Barbara Bologna è un personaggio sfaccettato, complesso, dalla natura molteplice. Stilista, certamente. Artista, difficile non accorgersene. Performer e regista al tempo stesso. Da oltre un decennio il suo nome accompagna collezioni pronte a vagliare i territori liminari della cultura contemporanea, incapsulandone le emozioni più estreme, donandogli forme e volumi, architettoniche costruzioni di colori e tessuti che sembrano far emergere gli istinti profondi dell’animo umano.
Anni fa Barbara Bologna presentava a Parigi Inferno a/w 2013, collezione che sanciva, attraverso abiti scenografici e scuri, la “gloriosa sconfitta della volontà umana”. Essi definivano silhouette drammatiche, anime dark rappresentative di un momento in cui il nero era stato eletto come emblema della volontà di andare oltre i dettami del fashion system ‒creandone inevitabilmente di nuovi. Nelle stagioni a seguire, i sentimenti più gotici hanno poi ceduto il posto a creazioni sartoriali dallo spirito leggero, colorato, che hanno mixato di volta in volta le ispirazioni street a quelle pop, mescolato mood romantici con elementi fetish, sfiorando il grottesco per reinterpretarlo con maestria. Be Brave, I am, Hashtag sono solo alcuni dei nomi delle collezioni che si sono succedute e attraverso cui si è andata celebrando una nuova, diversa possibilità di fare moda, come medium a metà tra arte e design, attraverso cui affermare, con irruente determinazione, una nuova identità.
Un percorso stilistico che avvicina il suo processo di creazione al lavoro più prettamente artistico, sempre aperto e in dialogo con la realtà. È proprio dal continuo assorbimento e rielaborazione delle dinamiche sociali che la stilista trae spunto e allo stesso tempo prende le distanze, per trovare comunità alternative di corpi alieni disposti a liberarsi dalle loro maschere sociali, per scoprire se stessi o, addirittura, reinventarsi in nuovi personaggi.
Marionette, corpi-sculture, e veri e propri performer: il legame di Barbara Bologna con il teatro e le arti performative si esplica anche con il coinvolgimento da sempre di modelle e modelli non convenzionali, sia come testimonial e volti dei suoi editoriali, ma anche come vere e proprie “special guest” nelle presentazioni dal vivo delle collezioni.
Se da settembre 2019, infatti, questa natura spettacolare è potuta emergere in pieno grazie ai fashion show per le collezioni We are video e Tribù, la complicità con soggetti appartenenti al mondo della body art e dello spettacolo era già emersa in maniera collaterale, durante le presentazioni nello showroom parigino in cui venivano ospitate performance dal vivo (si pensi alla collaborazione con il duo polacco di artisti performativi Suka Off) o anche concerti in vetrina (Marie and the Sun), a reiterare la volontà del marchio di camminare in parallelo tra la ricerca stilistica degli abiti e la volontà di trovare connessioni costanti con la scena artistica.
MODA IN QUARANTENA
Della sfilata-evento di febbraio abbiamo già parlato per via della sua carica dissacrante e provocatoria e della sua spettacolarità giocosa e caotica, ma soprattutto per essere stata anticipatrice dei tempi: quei tempi che sarebbero arrivati di lì a pochissimi giorni e che avrebbero cambiato di colpo e in maniera totalizzante le nostre vite, private e sociali.
E proprio in questi mesi di quarantena, infatti, in cui ci siamo ritrovati costretti a un’immobilità forzata dentro le nostre abitazioni, dove le interazioni con gli altri esseri umani al di fuori di esse sono avvenute esclusivamente attraverso gli apparati multimediali, la stilista ha trovato i canali adatti per perpetuare la sua ricerca verso nuove forme di “habitat” sociali – e tribali.
Ne è nato il progetto w40tribu, inizialmente un editoriale di moda “eterodiretto”, realizzato durante il periodo dell’isolamento in maniera remota, con stilista-regista, fotografa, stylist e modelli ognuno nelle proprie case, connessi attraverso webcam e monitor. Un espediente, quello dell’editoriale a distanza, che molti hanno adottato in questo periodo, dalle case di moda alle riviste. Che cosa fa, dunque, dell’esperienza Tribù di Barbara Bologna un unicum? Al di là dell’immagine finale, Tribù è prima di tutta un’esperienza estesa, in cui ricezione e partecipazione si confondono, e dove la pratica performativa sembra prendere il sopravvento sull’intenzione meramente commerciale, propria dei classici editoriali di moda.
Abbiamo chiesto a Barbara Bologna e Andrea Ternelli, l’altra anima del marchio, di illustrarci questo progetto, per farci entrare nel loro mondo alternativo in cui virus e pandemie sono condizioni che rimangono in filigrana nel costrutto di possibili, nuovi scenari.
PAROLA A BARBARA BOLOGNA E ANDREA TERNELLI
w40tribu nasce inizialmente come editoriale della vostra ultima collezione, Tribù, bypassando le normali scadenze stagionali e commerciali che il sistema moda stabilisce. Potreste spiegarci il motivo? Da dove parte questo progetto?
Barbara Bologna: Non ho mai capito il senso delle tempistiche richieste nelle campagne di moda, perché si debba aspettare così tanto tempo tra il presentare una collezione e fissare poi concretamente quello che è stato il concetto e l’estetica del lavoro. Se da un lato sono perfettamente cosciente che si tratti di un tempo imposto dal mercato, dall’altra ho voluto stravolgere le regole, mantenendo viva l’emozione-ricordo del capo, e liberandomi dalle gabbie stabilite dal mercato. Voglio che la relazione tra me e il mio pubblico sia potente e sincera: ti mostro un abito che potrai avere e toccare ancora sull’onda del ricordo e dell’emozione, perché quell’emozione è la stessa che ho provato creando l’abito per te.
Andrea Ternelli: L’idea originaria era quella di scattare gli otto differenti mood della collezione dentro otto diverse camere di albergo, attraverso immagini prese dai monitor di sorveglianza dell’hotel e ritrasmesse su delle tv a tubo catodico, riproducendo una storia in cui tre realtà parallele coesistevano e dove l’osservazione si trasformava in un guardare casuale. Con Gaia Benedetti Perinetti Casoni [fotografa, N.d.A.], abbiamo deciso che se fisicamente era impossibile poter usare le location e spostare le persone, sarebbe stato facile entrare nelle loro case virtualmente e godere della sottrazione di linearità narrativa.
w40tribu è un lavoro breve e intensissimo, di cui abbiamo voluto raccontare anche tutto quello che vi è stato attorno: quello che di solito non si dice perché sconveniente, creativamente e tecnicamente.
Qual è il valore fondamentale che attribuite al concetto di tribù e il messaggio insito dentro questo “manifesto” per una nuova realtà possibile? Chi sono le “Witches quarantine tribu”?
Andrea Ternelli: È un concetto migliorativo ed evolutivo, senza buonismi democratici o slanci assolutistici. È una sorta di anarchismo elevato che per vivere deve necessariamente respirare consapevolezza. Ognuno apporta se stesso, senza aspettative o richieste, e contemporaneamente le reciprocità si elevano a futuro collettivo. Le “witches” sono le guardiane, le sibille, le moire della tribù, e la quarantena è stata la condizione, lo spazio-tempo elettivo, in continua distorsione quantica, in cui si sono manifestate.
Barbara Bologna: Tribù è quello che ci ritroveremo, spero, a vivere in un prossimo futuro. Inutile raccontare ancora quello che stiamo vivendo, non abbiamo bisogno di fermarci perennemente nell’istante, ma viverlo e da qui guardare avanti. Le witches sono le persone che suggellano e realizzano questo movimento. Coloro che portano insieme le differenze per far sì che esse coesistano insieme nello stesso ambiente.
Nelle vostre sfilate le dinamiche performative esplodono attraverso le azioni inaspettate dei modelli, come la caduta o il coinvolgimento del pubblico, innescando dei dispositivi scenici più vicini agli happening che ai tradizionali fashion show. Questo carattere performativo si ritrova anche nel vostro progetto digitale?
Barbara Bologna: Forse lo si può rintracciare nel fatto che ho dato spazio a tutti, e soprattutto ai modelli, per vivere se stessi, la propria stanza, il proprio ambiente. Anch’io ho fatto lo stesso, mi sono esposta, ho giocato con loro dalla mia casa per essere parte del tutto. Non posso e non voglio paragonare questo progetto a uno dei miei show, ma è stato oltremodo interessante e performativa la dinamica in cui l’imprevedibile aveva nuovamente carattere primario.
Per il vostro editoriale viene menzionato e ripreso il principio della regia eterodiretta, propria della compagnia Fanny & Alexander. Questo sembra essere un vero e proprio omaggio al mondo del teatro. Come avete adattato l’eterodirezione scenica al vostro progetto fotografico?
Barbara Bologna e Andrea Ternelli: Il nostro lavoro vive d’interconnessione, interferenze, scambi, esperienze, studio e ricerca. Non è mai autoreferenziale. Ci piace nuotare tra le diverse discipline e farci connettori di mondi che qualcuno vorrebbe sempre iper-definiti e distanti. I Fanny & Alexander hanno sperimentato questa forma di “abbandono lucido” con i loro attori, che diventano “medium”. Dirigere un’intera squadra, facendosi collettivo e mescolandosi in essa, ha avuto comunque un’intenzionalità direttiva ricoperta da Barbara. “Dare la direzione” a distanza non era certo come poterlo fare dal vivo su un set. Bisognava, dunque, trovare un modo per liberare i corpi, le azioni e gli sguardi “rinchiusi” a causa del confinamento. Abbiamo dovuto guidarli in un contesto agli antipodi rispetto a quello della sfilata, quello della quarantena, e al tempo stesso lasciarli liberi. Il dispositivo dei Fanny & Alexander è stato di grande ispirazione ed è servito per potenziare il lavoro di ognuno, attraverso qualcosa di antico, tribale, ancestrale come il provare a sentirsi e coordinarsi tutti insieme.
Il vostro esordio nel mondo del teatro e le incursioni nella body art quanto continuano oggi a influenzare il concetto di moda e di abito di Barbara Bologna?
Barbara Bologna: Come possiamo pensare di vestire un corpo se non conosciamo da dove proviene o da dove arriva il limite che questo corpo ha? Nella moda come nella body art, dobbiamo riuscire a capire la forza che possediamo ed essere pronti a superare certe barriere. Commercialmente questo approccio è difficile: la maggior parte delle persone s’innamora di un abito solo ed esclusivamente per vezzo, ma in realtà l’abito è costume, è storia, è rappresentazione e racconto di quello che siamo. È trasformazione connessa con ciò che magari non riusciamo a dire e che esprimiamo attraverso di esso: qualcosa di talmente forte che l’abito ci premette di portarlo fuori, mediandone la violenza; oppure di talmente impercettibile che l’abito aiuta a portare fuori, dandoci la possibilità di immaginarci differenti.
Andrea Ternelli: Queste connessioni sono per noi imprescindibili e continuano a operare anche inconsciamente. Certo, per vivere nel presente e farlo diventare futuro occorre lasciare andare parte del proprio bagaglio, ma questo non significa eliminarlo.
Dall’editoriale remoto è nata una piattaforma web che si connota immediatamente per la sua natura riot, sia per i contenuti che per la sua struttura opensource, in cui tutto è raggiungibile e condivisibile, pronto all’uso e con un invito a nuovi contributi. A chi è rivolta questa call-to-action?
Barbara Bologna: La tribù di Barbara Bologna è pronta ad accogliere chiunque, a ricevere al suo interno nuove differenze che si sentano pronte a coesistere e convivere assieme a tutte le altre. La nostra tribù si basa sull’essere pronti a condividere qualcosa e contemporaneamente a non avere pregiudizi rispetto alle altrui differenze. Quindi chiunque sia così in qualsiasi frangente è pronto a unirsi a noi.
Andrea Ternelli: Il nostro è un invito a sperimentare, condividere, a stravolgere schemi e rielaborarne di nuovi, a divertirsi e a scattare istantanee progressive del nostro presente. Tutti possono rispondere alla chiamata. La tribù è un sentirsi e coordinarsi all’unisono. È la consapevolezza di fare parte di un unico, fluido e grande insieme, costantemente in espansione.
Le relazioni con altre figure della moda e dell’arte sono sempre state fondamentali per i processi creativi del vostro brand. w40tribu è una traslazione in ambito 2.0/post-pandemia di questa apertura alle reciproche contaminazioni?
Barbara Bologna: Il mio interesse è sempre stato verso le persone, quelle che non conosco, quelle che non raggiungo, le persone che mi guardano e si ritrovano in quello che faccio… non è importante per me che siano artisti o personaggi noti. Le contaminazioni e le collaborazioni non smetteranno mai di esistere perché sono anche l’anima profonda su cui si basa il nostro concetto di tribù.
Vorrei concludere proprio con l’espressione di uno dei mood della collezione Tribù:
I WANT REMEMBER ALL THE PAST OF THE WORLD AND MAKE IT PART OF YOUR FUTURE, IT WOULD BE BEAUTIFUL, NO?
Barbara Bologna: Durante la quarantena tantissime persone postavano foto della loro infanzia per sopperire alla mancanza di un presente “normale”. Il ricordo è diventato così un salvagente emotivo per non collassare, per non sentirsi morire. Ma come possiamo usare questo ricordo per creare qualcosa di migliore? Il ricordo deve essere spostato nella visione, preso, analizzato e rifatto nostro per essere qualcos’altro domani… ed è così che sarà bellissimo.
Andrea Ternelli: Sì, e oggi è indispensabile più che mai, per riportare il focus sulla bellezza e sull’evoluzione del mondo. Anche attraverso piccoli gesti, perché forse non occorre far sempre una rivoluzione.
‒ Giulia Tonucci
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