Milano Fashion Week 2019: la moda dopo Greta

Inizia con un “avviso ai naviganti” la Fashion Week milanese, una settimana che strategicamente apre con Prada e chiude con Gucci le fila di un pubblico meno consistente e visibile degli altri anni.

Mentre in contemporanea le piazze di tante città del mondo sono piene di bambini e ragazzi pronti a spiegare agli adulti che è ora di finirla, anche qui la moda cerca di far parte del futuro responsabile. Un allarme che suona oramai così spesso da molti fronti ma che inizia a trasformarsi in progetto di cambiamento. A New Awarness apre la Fashion week: è una piattaforma che vuole far conoscere il modo in cui si può attuare questo cambiamento, fondamentalmente, con una collaborazione tra chi pensa e chi fa più autentica.

A NEW AWARNESS: LE SFIDE

La prima edizione presenta alcune nuove proposte per una sostenibilità consapevole con i progetti innovativi di Fashion Revolution, Wrad Living, Bethany Williams, Helen Kirkum, Duran Lantink, Awareness Infinitum, Consorzio Detox, Manteco, Marini Industrie e Com.i.stra. Propone una identità nuova che va oltre la constatazione degli aspetti economici e socio-politici come il costo del lavoro, la complessità della filiera, l’instabilità del mercato, il prezzo delle materie prime, la delocalizzazione e la crisi economica che hanno aumentato l’impronta ambientale e sociale della moda. L’industria è caratterizzata da problematiche critiche e da sfide impegnative. Ogni anno 93 miliardi di metri cubi di acqua vengono usati per la produzione tessile; il 20% dell’inquinamento globale delle acque dolci proviene da trattamenti tessili e fasi di tintura; ogni anno vengono prodotti 100 miliardi di capi, mentre il 35% del totale dei materiali immessi finisce per diventare scarto.

A NEW AWARNESS: GLI IDEATORI

A New Awareness è stata ideata da Sara Maino Sozzani e sviluppata insieme ai fashion thinkers Marina Spadafora, Matteo Ward e Hakan Karaosman. A partire da settembre 2019 in 10 Corso Como – Tazzoli è attiva una serie di eventi che proseguiranno nel corso dell’anno in una seconda fase. Promuovendo collaborazioni industriali nel settore moda, il sostegno a talenti creativi provenienti da settori diversi e l’incontro di opinion leaders e decision makers, A New Awareness vuole diventare un acceleratore della sostenibilità nel contesto della moda, attraverso una comunicazione trasparente e dibattiti su un’economia circolare e responsabile. Con questo bagno di consapevolezza, come una prima visita dal dietologo, che ci dà numeri troppo precisi, entriamo nella fiera delle Vanità fashion come chi entra da Peck, a Milano, o in qualsiasi altro tempio della gastronomia sapendo ogni caloria che effetto avrà sul nostro corpo. A rafforzare la domanda del perché produrre ancora, perché comprare ancora se abbiamo il frigorifero pieno e la roba sta scadendo, ci sono anche le collezioni: nulla fa pensare che valga la pena fare uno stravizio o prendere un prestito per comprare quella borsa o quel vestito.

LA MODA COME FENOMENO DI SOVRAPPRODUZIONE

La moda che passa davanti ai nostri occhi in questi giorni l’abbiamo già vista sei mesi fa, un anno fa, dodici mesi fa. Un sistema che sembra coprirsi le orecchie e cantare ad alta voce per non sentire il rumore del cambiamento. Allora ci interroghiamo: forse questa economia così pericolosa per il pianeta, ma così redditizia, meriterebbe un lavoro più attento anche nell’invenzione oltre che nella produzione. Ci chiediamo che tipo di analisi venga fatta dai designer sulle molte variabili che generano nuove mode: psicologiche, politiche, economiche, comunicative e ambientali. Chi di loro si pone il problema della continuità storica e delle variazioni portate dai fenomeni sociali? Non basta lo slogan sulla maglietta, ce lo siamo già detto. Ognuno fa il suo sentendosi più artista che designer, qualcuno emerge e qualcuno opera da manierista, tante collaborazioni trasversali, tanti modi per ostentare la capacità di saper fare altro oltre ai vestiti da cui emerge solo poco coraggio. Né coraggio né cultura: non ci si ispira più ai Balletti Russi del 1910 come facevano Yves Saint Laurent e John Galliano, ma all’ultima serie televisiva, o all’artista amico seduto in prima fila, al cantante, all’influencer. Volano aggettivi polivalenti per connotare la mancanza di stile, identità e tempo, quello che connotava una collezione e che l’ha resa immortale. Ora quel tempo non c’è più e tutto sembra fatto apposta per riempire il Wast contro cui poi qualcuno si accanirà con una scritta su una T-shirt. Borghese è uno degli aggettivi più usati in questi giorni.

PRADA ALLA MILANO FASHION WEEK 2019

Uno stile borghese, come quello proposto da Prada che sfila la sua S/S 2020 in via Lorenzini, negli spazi della Fondazione in un allestimento di travi a vista arancioni e pavimenti di mattonelle, con un parterre dove spicca in altezza e bellezza Nicole Kidman. Tessuti capaci di tradurre una nuova operosità femminile, chiffon e lane, colori tenui e colli allacciati, lunghezze sotto il ginocchio. Una collezione che non mostra più qualità astratte e visionarie ma intelligenza, benessere, salute fino alla più pericolosa virtù coniugale. I cappelli sono l’indizio che, nel nostro immaginario, ce le fanno immaginare Ancelle che sfilano, protagoniste di uno storyboard degno di Margaret Atwood. I decori non ci sono, nulla di superfluo e l’unico segno, a volte una palma a volte una piuma stilizzate, compare quasi come un logo di appartenenza a qualcosa. Semplice, essenziale, accentuato da mocassini, piccole borse anche di paglia. Un prodotto che copieranno in una notte e che non attrae quel pubblico che spende ancora cifre impensabili, troppo poco connotato: operazione raffinatissima, come un suicidio con il laudano.

FENDI ALLA MILANO FASHION WEEK 2019

Nell’incertezza che la moda vada verso il tramonto, Silvia Fendi fa sfilare la sua collezione sullo sfondo di un grande sole che per lei è più quello di un’alba, anche se ha il colore rosso vivo proprio del Sunset. La sfilata si chiude, infatti, sulle note di The Sun Shine in: “May the Sun spine in and the day be great”, che il sole brilli e la sorte ti sorrida. Una cerimonia di rinascita per un brand che ora vede solo lei alla guida, un inno di serenità, quasi di libertà. La collezione che continua a usare l’inusabile per tutti gli altri è proprio così: libera, serena, come le donne che la indossano. La palette dei colori è l’unico segno di continuità, quei toni dei marroni, ocra, giallo contraddistinguono Fendi come un fenomeno artistico. Sembrano materiali naturali anche se frutto di lavorazioni sartoriali: sembrano intrecci di corde o spugne, invece sono pelle e pellicce. Totalmente assente, se non per una scritta intera su una borsa, il logo, nonostante il pubblico più fedele del brand ci sia molto affezionato. Operazione raffinata anche quella di Fendi che, però, corre gli stessi pericoli di Prada anche se può contare su una difficilissima riproducibilità dei suoi modelli, soprattutto di quelli in pelliccia…

-Clara Tosi Pamphili

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Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili si laurea in Architettura a Roma nel 1987 con Giorgio Muratore con una tesi in Storia delle Arti Industriali. Storica della moda e del costume, ha curato mostre italiane e internazionali, cataloghi e pubblicazioni. Ideatrice e curatrice…

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