Romaison: l’eccellenza della moda e dell’artigianato in mostra a Roma
La mostra, ospitata negli spazi museali dell’Ara Pacis, racconta l’inestimabile patrimonio archivistico delle sartorie di costume romane, svelando per la prima volta le collezioni di pezzi unici custodite negli storici atelier capitolini. Nel 2021 è attesa una performance di Tilda Swinton
Più che una mostra è un intreccio narrativo. Un percorso che consente di scoprire, come in una caccia al tesoro studiata con cura e attraverso una ricerca meticolosa, le meraviglie del patrimonio archivistico delle sartorie romane, che sono un tutt’uno con il mondo del Cinema. Perché quei set e quelle scene, che hanno segnato la storia della cinematografia, sono vestiti con i costumi dei maestri artigiani che la Capitale custodisce nei suoi atelier in una mappa localizzata e tracciata da balze, plissettature, tessuti d’antan, bozzetti d’epoca, gioielli e sperimentazioni materiche. Il grande schermo svela la moda e il costume si serve della settima arte per superare, al di là del mero gioco delle tendenze, i confini geografici e stilistici. Sino al 29 novembre al Museo dell’Ara Pacis, Romaison 2020, a cura della storica e critica Clara Tosi Pamphili, è la prima edizione di un progetto che, tra produzioni sartoriali, riscoperta dell’heritage e del suo valore culturale, arte e archivi, dipinge la città come una diffusa officina creativa e di talenti che negli anni sono riusciti a preservare il tratto distintivo del made in Italy oltre le passerelle. L’abito abbraccia il corpo sul video, lo incarna, diventa parte integrante di una sceneggiatura, di opere filmiche quali Satyricon di Federico Fellini, l’iconica Barbarella interpretata dal Premio Oscar Jane Fonda (ruolo rifiutato dal mito Virna Lisi che così ne decretò il successo), la Medea del 1969 di Pier Paolo Pasolini, con il volto della Casta Diva Maria Callas, o la sua Salò.
ROMAISON: LA PERFORMANCE “EMBODYING PASOLINI” NEL 2021
La sostanza che scivola sulla forma, l’intento di scavalcare il limite della staticità dell’universo espositivo rendendolo vivo tramite una performance d’autore, firmata dal fashion curator ed ex direttore del Museo Galliera di Parigi Olivier Saillard, che nella curatela si affida all’androginia dell’artista internazionale Tilda Swinton esaltando la forza evocativa degli abiti confezionati dai sarti romani per i capolavori pasoliniani. La performance Embodying Pasolini, in calendario per il 2021, vedrà l’attrice britannica, che ha esordito nell’86 recitando nel film Caravaggio di Derek Jarman e già Leone d’oro alla carriera a Venezia, in una visione onirica e ancestrale dove il costume si trasforma nell’opposto, nel suo compagno, partner, alter ego che si ribella, sganciandos, dal tradizionale manichino sul quale è stato relegato in innumerevoli e retoriche esposizioni modaiole. “Pier Paolo Pasolini è una figura davvero speciale per me”, spiega Swinton in video-call dalla Scozia. “Quando ho deciso di intraprendere la mia carriera cinematografica, ho avuto il piacere di conoscere Jarman, e credo che Pasolini sia stato il soggetto sul quale abbiamo trovato il nostro punto di intesa. Era il 1985, avemmo una lunga conversazione, sulla base della quale immagino che decise di scritturarmi per il suo Caravaggio. Ciò che la sua opera significava per noi fu importantissimo in quel quarto d’ora di dialogo: poeta, radicale, artista, politico capace in un modo assolutamente moderno di tornare ai miti, alle leggende, alla storia e rivendicarli come suoi in maniera impavida. È stato fonte di ispirazione per Derek che, tre anni prima di morire, lo ha impersonato in un corto diretto da un giovane inglese. Si è messo nei suoi panni. Pasolini è un faro perché quest’uomo, scrittore e regista, è stato capace di indagare a fondo nel passato, appropriandosene come se fosse suo. La sua presenza, le posizioni ideologiche, il suo operato e la capacità di cercare presso gli antichi ciò che ci occorre nel presente, il suo di allora che è anche il nostro, per andare nel futuro. Tale aspetto è fondamentale per Olivier Saillard, una luce per tutti noi che lavoriamo nel settore”. “Ho una grande ammirazione per Pasolini e per i grandi costumisti”, dice Saillard. “In particolare, Donati mi ha consentito più di chiunque altro di studiare, approfondire e venire a conoscenza di un nuovo modo di realizzare i costumi di scena per il cinema. Lo scopo della performance è quello di metterli in evidenza. Da molto tempo lavoro con Tilda Swinton, posso dire senza offenderla che lei per me è un magnifico piedistallo, l’unica che sia in grado di giocare con l’assenza e la presenza. Questa la scintilla che mi ha indotto a ideare Emodying Pasolini, attraversando le diverse epoche storiche con pellicole come I racconti di Canterbury, ambientata in un mondo ormai lontano. Quando Tilda ha indossato i costumi di Salò o le 120 giornate di Sodoma, siamo rimasti paralizzati perché convogliano l’atmosfera cupa e fosca di quei giorni. Pesante e difficile spiegarlo, ma il risultato è stato molto sorprendente, magico”.
ROMAISON: LA MAGIA DEGLI ATELIER
Il potere trasformativo dei manufatti su misura, il loro incanto letterario, non solo materiale e fisico, ma immaginario e poetico sullo schermo. Catturato da un’inquadratura o in una sequenza, scelte da un’altra persona: il filmmaker. Squame di memoria e oggetti che vivono una volta sola perché plasmati da artigiani e immortalati dalle presenze attoriali in un frame. “C’è una visione che coinvolge tutta la città e che non si lega mai ad un unico luogo, coinvolgendo altri spazi istituzionali e creativi, testimoniando la necessità della distribuzione sinergica delle energie dalla periferia al centro. Gli atelier sono luoghi che non solo conservano, ma lavorano ancora. Il concetto di rete è ormai superato. Non bisogna invece dimenticare l’attitudine a reinventarsi, che è alla base del periodo che stiamo affrontando”, sottolinea la curatrice Tosi Pamphili, che nel testo critico scrive: “il rapporto tra Moda e Costume è meravigliosamente ambiguo, in una dimensione parallela di ispirazione reciproca soprattutto a Roma, è il filo sotteso a questo insieme eterogeneo di storie affascinanti, che si snodano per oltre un secolo, dalla nascita di Cinecittà nel 1937 alle prime produzioni internazionali girate negli studi romani, come il Principe delle Volpi del 1949, dalla stagione dorata del cinema italiano ad oggi. Un cortocircuito che irrompe nella rappresentazione di alcune icone cinematografiche, di bellezza e fascino atemporale: Florinda Bolkan che veste un vero abito di Gallenga come costume nel film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Donyale Luna – la prima modella di colore che compare sulla copertina di Vogue nel 1966 – in Satyricon, Silvana Mangano, icasticamente glamour mentre indossa le sue parure Bvlgari con ametiste, quarzi e diamanti in Gruppo di Famiglia in un Interno, Jane Fonda nel celebre Barbarella”.
IL PROGETTO DI UN MUSEO DELLA MODA
E il progetto di un Museo della Moda, da sempre manifestato e mai realizzato, con quel tocco di colore che è l’angolo del Boncompagni Ludovisi, praticamente dimenticato dal Mibact a due passi da via Veneto, torna in cantiere puntando sull’ipotesi dell’attrattore turistico di qualità. “Io e Clara Tosi Pamphili ci siamo conosciute due anni e mezzo fa e, dopo il nostro incontro, abbiamo iniziato a ragionare sull’idea di un Museo della Moda e del Costume, che però non fosse solo uno spazio museale”, spiega la sindaca di Roma Virginia Raggi. “Tilda Swinton ha riassunto il concetto quando dice che, invece di trovarsi in un archivio, le sembrava di essere in una foresta con tanti elementi viventi. Quindi un posto nel quale possiamo esibire, mostrare gli abiti degli archivi ma che sia anche vivo e vitale per continuare la ricerca, collegato ad una scuola di alta sartorialità. Un vero e proprio laboratorio considerando che l’importanza di un filone del genere a Roma è un po’ nella sua natura. Il Covid ci ha imposto di ripensare ai nostri modelli ritornando all’essenziale, differenti mondi confluiscono insieme nella creatività, nell’arte e nella cultura che appartengono all’identità della Capitale. Concentrare, dunque, tutto ciò in un luogo: il passato che richiama il presente e lavora per il futuro. La mostra è un primo assaggio. Siamo soddisfatti della curiosità e dell’interesse che ha suscitato e proseguiremo in tal senso. Questa grande industria di moda è un esempio di eccellenza e di economia circolare concreta: un patrimonio di cultura grazie al quale i costumi si riadattano, coniugando innovazione, sostenibilità e conservazione. Una cura di patrimoni, anche di terza generazione: è così che migliaia di abiti divengono oggetto di studio e ricerca per molte realtà, soprattutto per le ‘case’ e le scuole internazionali di moda”.
ROMAISON: IL PERCORSO ESPOSITIVO
L’iniziativa Romaison è promossa da Roma Capitale con l’organizzazione di Zètema-Progetto Cultura, il supporto di Fondazione Cineteca di Bologna, Istituto Luce – Cinecittà e Fondazione Cinema per Roma. Nell’expo all’Ara Pacis ci sono le mirabilia di Annamode, Costumi d’Arte – Peruzzi, Sartoria Farani, Laboratorio Pieroni, Tirelli Costumi, sketch dall’archivio personale di Gabriele Mayer – un fondo storicizzato, che sarà donato alla Galleria Nazionale – e un’area che omaggia il produttore di manichini Mensura. All’ingresso, una cartografia consente di visualizzare le realtà sartoriali presenti sul territorio, tratteggiando un ideale Museo d’impresa in itinere. Poi il grande atelier, tra scampoli e strumenti da lavoro, riprodotto nell’allestimento site specific in cui primeggiano la dimensione professionale, la tecnica, l’intelligenza artigiana e il savoir faire in un sodalizio dialogico con la ricerca e la conservazione, aspetti tipici di ogni maison. Un amarcord fotografico, un album di pezzi prestigiosi delle più note sartorie, strutture in metallo e pedane con l’inconfondibile fil rouge della passione per un mestiere sempre in fermento e in attività, considerate le oltre 50 produzioni cinematografiche odierne ospitate dall’Urbe. Collezioni private e capi inediti, l’unicità di Charles Frederick Worth, “il sarto inglese a cui dobbiamo la nostra concezione di moda”, fino a Paul Poiret, la romana Maria Monaci Gallenga di cui nell’expo si possono ammirare i blocchi della particolare lavorazione di stampo a oro e argento su velluto, Madame Grès, l’Haute Couture di Nicola Zecca ed Emilio Schuberth, Cristóbal Balenciaga e Christian Dior a tu per tu con i costumi de Il Conformista e L’Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci. Ci sono la Cleopatra gold di Elizabeth Taylor, che gira le spalle allo spettatore in un quadro intimista, le creazioni per Salò di Pasolini, sino a quelle recenti di Miss Marx presentato a Venezia77, passando per le serie televisive di successo, fra cui Penny Dreadful. E ancora, Gabriella Pescucci, Milena Canonero, Colleen Atwood, Franca Squarciapino, fino ai più giovani, ma altrettanto pluripremiati, costume designer Massimo Cantini Parrini e Alessandra Torella. Nomi da Academy Award e David di Donatello. Cappelli e accessori di preziosa manifattura.
LA COLLABORAZIONE DI ROMAISON CON LE ACCADEMIE
Nel “genius loci” di ieri, oggi, domani, una sezione di Romaison lascia il passo alle scuole e accademie che, dalla formazione all’approccio sperimentale e innovativo, lanciano gli emergenti. A rotazione nell’expo, ogni settimana i progetti migliori degli allievi di Accademia di Alta Moda Koefia, Accademia di Belle Arti di Roma, Accademia di Costume e Moda, IED- Istituto Europeo di Design, NABA-Nuova Accademia di Belle Arti. In collaborazione con Fondazione Cinema per Roma, l’esposizione approda pure all’Auditorium Parco della Musica in occasione della Festa del Cinema con una promenade fatta di scatti fotografici, provenienti dalle sartorie capitoline, nella Galleria tra Foyer Petrassi e Teatro Studio per poi sbarcare, con il contributo tecnico di Rinascente, nel Cavedio Interno del Flagship Store di via del Tritone, che diventa un palcoscenico di promozione. Per sognare di nuovo.
-Gustavo Marco P. Cipolla
Romaison
fino al 29 novembre 2020
Museo dell’Ara Pacis, Roma
http://www.arapacis.it
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