Chanel a Parigi cinquant’anni dopo
Dopo due anni di lavori, il Palais Galliera di Parigi ha riaperto al pubblico con un’importante retrospettiva dedicata a Gabrielle Chanel, nel cinquantenario della sua morte. Anche se ora la pandemia ha costretto l’istituzione francese a serrare di nuovo i battenti.
La mostra Gabrielle Chanel. Manifeste de mode riporta l’attenzione sulla tecnica sartoriale e sullo stile ideato da Mademoiselle, riuscendo nel non facile compito di ritracciarne la lunga carriera senza mai cadere nella sterile celebrazione del mito o cedere alle lusinghe della ricostruzione aneddotica.
Fiera oppositrice del prêt-à-porter, la moda Chanel è espressione del concetto più alto di haute couture, il cui segreto sta nel dare l’impressione che il tessuto non sia stato toccato.
Seduce la carrellata di abiti da sera degli Anni Venti e Trenta, momento in cui, pur continuando a evitare eccessi, le silhouette si fanno più sinuose e sofisticate. Si possono apprezzare le applicazioni e gli intarsi dei vestiti in pizzo, le seducenti scollature sulla schiena, spesso messe in risalto da bretelle ricamate o composte da semplici fila di strass. Tagli e decori discreti si aprono come trompe-l’oeil sull’abito (è il caso del nodo, motivo feticcio di Chanel); i riflessi di luce che si moltiplicano sui capi interamente rivestiti di paillettes e che rimangono, nonostante tutto, estremamente fluidi. Il tutto nel segno di un lusso austero magistralmente sottolineato dall’allestimento scenografico, che esplora il gusto per la messinscena di Gabrielle Chanel ‒ ben riconoscibile nell’atelier e nell’appartamento della rue Cambon ‒ con giochi di specchi e spigoli, trittici, uso di paraventi e predilezione per gli arredi in lacca nera. Tra i tessuti favoriti della couturière compaiono il jersey, utilizzato per la prima volta nel 1916 per dar forma alla celebre marinière e precedentemente riservato alla sola biancheria; la mussola di seta; una seta selvaggia come lo shantung; e, ancora, il pizzo e l’immancabile tweed, rubato dal guardaroba maschile negli anni della relazione tra Coco e il duca di Westminster.
LA MODA DI GABRIELLE CHANEL
Oltre all’arcinota diarchia del bianco e nero (suggellata nel 1921 dalla scatola e dall’etichetta della fragranza n°5 con lettering nero su fondo bianco), la mostra svela una palette cromatica finora poco nota, in cui spiccano colori brillanti come il blu elettrico, il rosso, il rosa o il verde. Al contempo, la ricorrenza quasi ossessiva delle stesse identiche tecniche sartoriali permette di comprendere e apprezzare appieno la coerenza del lavoro e dello stile Chanel, che vuole esprimere un’idea di semplicità, libertà di movimento e freschezza. Ce lo raccontano la leggerezza delle robes du soir – e non è un caso che ancor oggi queste vengano confezionate nell’atelier denominato flou – e l’evoluzione della petite robe noire creata nel 1926, che resta sempre fedele a se stessa nel sapersi rinnovare, come quando, dalla fine degli Anni Cinquanta, ai ricami in perle, canottiglie, jais e paillettes si sostituiscono i giochi materici e i contrasti ton sur ton ottenuti attraverso l’inserimento di nastri e cinture in satin su abiti di mussola.
Ma è soprattutto negli ensemble per il giorno che fanno la loro comparsa, fin dagli inizi, alcuni codici della “grammatica” Chanel. Basta osservare il minuzioso lavoro di découpage delle foglie ritagliate nella fantasia del tessuto o i budellini in seta utilizzati per bordare i colli e le maniche dei soprabiti, la comparsa delle tasche sui capi spalla e, soprattutto, la scelta di foderare le giacche con lo stesso tessuto dell’abito o della blusa abbinati.
Opponendosi alla moda dell’epoca, Chanel “pubblica” per ben due volte ‒ corrispondenti a due momenti storici precisi in cui la donna vede riconoscersi un ruolo nuovo nella società ‒ il proprio manifesto: nel 1916, ossia nel pieno della Prima Guerra Mondiale, e nel 1954, alle soglie del boom economico mondiale, e qualche mese dopo l’incoronazione di Elisabetta II d’Inghilterra.
Nel primo caso la sua moda unisce all’ispirazione tratta dall’allure disinvolta che caratterizza la vita mondana delle stazioni balneari di Deauville e Biarritz (dove Chanel stabilisce la propria casa di moda nel 1915) un’idea di praticità che risponde alle nuove esigenze delle donne, chiamate a sostituire i propri mariti, occupati al fronte, nel lavoro in fabbrica.
Il suo ritorno nel ʼ54 esprime, invece, una ferma protesta contro il sofisticato New Look di Dior, che Chanel giudica stravagante, perché fondato sull’emulazione di un tempo passato, e pertanto incapace di guardare al futuro. Come dirà lei stessa nella prima intervista rilasciata alla televisione francese nel 1959: “Il mio scopo era quello di creare uno stile perché, a mio parere, non ce n’era più in Francia”.
L’ANTICONFORMISMO DI GABRIELLE CHANEL
A settant’anni compiuti, Coco afferma un nuovo concetto di eleganza atemporale per la donna moderna. Una donna indipendente e attiva. E, come evidenziato da Roland Barthes sulle pagine di Marie Claire, del settembre 1967, in questa seconda fase Chanel contesta l’idea stessa della moda, che si basa su un sentimento violento del tempo, proponendo sempre lo stesso modello che non fa che variare di collezione in collezione. Il filosofo fa ovviamente riferimento all’iconico tailleur, personificazione e sintesi di questo nuovo stile, a cui è dedicato ampio spazio nella seconda parte della mostra. Il capo è adatto a ogni momento della giornata, in tweed per il giorno, in broccato o velluto per la sera.
Nella ricerca del giusto equilibrio tra la funzione e la forma, a favore di una purezza di linee che rifiuta ogni dettaglio superfluo e sembra evocare le architetture di Le Corbusier o Mallet-Stevens, le tasche, i bottoni, e ancora i galloni e i gros-grain che bordano la giacca danno equilibrio ai capi, rendendoli, al tempo stesso, perfettamente riconoscibili.
La giacca è leggerissima, tanto da venir rinominata “cardigan”, con maniche lievemente ad angolo per seguire meglio la linea del braccio (Chanel era solita prendere le misure delle spalle alle sue clienti facendo tenere le braccia incrociate) e una catenella cucita sull’orlo inferiore che serve a farle ritrovare il suo aplomb a ogni movimento del corpo.
La gonna del tailleur, sotto al ginocchio, può essere dritta o con degli spacchetti laterali, spesso è a pieghe, a soffietti o a portafoglio, per sottolineare e valorizzare i movimenti della gamba.
Traendo spunto dalle tenute sportive e dalla moda maschile, ogni dettaglio è pensato per il confort della donna e risponde al bisogno di praticità: dalla cintura bijoux alle tasche, studiate sia per riporvi gli oggetti di uso quotidiano, come il fazzoletto, sia per infilarvi le mani, dando un’idea di disinvoltura.
Stroncata, in un primo momento, dalla critica francese, il magazine Elle, attento a proporre reportage sui nuovi modi di vestire e a incoraggiare l’emancipazione femminile, è una delle rare riviste a sostenere, fin da subito, il ritorno alla couture di Mademoiselle e a difendere il suo “petit Chanel”, rivelandone anche i segreti di fabbricazione e offrendone alle lettrici un cartamodello.
I GIOIELLI SECONDO CHANEL
Coco ha raggiunto il suo scopo, conscia del fatto che non c’è successo senza imitazione. E negli anni successivi completa la sua uniforme femminile dandole i giusti accessori, anch’essi destinati a diventare iconici. La borsa matelassé 2.55, che può essere portata a mano o a bandoliera, e il sandalo bicolore, realizzato dal calzolaio Raymond Massaro. Se la pelle beige serve ad allungare la gamba, la punta nera in satin ha la doppia funzione di fare il piede più piccolo e proteggere la scarpa dai segni del tempo, così come il bordo che rifinisce le tasche della giacca evita di sporcare o consumare facilmente il tessuto.
Se la moda di Chanel può essere definita austera e sobria, il gioiello, al contrario, è sinonimo di libertà: al tema è riservata la penultima sala della mostra, dove sono esposti ben 120 pezzi. Non si tratta di gioielli preziosi (può essere, infatti, ritenuta un epifenomeno la collezione di alta gioielleria del 1932 con gioielli modulabili interamente realizzati con diamanti montati su platino), bensì di bigiotteria in cui vengono mescolate pietre semipreziose e false, desacralizzando, così, il principio stesso di gioiello.
Le spille possono essere collocate ovunque: sulla spalla, sulle maniche, sul cappello o in vita. Allo stesso modo, i sautoir di perle cadono in abbondanza sul petto o sulla schiena. Un po’ come era avvenuto coi ricami d’ispirazione russa, bizantina, persiana o egiziana realizzati dalla granduchessa Maria di Russia negli Anni Venti, il bijoux viene storicizzato da Chanel grazie alla collaborazione del nobile siciliano Fulco di Verdura prima, e di Robert Goossens poi, insieme al quale Coco si interessa alla storia del gioiello, studiando gli esemplari conservati nei musei. Nascono la croce reliquiario di ispirazione bizantina, i gioielli in cristallo di rocca, le spille a forma di camelia, il collier con le teste di leone, che attingono al repertorio simbolico di Mademoiselle, nata sotto il segno del leone. A questi si aggiungono i feticci della stella, del sole e della spiga di grano, metafora di prosperità e abbondanza, che ricorre copiosa sui ricami in filo dorato dell’abito da cocktail presente nell’ultima sala.
Il percorso termina col vestito da sera in organza della collezione primavera-estate 1971, portata in passerella qualche giorno dopo la morte di Mademoiselle. Negli stessi giorni Yves Saint Laurent presenta la collezione Libération, ribattezzata la “collection du scandale” e destinata a portare un nuovo importante cambiamento nella moda, in un ideale passaggio di testimone, per dare, questa volta, potere alle donne.
‒ Massimiliano Simone
Parigi // fino al 14 marzo 2021
Gabrielle Chanel. Manifeste de Mode
PALAIS GALLIERA
Avenue Pierre Ier de Serbie
www.palaisgalliera.paris.fr
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