A Monaco di Baviera la mostra-spettacolo di Thierry Mugler, icona della moda
Anche se le sue porte restano chiuse a causa della emergenza sanitaria, la Kunsthalle di Monaco di Baviera ospita la mostra dedicata alla moda di Thierry Mugler. Stilista che non ha paura di osare nella realizzazione dei suoi capi.
Il Coronavirus non ci ha soltanto impedito di abbracciare gli affetti più cari, ma anche di provare l’esperienza immersiva di una visita a un museo. In Germania, dallo scorso ottobre, i luoghi di cultura non hanno ancora riaperto al pubblico. Non fa eccezione la mostra Thierry Mugler – Couturissime, inaugurata lo scorso maggio presso la Kunsthalle München ‒ che già nel 2015 aveva dedicato una monografica a Jean Paul Gaultier ‒, rinunciando a un evento con red carpet e ospiti da oltreoceano.
L’ampia retrospettiva – in mostra circa 150 abiti tra alta moda e prêt-à-porter ‒ rappresenta l’unica tappa tedesca della rassegna prodotta dal Museum of Fine Arts di Montreal, curata da Thierry-Maxime Loriot, e ripercorre trenta anni della folgorante carriera dello stravagante stilista, regista e fotografo francese, dalla prima collezione del 1973 fino al ritiro dalla sua casa di moda nei primi Anni Duemila. “L’alta moda è arte e il teatro della vita è il luogo in cui l’arte va in scena”, soprattutto attraverso l’interpretazione femminile: questo è il messaggio gridato allo spettatore lungo il percorso espositivo, che si suddivide in dieci “atti”.
Manfred Thierry Mugler (Strasburgo, 1948), come si fa chiamare dal 2002, in seguito a massicci allenamenti di bodybuilding e interventi di chirurgia estetica, ha danzato per sei anni nel corpo di ballo del Teatro dell’Opera del Reno a Strasburgo e questa esperienza ha influenzato profondamente il suo immaginario artistico. Le sue creazioni sartoriali, come le sue fotografie, cercano l’estremo, oltrepassano l’eccesso e, citando le stesse dichiarazioni di Mugler, fungono da corazza per quello che definisce “l’animale più bello del creato, ovvero l’uomo”.
THIERRY MUGLER E LA MODA
Thierry Mugler ha affermato in più di un’occasione che la sua ricerca ha sempre teso alla creazione di modelli che facessero sembrare le persone più forti rispetto alla loro reale natura, basti pensare alle spalline larghe e imbottite, uno dei tratti distintivi di Mugler ‒ “la danza mi ha insegnato molto rispetto al linguaggio del corpo, l’importanza delle spalle, come tenere la testa, camminare e posizionare le gambe”. Immagini di superuomini e superdonne, che insieme alla sua dichiarata ammirazione per Leni Riefenstahl, la regista al servizio della propaganda nazista, gli sono costate spesso critiche e accuse di misoginia.
Diversi modelli e clienti hanno ammesso di aver aumentato la propria consapevolezza e autostima indossando capi Mugler, mentre il fronte delle intellettuali femministe si divide tra chi lo odia, come Sheila Jeffrey, che lo ha accusato di rafforzare lo stereotipo della donna-oggetto, e chi sorprendentemente lo ama, come la storica dell’arte e pioniera della gender art, Linda Nochlin. Quest’ultima così recensiva nel 1994 le creazioni di Mugler: “Sono talmente estreme, che queste donne non sono oggetti sessuali, bensì soggetti sessuali. Inoltre, capiamo che siamo di fronte a una specie di artificio, si tratta di una performance”.
MUGLER E LA QUESTIONE DI GENERE
Un’interpretazione che sembra trovare conferma nel busto presente in mostra e indossato da Emma Sjöberg nel videoclip Too Funky del 1992, girato dallo stesso Mugler insieme a George Michael. Il corsetto sovrappone all’anatomia femminile le forme di una moto modello Harley Davidson, con tanto di manubri sui fianchi, specchietti retrovisori, frange e un teschio di ariete coronato da un faro. Appunto non è il binomio da fiera “femmine e motori”, bensì la donna che diventa essa stessa motore e attrice. I più attenti noteranno che il singolo di George Michael, mandato in loop in una delle sale della mostra, inizia proprio con una voce fuoricampo femminile, che domanda con simulata ingenuità: “I’m not tryng to seduce you, would you like me to seduce you?”. È la donna ad assumere il controllo.
Mugler non ha solo voluto creare delle amazzoni, ma ha anche espresso vicinanza alla comunità non binaria, facendo ad esempio sfilare l’attore, cantante e drag queen RuPaul.
Un’aperta critica alla morale borghese, che diventa manifesto nell’atto V della mostra intitolato Belle de jour, belle de nuit, un esplicito omaggio al film di Luis Buňel del 1967, in cui Séverine Serizy, interpretata da Catherine Deneuve, fugge la noia del suo matrimonio borghese, vestendo i panni di una prostituta in un bordello pomeridiano.
Dando forma a fantasie feticiste, alcuni degli abiti di questa sezione sono in lattice, uno dei diversi materiali poveri, insieme a plastica, plexiglas e pellicce sintetiche, che Mugler ha nobilitato adoperandoli per le sue creazioni.
DALLA MODA AL TEATRO
Le sfilate di Mugler sono state spesso paragonate a veri e propri spettacoli teatrali, per la sua capacità di contestualizzare gli abiti in un racconto e in un’atmosfera fiabesca. Ed è proprio alla sua collaborazione con la Comédie Française che è dedicato l’atto VII della mostra. In sala sono esposti i costumi realizzati negli atelier della storica istituzione parigina, fondata nel 1680, per lo spettacolo del Macbeth, andato in scena nella corte d’onore del palazzo dei papi ad Avignone. Lo stilista non si è ispirato alla moda dell’epoca, bensì alle caratteristiche psicologiche dei personaggi. Ne è un buon esempio l’abito dorato con ampia sottogonna che si sviluppa in orizzontale di Lady Macbeth, tanto da assumere le fattezze di un trono, che simboleggia al tempo stesso il potere acquisito ma anche una trappola.
Nella primavera del 1997 il mondo della moda sussultò di fronte alla collezione Les insectes. Prefigurando l’avvento di esseri ibridi e antropomorfi, le passerelle si popolarono di tailleur-formica, occhiali patinati in plexiglas a forma di libellula, capi in satin raffiguranti una crisalide, corsetti a forma di scarabeo impreziositi da paillette, diamanti sintetici e criniere di cavallo. Quest’ultima opera, La Chimera, è considerata il capolavoro di Mugler e il capo di alta moda più costoso in assoluto. Realizzato in collaborazione con l’artigiano di corsetti Mr. Pearl e l’artista Jean-Jacques Urcun, spicca all’interno della sala iridescente dedicata alla collezione e animata da una scenografia multimediale che rievoca un mondo sottomarino.
Non meno sorprendente l’ultima sezione, dedicata alle fotografie di Mugler e alla sua amicizia e collaborazione con Helmut Newton. L’elemento prevalente è la ieraticità e il distacco emotivo delle figure umane, che si inseriscono in paesaggi dal clima estremo, quali la Groenlandia e il Sahara, o come vere e proprie statue a corredo di monumenti iconici, quali l’Empire State Building o l’Opéra Garnier. Una mostra così sensazionale e sopra le righe da spazzare via ogni dubbio riguardo alla legittimità della presenza dell’alta moda nei musei.
Per usare le parole di Linda Nochlin: “La moda è una forma d’arte postmoderna, perché aiuta a destabilizzare il sé in modo fantastico”.
‒ Lidia Ciotta
Monaco di Baviera // fino al 28 febbraio 2021
Thierry Mugler – Couturissime
KUNSTHALLE
Theatinerstrasse 8
www.kunsthalle-muc.de
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