Tra inferno e festa. Lo show di Barbara Bologna alla Milano Fashion Week

In risposta a un presente fatto di incertezza nei confronti del futuro, Barbara Bologna ha messo in scena a Milano una sfilata fortemente attuale.

Mai una sfilata è stata più anticipatrice dei tempi. A soli 10 giorni dalla conclusione della Milano Fashion Week, improvvisa e brusca a causa della decisione di alcune case di sfilare a porte chiuse e del fuggi fuggi generale dovuto all’accendersi di focolai di coronavirus in territorio lombardo, l’evento di presentazione della collezione F/W2021 di Barbara Bologna sembra risuonare ancora e invitarci a riflettere sulla nostra contemporaneità.
Negli spazi del Teatro dell’Arsenale il pubblico è stato invitato ad accedere indossando tute bianche simili a quelle usate nei laboratori medici e batteriologici, viste in tante serie tv e molto presenti oggi nella narrazione mediatica dell’epidemia che ci vede coinvolti.
Più che una forma di protezione dall’alterità, la scelta appare come la ritualizzazione di un ingresso a un mondo altro, una mise en scène che invita il pubblico a una complicità performativa e che mira a evidenziare la forza virulenta e virale dell’immaginario proposto dalla stilista: un mondo abitato da una TRIBÙ, titolo della collezione, di creature mutanti, geneticamente modificate.
Otto i mood della collezione ‒ DARK ME, GENETICS, I CANDY, SAVE THE CHEERLEADER-SAVE THE WORLD, PUBLIC SEX, PSYCO KILL, RUN WITH ME, MY BRUTALITY ‒ che rispondono allo statement della stilista, che dichiara di voler “costruire un habitat con persone lussureggianti come piante, fiori e frutti, perché cresciute nella fertile terra degli immaginari, bagnata dalle acque di molteplici fonti di giovinezza post-internet, che conservano le caratteristiche di quelle antiche: purificatrici, benefiche, catartiche, capaci di resuscitare dalle morti”.

Tribù di Barbara Bologna alla Milano Fashion Week 2020. Photo Daniele Golia

Tribù di Barbara Bologna alla Milano Fashion Week 2020. Photo Daniele Golia

PARADOSSI E DINTORNI

L’invasione degli ultracorpi e dei corpi ultracoperti visti in passerella al Teatro dell’Arsenale sembra oggi invitarci ad acquisire una condizione, quella di vivere in un pianeta infetto (cit. Haraway), e ci richiama a farlo con gioia, libertà di immaginazione, invocando l’alterità, l’alterazione, l’ibridazione come uniche prospettive possibili.
Di fronte alla crescente normativizzazione che ingloba e cannibalizza anche gli scenari controculturali, Barbara Bologna pensa la sua collezione con un profilo/carattere radicale che permea tutta la catena produttiva, dal casting alla co-creazione della performance che condivide con suoi modelli, con cui costruisce narrazioni in forma comunitaria. Questo ha portato il team genderless a riscrivere, più che il mood di una collezione, un vero e proprio “manifesto” generazionale. Il confine tra abito e corpo fisico e mediatico si smaterializza attraverso una sculturalizzazione degli elementi che sembrano non tanto schermare l’interno dall’esterno, quanto estruderlo attraverso geometrie non euclidee, efflorescenze, stampe, colori dalle tinte violente e “sintetiche” realizzate con strategie ecosostenibili. L’immaginario post internet si mescola con il fetish, il fantasy e l’ultrapop, tra teschi messicani e mondi di caramelle fluo che richiamano le aidoru giapponesi come le cheers lady, in un mash-up che combina la virtualizzazione dei corpi all’eccesso delle forme create nella collezione proposta.
Tribù incalza e provoca paradossi attraverso l’apparato scenografico e visivo: in una serie di proiezioni in 3D, realizzate con la collaborazione di Ced Pakusevskij insieme all’art director e designer Elisabetta Giovi, accosta gli scenari post-apocalittici all’ambiguo bagliore di una luce dove campeggia la scritta PURIFY.

Tribù di Barbara Bologna alla Milano Fashion Week 2020. Photo Daniele Golia

Tribù di Barbara Bologna alla Milano Fashion Week 2020. Photo Daniele Golia

L’INFERNO E LA FESTA

A mutare nella sfilata è anche il corpo della stilista, che non si sottrae al suo stesso invito e si fa tatuare live una delle immagini grafiche create dall’artista tatuatrice Dalila Iardella.
La carrellata orgiastica di visioni esplode in un party finale che libera in modo oracolare le creature della sfilata e le mescola in un bagno di suoni e danze con il pubblico, liberando quest’ultimo dalla tensione e dalla struttura binaria che le tute antibatteriche avevano sancito.
Se la presentazione della collezione 2019 alla sua conclusione apriva alla domanda Se fosse l’inferno quello di cui abbiamo bisogno?, a pochi mesi di distanza Barbara Bologna sembra rispondere affermando che l’inferno è qui, adesso e che può essere goduto come una grande festa. Occorre solo trovare coraggio, strategie e una tribù che faccia di questa festa un rito corale, a colpi di pistole ad acqua, come nel suo finale.

Maria Paola Zedda

http://www.barbara-bologna.com/

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Maria Paola Zedda

Maria Paola Zedda

Curatrice ed esperta di performance art, danza e arti visive, rivolge la sua ricerca ai linguaggi di confine tra arte contemporanea, danza, performance e cinema. Ha lavorato come assistente e organizzatrice per oltre un decennio nelle produzioni della Compagnia Enzo…

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