Mai una sfilata è stata più anticipatrice dei tempi. A soli 10 giorni dalla conclusione della Milano Fashion Week, improvvisa e brusca a causa della decisione di alcune case di sfilare a porte chiuse e del fuggi fuggi generale dovuto all’accendersi di focolai di coronavirus in territorio lombardo, l’evento di presentazione della collezione F/W2021 di Barbara Bologna sembra risuonare ancora e invitarci a riflettere sulla nostra contemporaneità.
Negli spazi del Teatro dell’Arsenale il pubblico è stato invitato ad accedere indossando tute bianche simili a quelle usate nei laboratori medici e batteriologici, viste in tante serie tv e molto presenti oggi nella narrazione mediatica dell’epidemia che ci vede coinvolti.
Più che una forma di protezione dall’alterità, la scelta appare come la ritualizzazione di un ingresso a un mondo altro, una mise en scène che invita il pubblico a una complicità performativa e che mira a evidenziare la forza virulenta e virale dell’immaginario proposto dalla stilista: un mondo abitato da una TRIBÙ, titolo della collezione, di creature mutanti, geneticamente modificate.
Otto i mood della collezione ‒ DARK ME, GENETICS, I CANDY, SAVE THE CHEERLEADER-SAVE THE WORLD, PUBLIC SEX, PSYCO KILL, RUN WITH ME, MY BRUTALITY ‒ che rispondono allo statement della stilista, che dichiara di voler “costruire un habitat con persone lussureggianti come piante, fiori e frutti, perché cresciute nella fertile terra degli immaginari, bagnata dalle acque di molteplici fonti di giovinezza post-internet, che conservano le caratteristiche di quelle antiche: purificatrici, benefiche, catartiche, capaci di resuscitare dalle morti”.
PARADOSSI E DINTORNI
L’invasione degli ultracorpi e dei corpi ultracoperti visti in passerella al Teatro dell’Arsenale sembra oggi invitarci ad acquisire una condizione, quella di vivere in un pianeta infetto (cit. Haraway), e ci richiama a farlo con gioia, libertà di immaginazione, invocando l’alterità, l’alterazione, l’ibridazione come uniche prospettive possibili.
Di fronte alla crescente normativizzazione che ingloba e cannibalizza anche gli scenari controculturali, Barbara Bologna pensa la sua collezione con un profilo/carattere radicale che permea tutta la catena produttiva, dal casting alla co-creazione della performance che condivide con suoi modelli, con cui costruisce narrazioni in forma comunitaria. Questo ha portato il team genderless a riscrivere, più che il mood di una collezione, un vero e proprio “manifesto” generazionale. Il confine tra abito e corpo fisico e mediatico si smaterializza attraverso una sculturalizzazione degli elementi che sembrano non tanto schermare l’interno dall’esterno, quanto estruderlo attraverso geometrie non euclidee, efflorescenze, stampe, colori dalle tinte violente e “sintetiche” realizzate con strategie ecosostenibili. L’immaginario post internet si mescola con il fetish, il fantasy e l’ultrapop, tra teschi messicani e mondi di caramelle fluo che richiamano le aidoru giapponesi come le cheers lady, in un mash-up che combina la virtualizzazione dei corpi all’eccesso delle forme create nella collezione proposta.
Tribù incalza e provoca paradossi attraverso l’apparato scenografico e visivo: in una serie di proiezioni in 3D, realizzate con la collaborazione di Ced Pakusevskij insieme all’art director e designer Elisabetta Giovi, accosta gli scenari post-apocalittici all’ambiguo bagliore di una luce dove campeggia la scritta PURIFY.
L’INFERNO E LA FESTA
A mutare nella sfilata è anche il corpo della stilista, che non si sottrae al suo stesso invito e si fa tatuare live una delle immagini grafiche create dall’artista tatuatrice Dalila Iardella.
La carrellata orgiastica di visioni esplode in un party finale che libera in modo oracolare le creature della sfilata e le mescola in un bagno di suoni e danze con il pubblico, liberando quest’ultimo dalla tensione e dalla struttura binaria che le tute antibatteriche avevano sancito.
Se la presentazione della collezione 2019 alla sua conclusione apriva alla domanda Se fosse l’inferno quello di cui abbiamo bisogno?, a pochi mesi di distanza Barbara Bologna sembra rispondere affermando che l’inferno è qui, adesso e che può essere goduto come una grande festa. Occorre solo trovare coraggio, strategie e una tribù che faccia di questa festa un rito corale, a colpi di pistole ad acqua, come nel suo finale.
‒ Maria Paola Zedda
http://www.barbara-bologna.com/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati