Display Copy ha debuttato online e in edicola il 22 ottobre scorso. A prima vista sembra un’altra rivista di moda, ci sono infatti molti degli ingredienti di sempre: scatti patinati e crediti per accessori e abbigliamento firmati. Ma in realtà è un fashion magazine senza precedenti, perché in Display Copy non si trova un solo “nuovo” outfit. Sul sito alla voce “shop” si trovano le indicazioni su dove acquistare: includono luoghi fisici come l’Esercito della Salvezza o piattaforme e-commerce come Etsy o eBay: qui ogni singolo capo è vintage e ha un prezzo accessibile.
Display Copy cartaceo è semestrale ‒ periodicità generalmente difficile –, ma non nasce da un’idea di improvvisati. È impossibile quindi non chiedersi a quale investitore tradizionale potrebbe mai interessare un magazine che propone solo vintage: su quali investimenti pubblicitari può contare?
LA “MODA” DEL RICICLO
Proviamo a fare un salto temporale (in realtà brevissimo) all’indietro perché a ben guardare il tempismo di Display Copy pare azzeccatissimo. Non solo la GenZ è particolarmente disponibile ad acquistare l’usato, ma il trend ha preso piede anche tra i millennial ed è facile prevedere che sfonderà persino pure tra i boomer più sofisticati. A questo proposito i meno giovani ricorderanno la straordinaria allure di cui era capace quella che può essere considerata l’antesignana di tutte le influencer (ma quel vocabolo ancora non era in uso), Anna Piaggi.
E difatti dopo anni passati da tutti e ovunque a “fare ricerca“ setacciando mercatini delle pulci in cerca di ispirazione, ci sono marchi di moda che hanno iniziato a sperimentare seriamente l’upcycling. Ad aprire le danze è stata Maison Margiela, che dallo scorso febbraio ha posto l’upcycling al centro della linea Recicla costruita sui capi che il team di John Galliano recupera nei negozi dell’usato per poi decostruirli e rielaborarli. Non c’è da stupirsi che un marchio che porta il nome di Margiela ed è condotto ora da un couturier come Galliano abbia iniziato un processo del genere. Ma all’inizio dello scorso ottobre è arrivato Levi’s Secondhand, un programma che prevede riacquisto e rivendita di capi Levi’s e consente ai clienti di consegnare un vecchio Levi’s che sarà poi riparato, reinventato e rivenduto (o riciclato). Immediatamente a seguire Prada ha presentato Upcycled di Miu Miu: una capsule di abiti vintage prodotti tra gli Anni Quaranta e i Settanta rimodellati per un cliente contemporaneo. Basta? No. Sempre a ottobre, Gucci ha annunciato una partnership con RealReal (sito di vendita incentrato sull’economia circolare) per ottenere uno spazio specifico sulla piattaforma, proprio come già fatto da Stella McCartney e Burberry.
I segnali sono ovunque. Fiutata l’aria, Cate Blanchett ha riciclato un vistosissimo abito del suo guardaroba: durante la Mostra del Cinema di Venezia a settembre si è presentata sul red carpet riciclando un abito già indossato in precedenza per una premiere nel 2015.
L’UPCYCLING È LA RISPOSTA?
Un processo come questo, che appare l’opposto di quello utilizzato sino a ora, basato sul flusso costante di nuovi prodotti con cui inondare il mercato, è stato innescato innanzitutto da almeno tre fattori.
Il primo. All’inizio della pandemia, con la circolazione delle merci in blocco, i designer sono dovuti ricorrere a deadstock (tessuti rimasti dalle collezioni precedenti) per provare a mettere insieme le nuove collezioni. Le ultime presentazioni di Marni e Dolce & Gabbana ‒ seppure in modo assai diverso ‒ hanno sottolineato proprio questo aspetto. In secondo luogo si è velocissimamente evoluta la percezione dei consumatori: a causa dei fattori economici indotti dalla pandemia non solo la GenZ si sta allontanando dalla sovrapproduzione del fast fashion e dai prezzi spesso insensati proposti dalle griffe, evolvendo verso atteggiamenti più parsimoniosi; un modello di comportamento proposto (imposto) dalla generazione precedente viene spesso rifiutato e sentito quasi disgustoso per quella seguente, che ne cerca uno proprio; si è diffusa una sempre maggiore consapevolezza che affrontare il problema delle discariche non spetta solo ai produttori di moda, ma anche agli acquirenti.
Così il second hand ha accelerato la sua influenza, con il mercato dell’usato online in crescita del 69% tra il 2019 e il 2021.
NUOVI ORIZZONTI GRAZIE AL RIUSO
Si tratta di una combinazione di forze che stanno spingendo la moda e il modo in cui pensiamo ai vestiti in una nuova direzione. Lavorare con cose già esistenti senza buttare sempre tutto, reinventarle, utilizzando tecnologia e design, apre nuovi orizzonti di possibilità intellettuali ed estetiche. Di certo siamo innanzi al cambiamento più radicale occorso al fashion a causa della pandemia. Di certo è questo che deve essere preso in seria considerazione in ogni istituto dove si insegna moda a coloro che dovrebbero divenire i nuovi operatori del settore nel prossimo futuro.
‒ Aldo Premoli
https://display-copy.com/shop/
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