È stato senza dubbio il mercato a sottrarre alla famiglia, negli ultimi due secoli, la funzione di motore economico della vita quotidiana. Per millenni sono state tre le comunità dentro cui ogni individuo svolgeva la propria esistenza: la famiglia nucleare, quella allargata e la comunità locale ristretta. Tutto si svolgeva entro queste cornici: lavoro e sindacato e industria edilizia, sistema assistenziale, sanitario e scolastico, televisione giornali e persino polizia. Ora, con buona pace dei congressisti di Verona, alla famiglia è rimasto ben poco: forse solamente qualche funzione emotiva. Giusto? Sbagliato? Però è così. E di certo anche su questo versante i condizionamenti sono crescenti.
Il mercato modella – o si adegua – in maniera pronta le nostre preferenze, persino quelle romantiche e sessuali. In ogni caso, dà una mano a realizzarle senza badare agli ayatollah di qualsiasi religione o provenienza: lo fa senza pregiudizi, purché dietro congruo compenso. Nelle società di un tempo, il denaro connesso alla sessualità – che fosse di genere, riproduttiva o romantica – passava dalle mani di un pater familias a quelle di un altro. Oggi fluisce indirettamente ma massicciamente nei conti correnti di stilisti, make-up-artist, gestori di palestre, dietologi, chirurghi plastici che aiutano ad arrivare all’incontro tra i sessi in forma smagliante e quanto più possibile somiglianti all’ideale di bellezza certificato: dal mercato stesso.
“Il mercato modella in maniera pronta le nostre preferenze, persino quelle romantiche e sessuali”.
Un esempio un po’ brutale ma efficace è il trimmer. Un super (post? ultra?) rasoio con prestazioni che sino a poco tempo fa erano riservate alla regolazione della barba. Viene ora pubblicizzato come necessario per presentare un corpo maschile perfettamente depilato, per farne un oggetto del desiderio decisamente autoriferito, non si sa poi quanto realmente gradito dalla o dal partner di turno. Da qualche tempo non c’è inserzione pubblicitaria che non vanti le sue performance utili a depilare l’inguine, rimuovere i peli superflui ascellari e dare “finalmente” luce ai pettorali.
Del resto, l’abbigliamento e la cosmesi sono sempre stati strumenti di appartenenza a comunità di riferimento. Oggi le stesse appaiono sempre più immaginarie: grazie all’imparagonabile capacità comunicativa a cui abbiamo accesso, divengono sempre più transnazionali e post ideologiche. (Ahimè, quanto tristi e ridicoli appaiono i sovranisti dell’ultima ora…) A qualcuno potrebbe sembrare oggi implausibile che un giovanotto vegano e normocore nato a Nuoro possa trovarsi più a suo agio con una partner di Düsserdolf (vegana e normcore pure lei) piuttosto che con la sua vicina di casa capace di un ottimo agnello in umido e per di più pasionaria di Antonio Marras?
‒ Aldo Premoli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #49
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati