la forza di un concetto: capovolgere, spostare, modificare il senso e la prospettiva delle cose note. Che cambiano, con la volontà e il coraggio di operare uno switch, un gesto obliquo.
La coppola reinventata – con tanto di etichetta Made in Sicily – rompeva col passato, con un immaginario ammuffito e intriso di riferimenti alla mafia, per trasformarsi in oggetto di stile, di eleganza, di libertà compositiva. Folle, storta, irregolare, disobbediente e bellissima: un messaggio prezioso in un cappello.
STORIA DELLA COPPOLA PIÙ AMATA DI PALERMO
L’intuizione felice arrivò nel 2000 col papà Guido, che accanto a lei avrebbe continuato a lavorare. A supportare l’impresa, fin da subito, alcune eccellenze del panorama culturale italiano, come la ex direttrice di Casa Vogue, Isa Tutino Vercelloni, e l’artista e architetto Ugo La Pietra, insieme a istituzioni come la Fondazione Palazzo Intelligente e l’amministrazione di San Giuseppe Jato. E proprio in questo piccolo comune della città metropolitana di Palermo nacque l’azienda, grazie al successo di una mostra che esponeva coppole disegnate o reinterpretate da vip, stilisti, artisti, personaggi noti. L’idea piacque. E germinò.
L’accostamento di quell’accessorio tradizionale ai milieu mafiosi, ai padrini e i boss di provincia – ripreso mille volte dal cinema – andava archiviato: prendere un vecchio simbolo, fortemente connotato, e strapparlo al cliché. Non facile, ma stimolante. La portata simbolica dell’operazione era dirompente. L’accento posto sul recupero dell’artigianalità, sui network locali, sulla qualità sartoriale e i filati di pregio, fece il resto, insieme ai prezzi accessibili e alla scelta di evitare i circuiti più elitari del fashion.
A realizzare le coppole – esperimenti deliziosi di assemblaggi, rifiniture, impunture, tra pizzi, damaschi, velluti, lane, cotoni, fantasie di ogni sorta, tutto rigorosamente fatto a mano – furono delle sarte di San Giuseppe Jato. Sapienza artigianale e sperimentazione contemporanea: una linea che avrebbe connotato con forza l’industria della moda negli anni a venire.
Tra i modelli, a proposito di radici e riferimenti identitari, c’è quello chiamato “Meusa”, come la succulenta “milza” dello street food siciliano, fatto a spicchi, ampio e con un bottone in cima, oppure il classico “Pirandello”, simile al driving cap inglese, piatto e con un automatico sulla visiera. Poi sono arrivati quelli dedicati a Rosalia, la Santa Patrona di Palermo, o alla regina Costanza D’Aragona, moglie di Federico II di Svevia. Nel 2011 una bella iniziativa con Amnesty International presentava l’edizione limitata “La Coppola Storta per gli Umani Diritti”, connotando ancora il brand in chiave etica e sociale.
SQUADRA AL FEMMINILE E BUSINESS IN CRESCITA
E se il primo negozio monomarca si trova nel cuore della Palermo storica, in Via Bara all’Olivella – a due passi dal teatro Massimo e in mezzo a botteghe di pupari, ristornanti arabi, negozietti artigianali – l’azienda qualche anno fa si trasferisce a Piana degli Albanesi, roccaforte dell’antico dialetto “arberesh” e dell’originaria comunità siciliana d’Albania. Lì si spostarono le quattro operaie assunte in principio, mentre si coinvolgeva il resto del territorio per reclutare nuova forza lavoro e generare micro economia virtuosa. I lavoratori della Coppola Storta si erano intanto costituiti in cooperativa, la “Factory 23”.
In un’intervista del 2017, pubblicata sul blog napoletano Identità Insorgenti, la stessa Tindara raccontava con orgoglio: “È una cooperativa di donne straordinarie, artigiane di altissimo livello, che tengono in piedi questo business nato come uno sberleffo alla mafia e che ormai ha diffuso nel mondo oltre 150 mila esemplari a un ritmo in crescendo di oltre diecimila prodotti all’anno, con un fatturato di 300mila euro. Alcune di loro lavorano da casa, ricamano meravigliosamente, hanno una manualità di alto livello. E ne sono presidente e vicepresidente due di loro, perché l’operazione è stata portata avanti anche per coinvolgere in prima persona chi ha collaborato al progetto:loro due ci hanno accompagnato fin dall’inizio in questa avventura”.
Creare lavoro, nell’amore per il proprio territorio e con l’obiettivo di crescere, di innovare. In Sicilia, ultimamente, un fatto raro: incertezza e sfiducia dominano il sentire collettivo, in una cornice allarmante di povertà e disoccupazione. La sfida delle piccole e medie imprese resta ardua, spesso votata al fallimento. Mentre la crisi delle poche, grandi realtà industriali è ormai cronaca stanca, impantanata. Il marchio Coppola Storta, ancora una volta e anche in tal senso, racconta una storia diversa, di speranza e intraprendenza.
DA PALERMO AL MOMA DI NEW YORK
E tra conquiste, numeri incoraggianti e un’attenzione costante dei media, la Coppola Storta nel 2017 volò fino al MoMA. Paola Antonelli, curatrice del Dipartimento di Architettura e Design del museo newyorchese, aveva voluto quello strano oggetto, carico di memorie locali e di intelligenza creativa, per la sua mostra “Items: Is Fashion Modern?” (1 ottobre 2017 – 28 gennaio 2018), curata insieme a Michelle Millar Fisher. Un catalogo di piccole icone contemporanee; un’esplorazione ampia e articolata delle nostre radici recenti. Un archivio della memoria e dell’identità: 111 simboli, collocabili tra il XX e il XXI secolo, venivano declinati attraverso oltre 350 capi e accessori di diversi brand. Tra questi la mitica coppola siciliana, finita accanto a oggetti immortali, che per decenni hanno accompagnato vite, eventi, fatti privati e racconti pubblici, spot, manifesti, miriadi di riti quotidiani e di occasioni: i jeans, su tutti i Levi’s 501, la collana di perle, la kippah, la kefiah, il little black dress di Coco Chanel, i longdress di Dior e Saint Laurent, i completi di Armani, il piumino Moncler, tra i capi cult dei paninari negli Anni ’80, fino al reggiseno Wonderbra, che sdoganò il modello push-up. Geniale l’idea di coinvolgere un esercito di designer e produttori: mille possibili variazioni su tema, costruite con spirito nuovo, tecniche all’avanguardia, materiali inediti, concept originali.
Proprio quello che avevano fatto Guido e Tindara Agnello con le loro coppole postmoderne, sottratte all’immaginario mafioso e riabilitate con ironia e gusto contemporaneo: naturale fu la partnership con AddioPizzo, noto movimento antimafia, nato a Palermo nel 2004 e impegnato nella lotta contro il racket delle estorsioni mafiose. E naturali, a proposito di ricerca e innovazione, furono i progetti paralleli, come quello chiamato “Riciclaggio”, termine negativo associato alla criminalità e qui utilizzato come sinonimo di “riciclo” creativo ed ecologico. Spiegava ancora Tindara nel 2017: “L’idea è di far rivivere capi di abbigliamento abbandonati e a cui siamo particolarmente legati, trasformandoli in coppole personalizzate con materiale riciclato. A Natale ad esempio alcune nonne hanno regalato le coppoline ai nipoti fatte con loro abiti antichi: anche questo è identità. Ma ci sono arrivate richieste addirittura dalle Filippine”.
L’Oriente da conquistare, con progetti in corso anche in Giappone, avendo già raggiunto piazze importanti nel Nord Italia (da Milano a Torino) e in Europa, dall’Austria alla Germania.
I MESSAGGI DI CORDOGLIO
Un viaggio interrotto brutalmente. A dare per primo la notizia della scomparsa di Tindara è stato, sul suo profilo Facebbok, lo zio Manfredi Agnello, anche lui noto e stimato imprenditore palermitano. E con noi ha voluto così ricordare l’amata nipote: “Tindara, insieme a Guido, sono stati i “ rivalutatori” della coppola siciliana, rompendo gli stereotipi del simbolo mafioso “ coppola e lupara” e portando le coppole rivisitate fino al MoMA. Lei, col suo estro, il suo gusto e la sua dolcezza è riuscita a farsi ben volere da tutte le persone con cui ha avuto rapporti di lavoro. Lo hanno dimostrato i tantissimi messaggi affettuosi che mi e ci sono arrivati da clienti da tutto il mondo: la sua scomparsa ha suscitato un immenso dolore in chiunque l’abbia conosciuta e apprezzata”.
Ancora sui social, tra la valanga di post di cordoglio e di messaggi increduli, anche quello condiviso sulla pagina Facebook della Lega Coop Sicilia Occidentale, firmato da Filippo Parrino e Ornella Matta a nome di tutti i lavoratori della cooperativa: “(…) La cooperazione siciliana le deve moltissimo, ha creato il marchio Coppola Storta, prodotta per anni dalla nostra Cooperativa Factory 23. La sua creatività ha trasformato un simbolo negativo per la sicilia, in un simbolo di eleganza. Sono tante le sue creazioni, una giovanissima 35 anni, ci lascia un vuoto enorme. Alla sua famiglia tutto il nostro affetto. A Tindara un pensiero di amore”.
Parole commosse anche da AddioPizzo – “Trasmettevi un respiro di libertà. Grazie alla tua creatività hai trasformato uno steretipo, la coppola, in un simbolo positivo. Con “La coppola storta” hai portato la Sicilia più bella in tutto il mondo, fino al MOMA di New York. Ciao Tindara”” – e poi dal Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando: “Ho appreso con grande tristezza della morte di Tindara Agnello. Provo un grande dolore e sono affettuosamente vicino alla famiglia. Palermo perde una giovane donna che con passione, visione e amore ha saputo coniugare la cultura e l’impresa, l’impresa e l’orgoglio della propria sicilianità”.
Un pensiero colmo di tenerezza arriva da Paolo Falcone, curatore palermitano, noto nel mondo dell’arte contemporanea, che abbiamo voluto sentire. Di Tindara Agnello era stato compagno, fino a qualche tempo fa: “Siamo stati una coppia per tanti anni” ci dice. “Un amore bellissimo e profondo. Anni pieni di creatività, grande complicità. Uniti fino all’ultimo. Una donna speciale, con un talento straordinario e un’umiltà come pochi, che ha trasformato uno stereotipo in cultura, usando la storia e la tradizione a supporto di un gusto raffinato, divertente. Tindara è una grande siciliana, un talento solo da amare”.
I funerali sono attesi lunedì 25 febbraio, alle 11.30, presso la Chiesa Madre di Bagheria. L’ultimo saluto della Sicilia a una delle sue giovani figlie più gentili, brillanti, piene di passione.
– Helga Marsala
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