Quel che resta delle fashion week europee sta per esserci riproposto a Milano dal 22 al 28 settembre, poi a Parigi fino al 6 ottobre. In crisi da almeno un decennio ‒ ma sino a ora rimaste avvitate su se stesse per la mancanza di una qualsiasi reale alternativa –, ovunque le fashion week hanno subito lo schianto provocato dal virus. A differenza di quanto accade in altri settori (forse frequentati da un personale mediamente più colto e certamente più umili), il repertorio dei loro cantori pare però immutato: uguali sono gli “Osanna” introduttivi che circolano in questi giorni, altrettanto uguali certamente saranno “Alleluia” finali, sempre costruiti intorno al solito striminzito vocabolario: “bellezza”, “eleganza”, “intelligenza”, “creatività”, “sogno” … ancora?
“La Gen Z rappresenterà dal 10 al 15 per cento del mercato del lusso entro il 2025”.
Se i cantori sono rauchi, più interessante è osservare come gli officianti (quelli veri, i Ceo a capo di ogni singolo marchio) siano concentrati a percepire quel che sta accadendo. Ad affollare i loro pensieri sta questa constatazione numerica: la Gen Z rappresenterà dal 10 al 15 per cento del mercato del lusso entro il 2025 e, in combinazione con i Millennial (nati tra il 1981 e il 1996), andrà a costituire una coorte che rappresenterà il 60% del mercato mondiale.
A Millenial+Gen Z sarà improbabile vendere “sogni” “bellezza” e “creatività” a fondo perduto: chi fa ricerca in questo campo afferma che le scelte sono dettate dalla predilezione per i viaggi, il comfort personale e la richiesta di strumentazioni adatte ad attività specifiche. Le preferenze di stile della Gen Z includono inoltre il mixaggio e il riciclo: tra le loro nuovissime attitudini emerge infatti la creazione di mercati paralleli di rivendita e persino il noleggio per una specifica occasione. Ancora: questi nuovi consumatori favoriranno le aziende che riflettono i loro valori di consapevolezza ambientale, produzione etica, inclusività e rispetto per gruppi storicamente emarginati. Altrettanto importante risulta essere il benessere degli animali: un criterio di sostenibilità molto apprezzato dalla Gen Z quando si tratta di acquistare beni di lusso. Vocaboli come casual o street wear contengono solo in parte questo mood che sta ridisegnando i significati (peraltro assai confusi) che il vocabolo “lusso” ha portato sino ora con sé
LA RISPOSTA DELLA MODA ALLA GEN Z
È così che si spiegano le apparizioni di oggetti sino a qualche tempo fa considerati inammissibili come le sneaker che il marchio Dior ha prodotto in collaborazione con Michael Jordan. “Solo” 8mila paia per un’edizione limitata battezzata Jordan 1 Retro High Dior, per cui 5 milioni di clienti si sono fatti avanti per acquistarle a un prezzo che superava i 2mila dollari. A collezione esaurita, si è messo in azione pure l’aftermarket e le scarpe hanno continuato a essere acquistate con prezzi che hanno raggiunto punte di 12461 euro sul mercato online di StockX. Anche questo non è un fatto indifferente. La Gen Z è la prima generazione completamente digitale, oltre il 70% dei consumatori di lusso qui usa Instagram quotidianamente (contro il 37% di media). È anche la prima generazione in cui la maggioranza preferisce lo shopping online secondo uno studio del novembre 2019 condotto da Facebook e Instagram in Francia, Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Hong Kong e Giappone.
LA NUOVA FIGURA DELL’AGGREGATORE
Per tutto quanto detto sopra persino il ruolo di quello che un tempo si chiamava couturier (poi “stilista” quindi “designer” e per finire “direttore artistico”) sta evolvendo nella inedita figura dell’“aggregatore di idee”. A dire il vero inedita forse solo nella percezione dei media: perché qualcosa del genere è da tempo Virgil Abloh, a capo della collezione maschile del marchio forse più celebre al mondo. Per la sfilata p/e 2021 di Abloh il 6 agosto scorso Louis Vuitton ha pubblicato su Weibo, Douyin, Tencent, OOH, TikTok e su WeChat per diversificare le sue piattaforme digitali in Cina. In combinazione con il coinvolgimento di celebrità cinesi come Fan Chengcheng e Ouyang Nana (20 anni), lo spettacolo ha superato 100 milioni di visualizzazioni.
L’ESEMPIO DI KIM JOMES
Un portentoso “aggregatore” pare essere pure Kim Jones, da qualche giorno divenuto responsabile anche della collezione Fendi: il designer britannico si unirà a Silvia Venturini Fendi, pur continuando il suo lavoro per la collezione uomo di Dior. Jones è stato individuato da LVMH come la figura adatta a traghettare marchi un tempo destinati a clienti facoltosi ‒ ma ora anzianotti ‒ verso un nuovo tipo di consumatore: è lui che ha aperto la strada a collaborazioni come Louis Vuitton x Supreme e appunto Dior x Jordan Brand. Inoltre non ha avuto paura di mettere in risalto al suo fianco creativi come Yoon Ahn di AMBUSH e Matthew Williams di 1017 ALYX 9SM, quest’ultima una piattaforma che ha utilizzato per creare accessori per Dior Uomo. Ha anche collaborato con un gran numero di altri nomi come KAWS, Shawn Stussy, Hajime Sorayama e Daniel Arsham.
A luglio, quando Jones ha rivelato il suo lookbook p/e 2021 per Dior Men, l’attenzione si è concentrata sulla sua collaborazione con l’artista ghanese Amoako Boafo, che ha creato ritratti della collezione in un live streaming come parte della presentazione. LVMH ha fatto una donazione alla fondazione che porta il suo nome per dare nuove opportunità ai giovani artisti africani. È facile presagire che continuerà a supportare personaggi che diversamente non sarebbero stati ascoltati attraverso i suoi nuovi appuntamenti da Fendi e il suo regno da Dior Men.
Da LVMH, ma pure da Richmond come da Prada (Raf Simons arrivato ad affiancare Miuccia) sanno bene che è necessario apportare cambiamenti radicali e non c’è molto tempo da perdere.
‒ Aldo Premoli
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