La sfilata di Gucci ai Musei Capitolini (Artribune ne aveva parlato qui) si è chiusa con una conferenza stampa: Alessandro Michele, seduto al centro della prospettiva di uno dei corridoi, dove poco prima sfilavano le sue invenzioni, parla con la stampa e, per spiegare la collezione, parla di sé. Si comporta come quei registi a lui affini: come l’ultimo Almodovar di Dolor y gloria e prima ancora il Federico Fellini di Otto e mezzo, artisti capaci di parlare di sé solo attraverso la propria capacità artistica. Dice subito di essere stanco, lo dice più volte e sicuramente parla di una stanchezza fisica dettata dalle difficoltà di realizzazione dell’evento, per cui ringrazia tutti coloro che con entusiasmo lavorano con lui. Ma da ciò che dice dopo si intuisce subito che la stanchezza è anche emotiva.
ALESSANDRO MICHELE E ROMA
È l’energia che si è dispersa in un luogo che per lui rappresentava tanto, è il peso di quel vuoto che si prova quando si torna a casa e non ci sono più le persone che c’erano prima: è Roma la sua città-casa di cui i Musei Capitolini sono la sintesi, la casa di famiglia affollata da tanti, nuovi personaggi. Alessandro Michele frequentava il Museo durante la propria infanzia, con il padre; ora è “lo sfondo dove si muovono i personaggi del suo film”, è uno dei simboli di una Roma storica e archeologica, dell’antica radice che dona l’immortalità creativa, come recita il testo di Paul Veine scritto con le bombolette spray sul lenzuolo appeso come da occupanti all’entrata del Museo: “Car seule l’antiquité paienne éveillait mon désire parce que c’etait le monde d’avant, parce que c’etait un monde aboli”. Il concetto di paganesimo e quello di libertà tornano continuamente nel racconto di Michele, nella città amata dove rito e anarchia convivono all’ombra di una ufficiale identità religiosa. L’art director dice che i suoi modelli sono trasandati come lo è Roma perché reinventano continuamente la storia e le tradizioni, liberi da millenni di sovrapporre segni e ricordi. Una teoria che cammina sui corpi di modelli sempre più autentici “come ragazzi in una metropolitana di Berlino”, che indossano tuniche color carne sul corpo nudo o bianche come lenzuola di una maschera improvvisata su abiti finiti.
MODA, GENERI E CORPO FEMMINILE
Dice che il Papa è umano, parla contemporaneamente di realtà oggettiva e di ispirazione al mito, si muove nella consapevolezza della realtà dell’esistenza e nella necessità del rapporto con l’irreale. Pensieri che diventano giacche, cappotti, accessori che sono gli stessi frammenti di un discorso che non si è interrotto dai suoi inizi ad oggi, prosegue in una messa a fuoco continua, stimolato da ricordi interiori come da eventi pubblici politici, sociali e culturali. Così la libertà di espressione di Michele viene spesa per contrastare chi sta mettendo in discussione i diritti femminili: l’artista che ha cancellato i generi capisce di dover sostenere una parte, quella femminile, dall’alto della propria posizione. Fa una premessa toccante, spiega che chi ha il privilegio di poter parlare e di essere ascoltato da tante persone ha anche il dovere, oltre che il diritto, di farlo. Parla con l’abito chiaro sul quale è rappresentato l’apparato di riproduzione sessuale femminile, ricamato come il più prezioso dei fiori. L’utero diventa un luogo sacro, che tale rimane se si rispettano le scelte della donna. Un abito, infatti, riporta il numero della legge sull’interruzione della gravidanza, il 194, che diviene simbolo di una libertà intoccabile, come la data dell’approvazione della legge stessa, ricamata come uno slogan da sfoggiare.
MODA, POLITICA E IMMIGRAZIONE
È molto esplicito il suo dire, è sincero e coraggioso, a pochi giorni dal cambiamento del panorama politico, dichiara che non concepisce l’intolleranza, che accoglierebbe tutti quelli che cercano scampo alle ingiustizie: “vorrei che tutti stessero qui”. I suoi “altri” hanno lunghi capelli rossi su magri corpi maschili, hanno la pelle scura o troppo chiara, sono aggressivi e disarmonici, indossano abiti di Gucci anche se sembra che non se lo possano permettere. Anche il pubblico è connotato da uno stile che non tollera la certezza della forma e del formalismo. Un pubblico di artisti, attori, intellettuali che sono andati da Cascianelli, la libreria romana di via dell’Anima, a ritirare il loro invito: un libro vecchio. Si confrontano per scoprire che libro hanno avuto, grammatiche latine, tragedie greche, commedie di Goldoni: pile di libri incartati con carta rossa e allestiti in una sala dell’antichissima libreria dove un pubblico di giornalisti, buyer, ospiti tutti un po’ stravaganti si guarda intorno sorpreso e curioso. Ospiti straordinari come Elton John e Naomi Campbell vicino alla sindaca Virginia Raggi, elegante e appropriata anche lei in Gucci, Harry Styles, Salma Hayek, Saoirse Ronan, Asap Rocky, Zoe Saldana, Valeria Golino, Carolina Crescentini, Maria Carla Boscono con il compagno Ghali e molti altri. Ospiti di Gucci e di Roma che, in un party a Palazzo Brancaccio, diventano più di cinquecento e si ritrovano sotto il palco allestito per un fantastico concerto di Stevie Nicks, grande cantautrice e solista dei Fleetwood Mac nota ai più giovani per l’apparizione nella serie American Horror Story. È lei l’ultimo personaggio che Alessandro Michele chiama a ripopolare la sua città: la strega, la zingara del Rock che ha già compiuto settant’anni ma canta con una voce ancora piena di quel fascino femminile che ha ispirato altre icone da Madonna a Lana del Rey.
–Clara Tosi Pamphili
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