Come in ogni altra città del mondo anche a New York la pandemia ha colpito duro. Mesi di aperture e chiusure, pass e documenti di identità da esibire ovunque, arrivi interdetti, spedizionieri in tilt per oltre un anno a causa del maledetto virus. E ora che la variante Omicron è stata identificata già in 16 dei 50 Stati americani, le regole sui viaggi cominciano di nuovo a restringersi: eppure la capacità di reazione della Grande Mela è stupefacente. Le mostre di moda che è ora possibile vedere al Brooklyn Museum e al Met sono qualcosa a cui da un po’ si era persa l’abitudine.
Forse è perché in questa città vivono 8,4 milioni di persone (sempre più giovani), forse è perché questa megalopoli ha in realtà poco a che fare con il resto di un’America di recente percorsa da nuove incertezze. Un “quartiere” (2,6 milioni di abitanti) come Brooklyn ancora in apertura di millennio era un luogo considerato ai margini, mentre oggi, con Williamsburg a fare da apripista, è diventando il cuore pulsante di New York. Abitano qui gli hipster trentenni con redditi robusti dovuti a lavori nel digitale o in banche d’affari (una figura da ripensare, quella del banker, rispetto all’iconografia Anni Ottanta). Brooklyn – a scapito della troppo compressa Manhattan ‒ sta diventando il posto “figo” dove stare, con relativi prezzi in crescita esponenziale. Il processo è rapidissimo e proprio di recente il sindaco Bill de Blasio ha deciso di sovvenzionare il Brooklyn Museum con una donazione di 50 milioni di dollari.
CHRISTIAN DIOR AL BROOKLYN MUSEUM
Una mostra impressionante quella allestita al Brooklyn Museum, appunto. Per la grande estensione, per la ricchezza dell’allestimento, con l’atrio centrale ridisegnato come un giardino, e una galleria conclusiva che celebra gli abiti indossati da star come Grace Kelly e Jennifer Lawrence. E per Il successo di pubblico che riscuote: una folla tale da rendere faticoso aggirarsi per le sale che contengono duecento abiti tratti principalmente dagli archivi Dior, oltre ad accessori, video d’archivio, schizzi, profumi vintage. Non solo ciò che ha disegnato il couturier francese, ma pure tutti i “maestri” che si sono susseguiti alla guida della maison ‒ con alterne fortune, a dire il vero. A partire da Saint Laurent (1958-60) per arrivare al fiammeggiante John Galliano (1997-2011) dopo i non fortunatissimi intermezzi di Gianfranco Ferré (1989-96) e Marc Bohan (1961-89), fino ai recenti Raf Simons e Maria Grazia Chiuri.
Questa mostra ha poi una caratteristica tutta sua: la curatela ha creato un racconto che fa di Dior “quasi” un’invenzione americana. Il couturier avrebbe insomma trovato la ragione del suo straordinario successo solo dopo lo sbarco negli USA. Una forzatura, che però qualcosa di vero ha: la disponibilità finanziaria per l’acquisto dei suoi costosissimi abiti Christian Dior la trovò negli USA degli Anni Cinquanta non era comparabile a niente e in nessun altro luogo. Un’accoglienza davvero straordinaria, come testimonia lo spazio dedicato dal Brooklyn Museum ai fotografi di moda che proprio in America hanno rivelato monsieur Dior al grande pubblico. L’elenco è impressionante per qualità e ampiezza: Horst P. Horst, Lilian Bassman, Ewin Blumenfeld, Irving Penn, Richard Rutledge, Louise Dahl-Wolfe, Henry Clarke, Richard Avedon, Bert Stern, Melvin Sokolsky, Herb Ritts, William Klein, Mario Sorrenti, Annie Leibovitz, Steven Meisel, Tierney Gearon, Steven Klain, Deborah Turbeville. Basterebbe questa sola sala a fare della mostra un evento unico.
LA MODA AMERICANA IN MOSTRA AL MET
Un’esposizione minimale, ma solo per il tipo di allestimento senza fronzoli disposto in due sale sovrapposte relativamente piccole. La selezione dei capi di abbigliamento e il concetto che la sostiene è invece solenne ed emotivamente coinvolgente. La moda americana, tradizionalmente caratterizzata da praticità, funzionalità e tutto sommato egualitarismo, qui prova a prendersi una rivincita verso lo spazio di solito riservato alla moda europea: e si presenta con un vocabolario rivisto e basato sulle sue qualità espressive.
La mostra è organizzata in 12 sezioni che esplorano le qualità emotive della moda americana: “Nostalgia”, “Appartenenza”, “Delizia”, ”Gioia”, “Meraviglia”, “Affinità”, “Fiducia”, “Forza”, “Desiderio”, “Sicurezza”, “Comfort” e “Coscienza”. Ogni capo presentato riflette differenti espressioni di questi sentimenti: sulla testa di ogni manichino (tutti identici) appare infatti un lemma diverso. Ad esempio, nella sezione “Appartenenza”, che comprende quattro espressioni della bandiera americana, la versione di Ralph Lauren porta con sé la parola “idealismo”, quella di Tremaine Emory “affermazione”, quella di Willy Chavarria “isolamento”, quella di Tommy Hilfiger “solidarietà”. Nella sezione “Coscienza”, che chiude la mostra, un abito di perline riciclate degli Anni Venti di Tara Subkoff per Imitation of Christ rappresenta la parola “salvezza”, un abito in tessuto deadstock di Hillary Taymour per Collina Strada rappresenta la parola “gratitudine”, sul capo del manichino dove Virgil Abloh incrocia Off-White con Arterix compare “affinità”.
I designer rappresentati sono più di cento: una scelta vasta, accurata, che fornisce un elenco indispensabile di nomi noti e meno noti utili per capire davvero che cosa è stata la moda americana a partire dagli Anni Quaranta. Ogni cosa, perfettamente ordinata, è stata disposta allo stesso livello percettivo, il che crea un problema (forse l’unico di questa straordinaria esposizione): tutto è così “bello” che l’uguale si accosta senza fine all’uguale. Ma forse è proprio questo l‘insuperabile limite ontologico intrinseco di quel sentimento che chiamiamo “moda”.
‒ Aldo Premoli
New York // fino al 20 febbraio 2022
Christian Dior: Designer of Dreams
BROOKLYN MUSEUM
200 Eastern Parkway
www.brooklynmuseum.org
New York // fino al 5 settembre 2022
In America. A Lexicon of fashion
THE MET FIFTH AVENUE
1000 Fifth Avenue
www.metmuseum.org
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