I grandi gruppi del lusso hanno adottato comportamenti dissonanti, alternando show in presenza o in modalità streaming più o meno complesse. Si sono viste esibizioni di grandeur che strizzano l’occhio al commerciale presentando però una ricerca tessile che supera i confini dell’immediatamente commerciale.
Alla categoria grandeur appartengono senza dubbio le collezioni messe in campo dal più potente dei gruppi del lusso, LVMH. Louis Vuitton e Christian Dior a Parigi, sopra tutti gli altri, hanno fatto leva sull’ampia disponibilità di mezzi nell’allestire show in ricordo di Virgil Abloh per Vuitton e in sintonia con l’eredità di Christian Dior per il brand che ancora oggi porta il suo nome. Sempre nell’orbita della multinazionale francese sono arrivate le presentazioni di Fendi ed Etro a Milano.
LA MODA 2022 A MILANO
Uno step nella direzione della ricerca lo hanno fatto Zegna, Prada e Dolce&Gabbana, seppure in modi tra loro lontani. Da Zegna con il lavoro di un “couturier al maschile” come Alessandro Sartori, che ha posto l’accento anche sulla sostenibilità delle sue collezioni. Da Prada con le concettualizzazioni operate da Miuccia Prada in coppia con Ralph Simons per una collezione pensata per uomini di ogni età, boomer compresi. Da Dolce&Gabbana, all’opposto, il tentativo è stato proprio quello di mettersi in connessione con il gusto per l’autorappresentazione della nuova fascia affluente di consumatori (presto maggioritaria) costituita da GenZ e Millennial.
Ancora oltre si sono spinte le presentazioni di alcuni brand minori, meno condizionati dai numeri necessari per mantenere le produzioni adeguate. A Milano quelle di JW Anderson (a sua volta nell’orbita di LVMH) e A-Cold-Wall*. Per questo brand lo stilista Samuel Ross (Brixton, 1991) ha esplorato forme che interrompono non solo i modelli tradizionali dell’abbigliamento, ma vanno oltre le stesse linee guida dello streetwear. L’atmosfera tecno-apocalittica della collezione era in qualche modo già presente nella sua mostra di mobili scultorei in marmo e acciaio all’Art Basel Miami dello scorso dicembre. JW Anderson (che oltre al suo brand disegna per LVMH anche per Loewe e appare come possibile candidato alla difficile sostituzione di Virgil Abloh) ha messo in scena un’esplorazione del mondo digitale concentrandosi sul suo aspetto ludico. Lo ha fatto con capi tanto maschili quanto femminili, provando a operare l’ennesima rottura delle barriere di genere e gusto. Più connesso alla sensibilità della GenZ di qualsiasi altro, ha proseguito su questa traccia anche a Parigi per Loewe.
LA MODA 2022 A PARIGI
Nella capitale francese da segnalare, al di fuori delle cronache di sempre, ci sono state le collezioni Kenzo, Mdingi, Y/Project e Juun. J. Kenzo appartiene a LVMH ed è stato Virgil Abloh poco prima di mancare a volere un rebranding del marchio affidato al dj giapponese Nigo (Maebashi, 1970). Presentato sino al momento del debutto come un esponente dell’hypebeast internazionale, Nigo è però rimasto fedele ai codici della maison, ma lo ha fatto in maniera pulita anche se per niente scontata.
Per questa collezione di Y/Project Glenn Martin (Brugg, 1983) ha intrapreso la strada del cross over tra marchi (lo hanno fatto di recente Gucci e Balenciaga, ma l’antesignano è stato Supreme). Suo riferimento in questo caso è stato Jean Paul Gaultier, di cui è il direttore creativo della linea alta moda presentata pochi giorni dopo in una sorta di “residenza” stagionale. Martin ha utilizzato la più iconica tra le grafiche tromp-l’oeil di Gaultier talvolta sovrapponendo il tema uomo e quello donna. Si sono visti top strabordanti di addominali, con capezzoli femminili ben disegnati o minigonne decorate con una grafica fallo. Si tratta di una collezione in ogni casa solida, con giacche oversize e drappeggiate sulle spalle, gonne a pieghe e altri look in doppio denim nuovamente ricoperti da trompe-l’œil.
Un discorso a sé meritano Lukhanyo Mdingi e Juun. J. Mdingi (1992) si è laureato in Sud Africa alla Cape Peninsula University of Technology for Fashion Design e fa parte del drappello in ascesa capace di esprimere le energie creative dell’Africa, continente che entro il 2050 ospiterà la popolazione più numerosa e giovane del pianeta. Ma Mdingi non è solo un fenomeno a cui guardare per gli ovvi risvolti di un possibile mercato in apertura, è davvero bravo: ha una grande sensibilità per il colore, ama lavorare con gli artigiani della sua terra d’origine e possiede un istinto per il glamour che ritiene di aver ereditato addirittura da Gianni Versace.
Al suo opposto sta Juun. J (Seul, 1992) un coreano che rivisita la sartoria classica per ottenere un originale “street tailoring”. In una tornata di presentazioni in cui a tutti i giapponesi (Kawakubo, Yamamoto, Watanabe…), causa pandemia, è stata preclusa la presenza fisica, Juun. J ha avuto una chance in più di farsi notare. La predilezione dimostrata per l’oversize e il layering in lui acquista un twist particolare. Ricordate il fenomeno Blackpink (45 milioni di follower)? La Corea del Sud entra (anche) con Juun. J senza più timori reverenziali nel mainstream globale.
IL FUTURO INCERTO DELLE FASHION WEEK
Un’ultima considerazione. Grandi assenti da questo primo giro di presentazioni del 2022 risultano essere, oltre a Burberry, Moncler, Versace e Armani, i marchi del gruppo Kering di proprietà di Pinault: Gucci, Bottega Veneta, Balenciaga, Yves Saint Laurent, Alexander McQueen non hanno risposto all’appello delle fashion week. Nessuno dubita comunque che siano all’opera. Le fashion week hanno dunque smesso di ricoprire il ruolo essenziale che è stato loro affidato per decenni?
‒ Aldo Premoli
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