L’8 e il 9 novembre si è tenuta a Londra una conferenza internazionale intitolata Fashion and the Politics of Heritage, promossa dall’European Fashion Heritage Association (EFHA), in collaborazione con London College of Fashion, Parsons Paris e Università Iuav di Venezia. La ricchissima lineup ha visto interventi da parte di accademici e professionisti, dai quali è emersa la necessità di ripensare al discorso moda in rapporto con il tempo. Laddove è intrinseca nella semantica della moda una tensione verso il futuro nella sua ontologica promozione dell’effimero e del cambiamento, gli archivi, sia pubblici che privati, stanno acquisendo un’importanza sempre maggiore nella costruzione dell’identità storica e storicizzata dei brand.
Oggi gli archivi hanno un budget dedicato e il concetto di heritage rimpolpa le strategie di marketing e digitali con lo scopo di preservare, comunicare e promuovere la longevità dell’impresa e, di conseguenza, di preservarne la reputazione. L’archivio, lontano dall’essere mero deposito di oggetti in custodia, assume un ruolo attivo, generatore di valori tangibili e intangibili che risuonano nel presente. La stessa Vivienne Westwood, che ha sempre fatto dell’abito uno strumento di rottura e destrutturazione del presente, prima attraverso il punk e poi con l’attivismo politico ed ecologico, ha dichiarato di essersi percepita per la prima volta come designer quando ha imparato a guardare indietro, alla storia, con la sua prima sfilata della collezione “Pirate” AI 1981/82, che segna l’inizio di uno stile neo-romantico. Da lì in avanti il suo linguaggio verterà sulla reinterpretazione della britannicità e dei suoi codici, con costanti riferimenti alla tradizione sartoriale inglese e scozzese.
Abbiamo cercato di carpire i segreti nascosti nell’archivio con Dolce Cioffo, Archive e Special Project Manager per Vivienne Westwood e relatrice durante la conferenza.
L’INTERVISTA
Vorrei che partissimo da quella che è una descrizione del tuo ruolo. Cosa succede all’interno del Vivienne Westwood Archive?
Essendo a capo dell’archivio e di un team composto da quattro persone, il mio ruolo è quello di assicurare il corretto mantenimento di tutto il materiale compreso nell’archivio di Vivienne Westwood: dalla cura di per sé dei pezzi ai prestiti verso gli altri dipartimenti (press e ufficio stile in primis) mostre o celebrity dressing, all’archiviazione delle nuove collezioni. Gestisco inoltre gli special project, che variano da mostre con i musei più importanti al mondo a sfilate e campagne pubblicitarie, così come servizi fotografici. È un ruolo molto vario, impegnativo, a cavallo di vari dipartimenti, che comporta notevoli responsabilità e mole di lavoro. Essendo Vivienne Westwood una compagnia con struttura orizzontale, mi è stato possibile spaziare oltre l’archivistica e plasmare il mio ruolo in base alle mie preferenze e necessità. Reputo questo un lusso.
Da quando esiste l’archivio Vivienne Westwood? Ovvero, da quando si è passati da un deposito caotico a una catalogazione sistematica?
L’archivio esiste praticamente da sempre ‒ nasce con il brand e l’azione di Murray Blewett, attualmente design manager, fashion connoisseur e collezionista. La struttura dell’archivio di per sé si è plasmata con gli anni ed è in costante cambiamento – sembra non ci sia mai abbastanza spazio! Attualmente comprende tutte le collezioni dal 1970 a oggi, incluse le diverse linee del brand e accessori. Le collezioni non sono tutte al completo, molto manca dell’era punk e dei primi Anni Duemila. Il 2015 segna sicuramente uno spartiacque per il nostro archivio, in quanto è stato implementato da allora un sistema di monitoraggio chiamato Fashion GPS, che ha completamente cambiato le regole del gioco. Un caso esemplare di come la tecnologia abbia migliorato l’efficienza del nostro lavoro.
Puoi dirci di più di questa rivoluzione tecnologica? Come funziona il Fashion GPS?
Il concetto di fashion archiving si è sviluppato solo di recente: negli Anni Novanta i look delle sfilate venivano regalati con molta più facilità a top model o VIP e la mancanza di un sistema di monitoraggio dei vestiti faceva sì che molto andasse perso tra press o progetti vari. Ora invece l’iter di archiviazione è abbastanza lungo e articolato: le collezioni delle sfilate di ritorno da Parigi/Londra vengono subito catalogate, fotografate e inserite nel Fashion GPS system. Da lì in poi vengono affidate prima allo showroom team per la stagione vendite e poi al press per la stagione stampa. Dopo sei mesi vengono archiviate, ricondizionate e conservate nel modo più conveniente. In base alle linee (Vivienne Westwood, Andreas Kronthaler per Vivienne Westwood, Red Carpet, Couture etc.), viene fatta una cernita di cosa tenere e cosa no. In linea di massima, i look della passerella vengono sempre archiviati.
Qual è la policy che sta dietro all’implementazione del vostro archivio?
Il Vivienne Westwood Archive è un archivio commerciale di matrice molto pragmatica. Viene usato prima di tutto come fonte di ispirazione dai design team, da Vivienne e Andreas Kronthaler, suo marito e attuale creative director. Press e Celebrity Dressing hanno continue richieste per progetti speciali e collaboriamo con curatori e musei di tutto il mondo per mostre ed eventi. Di rado forniamo un servizio di autenticazione di pezzi Westwood e attualmente l’archivio non è attivo nel riacquistare collezioni passate o pezzi che abbiamo perduto.
Archiviare è sempre un atto politico, nel senso che si seleziona ciò che sta dentro e fuori l’heritage di un brand. Cosa ne pensi? È interessante peraltro questo discorso, considerando che spesso abiti e slogan della Westwood sono indissolubilmente legati alla politica, fin dalle origini.
Credo questa sia una definizione molto opportuna nel mio caso, lavorando per una designer quale Dame Vivienne che permea di ideologia tutto. Avrete sicuramente sentito parlare della filosofia del “Buy Less, Choose Well”, pilastro dell’ideologia westwoodiana degli ultimi anni. Comprare abiti di manifattura più elevata permette di comprare meno ed evitare spreco e inquinamento. In tale contesto, l’archivio assume un ruolo fondamentale non solo ideologico, ma anche pratico. Nella sfilata AI 18/19, ad esempio, capi d’archivio vennero fatti sfilare con capi di nuova collezione per ribadire il concetto.
Alla luce della tua esperienza nel settore, quale pensi sia il valore aggiunto che offre un brand archive?
Dal mio punto di vista gli archivi commerciali di moda offrono l’esempio più tipico di come il valore simbolico di un archivio possa trasformarsi e creare valore economico. Questo succede non solo quando i modelli del passato sono utilizzati per ispirare nuovi design, infatti, con l’era digitale, gli archivi hanno acquisito anche un altro valore legato al brand heritage marketing, utilizzato anche nelle campagne sui social media. Ho un esempio molto concreto di come il Vivienne Westwood Archive abbia prodotto un valore economico tangibile: nel 2018 il MoMA organizzò la mostra Items: Is Fashion Modern? chiedendoci una minigonna-kilt della collezione Anglomania del 1993 prodotta in Red Mac Andreas tartan. Di questo specifico kilt era stato perso l’unico esemplare d’archivio in un prestito per una mostra precedente e non ne avevamo più traccia. Attraverso una ricerca d’archivio più approfondita siamo riusciti a ricostruire il tessuto e far rifare il pezzo. In contemporanea alla mostra, è stata lanciata poco dopo sul mercato una collezione in edizione limitata di questo kilt per uomo e donna che è andata immediatamente sold out grazie a un’azione combinata di press e marketing/digital.
Vorrei concludere facendo un piccolo gioco. Assoceresti alcuni momenti salienti della carriera di Vivienne Westwood con un oggetto contenuto in archivio?
Temo di fare un po’ fatica a limitarmi in pochi punti per una donna che ha creato così tanto. Ma per citare oggetti che fisicamente abbiamo in archivio che simbolizzano tratti o momenti importanti nella carriera di Vivienne direi: 1. Rock chicken bone T-shirt (1971, Let it Rock): il susseguirsi dei vari negozi, il movimento punk e la sua relazione con Malcolm McLaren; 2. Il look di Naomi e le scarpe della medesima collezione (AI 93/94, Anglomania): l’ascesa al successo e Parigi. Vivienne si afferma come designer; 3. La tradizione sartoriale nello show Vive la Cocotte (AI 95/96): l’eccellenza del prodotto e la rielaborazione delle istanze e modelli culturali che contraddistinguono il lavoro di Vivienne (la cultura inglese, la storia della moda francese, eventuali artisti come Gainsborough ecc.); 4. Save the Arctic T-shirt: l’attivismo sociale e politico; 5. Il Dirndl Dress di Andreas Kronthaler: il presente.
E il tuo un pezzo preferito in archivio?
Domanda ardua. Il vestito Queen of Sheeba (Vive la Cocotte, AI 95/96) è sicuramente una delle cose che sognerò per tutta la mia vita. Un corsetto ricamato con pietre e paillettes sopra una gonna di piume di struzzo ‒ venne indossato da Linda Evangelista e Demi Moore. Questo pezzo rappresenta per me il trionfo della femminilità e del suo potere. Vivienne ha da sempre lavorato per rendere noi donne sexy, forti e libere e credo che questo pezzo più di tutti lasci trasparire la grandezza del suo intento e come ci sia riuscita.
‒ Nadia Saccardi
https://www.viviennewestwood.com
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