Messi da parte per una volta le tre matrici storiche (Kawakubo, Yamamoto e Myake) diamo conto qui del lavoro dei designer giapponesi appartenenti alla generazione successiva ma sempre saldamente ancorati alle presentazioni francesi. Come i loro predecessori hanno scelto di sfilare a Parigi e non a Tokyo, come i loro contemporanei non disdegnano di intersecare le loro collezioni con accessori costruiti da specialisti come Nike, All Stars o New Balance. Definire questa nuova pattuglia come “derivati” dei tre grandi apripista potrebbe apparire offensivo vista la qualità del loro lavoro: ma solo da noi, perché lo è molto meno in una terra dove il rapporto tra maestro e allievo è costruito sul rispetto reciproco ad entrambi gli estremi della linea che li unisce. In ogni caso i nomi di Chitoso Abe, Mihara Yasuhiro, Junya Watanabe, Jun Takahashi e Takahiromiyashita molto noti ai connoisseur, restano ancora quasi sconosciuti al grande pubblico occidentale. Due di loro hanno particolarmente brillato durante queste ultime presentazioni uomo SS 2010.
UNDERCOVER BY JUN TAKAHASHI
Brillato nel buio nel caso di Takahashi: nel suo invito “Tengo in me una bestia, un angelo e un pazzo” ha dichiarato di riconoscersi perfettamente in questa frase di Dylan Thomas. Da un designer giapponese ti aspetti anche questo e lui al momento è forse il migliore del nuovo drappello. Sull’infinita serie di capispalla neri o grigio fumo usciti in passerella è apparsa la sagoma dell’ombra cinematografica di Nosferatu insieme ad abbondanti riproduzioni (per gentile concessione) di Cindy Sherman rese con stampe sbiadite al centro, su una tasca o sul retro di molti capi; e poi ragnatele ricamate o plissettate e inquietanti toppe-cicatrici. Takahashi in questa presentazione ha abbandonato i trionfi dello streetwear che disegna da dieci anni con linea Gyakusou per NikeLab. Al posto di t-shirt e cargo pant ha proposto giacche di buon taglio e messo l’accento sui dettagli, come nei cappotti indossati a pelle, percorsi da strisce create da stampe permanenti o pannelli di eco pelle incollati. Rafforzano le linee pulite della collezione, cardigan in colori neutri (ma realizzati con annodature differenti nello stesso capo) e pantaloni di linea sartoriale che pure non hanno rinunciato a qualche trick, come i tagli al ginocchio visibili solo in movimento.
SACAI BY CHITOSO ABE
Definire maschile questa collezione è impossibile. Basterebbe pensare al numero di modelle utilizzate per la sfilata di Chitoso Abe. Complesso, funambolico eppure “leggero” sono invece i vocaboli appropriati per definire il lavoro di questa allieva di Rey Kawakubo dotata di una personalissima capacità di mixare concetti volumi e tessuti: dettagli athleisure, scritte e tricot, stampati animalier e pizzi madras, patchwork, paillettes e fantasie tropicali declinate in colori chiusi: tutto ciò in un profluvio di sovrapposizioni evanescenti e volumi extra-large. Sulle sagome drappeggiate sono apparsi volumi impilati a formare un look così complesso da sfiorare qualche volta l’impossibile. Non si tratta in ogni caso di una collezione femminile che ha sbagliato data di presentazione: semplicemente è la collezione di Chitoso Abe, una designer che tradisce la sua speciale sensibilità qualsiasi cosa provi a fare. E nemmeno si tratta di gender fluid, parola già abusata: nessuna forzatura, nessuna dichiarazione, piuttosto un ripescaggio di archetipi del guardaroba maschile – abito grigio, trench, smoking, giubbotto militare – erano tutti presenti in questo nuovo esercizio, magari più elegante del solito ma presentato con la stessa apparente indifferenza di sempre.
– Aldo Premoli
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