La moda etica e green del giovane stilista Italo Marseglia
Il designer campano, che si è formato nella storica maison capitolina con Fausto Sarli, si racconta tra sogni e nuove sfide per il futuro. Un domani in cui la moda sarà sempre più etica e green, riscoprendo antiche tecniche sartoriali come il crochet
Un percorso che parte dalla tradizione, ma è rivolto al futuro. Questo è la visione di Italo Marseglia (1990), che studia per diventare imprenditore di se stesso, mentre sogna Dior, guardando al passato, al rigore stilistico che ha appreso durante la sua esperienza professionale nella “dimenticata” maison capitolina del maestro Fausto Sarli. Il designer porta avanti l’avventura dell’inedito format Uncinetto in tour, che vuole riscoprire la tecnica trascurata del crochet. “Il suo heritage era rimasto in quella casa di moda: l’attenzione per i dettagli, la dedizione nella progettazione e realizzazione di un abito, il vero savoir faire made in Italy credo di averlo imparato lì”, racconta dopo aver seguito un corso per giovani manager promosso dalla Regione Lazio. Collezioni sostenibili le sue, la voglia di distinguersi attraverso l’upcycling e il riuso creativo nel mare magnum di proposte che spesso non sono sempre così speciali o realmente sostenibili. Tra i suoi trademark sono l’alta gamma delle linee demi-couture, che conservano nella riproducibilità l’unicità di ogni singolo patchwork, prodotto con tirelle scartate, e gli accessori confezionati con pelli di salmone conciate al vegetale. Artigianalità, ricerca e sperimentazione sui tessuti per un marchio che confida non solo in una semplice ripresa del comparto, ma nella rottura degli schemi, quando sarà finita totalmente l’emergenza pandemica.
INTERVISTA A ITALO MARSEGLIA
La moda: passione e sofferenza per chi tenta di emergere.
È un settore particolarmente complicato, ha delle caratteristiche che lo rendono diverso da tutti gli altri. Nel comparto moda, ci si rende conto che, a volte, il solo talento e la grande disciplina non bastano. Per me la seconda è fondamentale, però per molti creativi è quasi un ossimoro. Un approccio troppo preciso non funziona anche se, in seguito, l’estro deve incontrare il marketing, altrimenti gli abiti non si vendono. In un momento storico complesso, i designer hanno bisogno di diventare imprenditori di se stessi. Non mi considero arrivato e, tuttora, mi ritrovo in un viaggio che ha molteplici mete.
Quando ha capito di avere talento?
Una costante della mia storia personale. Da quando ho memoria, sin da bambino, volevo fare lo stilista. A livello didattico ero molto bravo a scuola e ho continuato con un percorso che non era artistico ma scientifico. Poi ho frequentato lo IED di Roma, terminando il triennio in Fashion Design nel 2012. Ho iniziato a lavorare negli atelier romani dell’alta moda, Sarli è stata la prima maison. Purtroppo, non ho conosciuto il maestro Fausto, che era già scomparso. Tuttavia, il suo heritage era rimasto in quel luogo: l’attenzione per i dettagli, la dedizione nella progettazione e realizzazione di un abito, il vero savoir faire made in Italy credo di averlo imparato lì. I valori di Fausto Sarli erano ben presenti ai suoi collaboratori, pure se lui non c’era più. Un’esperienza unica che mi ha fatto capire l’importanza del nostro know-how italiano. Successivamente, sono passato alle consulenze. Lo faccio per le aziende e le istituzioni, come il Parco Archeologico del Colosseo, quindi ho un approccio trasversale. Mi mancava lo studio delle materie prime, dei tessuti e, con non poca incoscienza, nel 2016 ho deciso di dare il via a una nuova sfida, che ha portato alla fondazione del mio brand omonimo.
I vari lockdown sono stati stimolanti sul piano creativo?
Il primo isolamento non è stato affatto di fermo. Ero al timone di un’iniziativa della ONG Greenpeace in collaborazione con il Consorzio Italiano Implementazione Detox. Abbiamo guidato alcuni giovani stilisti nella produzione di capsule collection di moda uomo attente all’ambiente e alla sostenibilità. Incredibile osservare come i compiti normali, fra cui lo sdifettamento dei modelli, il fitting (provare il capo sul modello), e i normali problemi tecnici di chi assembla i capi diventavano più complicati a causa della distanza. Potevamo vederci su svariate piattaforme web, ma questo è un mestiere in cui presenza e manualità sono necessarie nell’intero processo di creazione e produttivo. Il mio metodo ne ha risentito, i pezzi della spring-summer erano delle reinterpretazioni di progetti già esistenti con stampe innovative e fibre bio, bambù e banano, ottenute con le dovute certificazioni. È stato essenziale ripensarsi in una professione che è fatta di ricerca.
LA MODA SECONDO MARSEGLIA
Spesso le istituzioni predicano bene e razzolano male. Ha ricevuto sostegno?
Ho una grandissima sfiducia verso tutto quel sistema di concorsi. Ho deciso di percorrere altre strade, lavorando incessantemente per raggiungere risultati concreti. I contest appartengono a un ampio meccanismo che scavalca creatività e qualità. Credo, invece, nell’approccio meritocratico degli enti pubblici e nel supporto governativo. Sono convinto che le nuove leve possano contare sugli aiuti istituzionali. Ma, considerato il periodo, non ci si può aspettare che siano una panacea. Sono partito da Altaroma, prestigioso trampolino di lancio, che mi ha consentito di stringere rapporti commerciali. Il mio primo showroom, Elisa Gaito, l’ho trovato così: i buyer sono rimasti colpiti da ciò che hanno visto durante la kermesse. Ci vengono offerti alcuni mezzi e sta a noi emergenti sfruttarli al meglio.
Come nasce l’Uncinetto in tour?
È nato lo scorso gennaio con l’intento di riavvicinarmi a tutti coloro che mi avevano dimostrato solidarietà durante la pandemia. Da qui l’idea di iniziare a girare con un bagaglio pieno di filati e uncinetti in tutti i luoghi più rappresentativi d’Italia per far sì che la community digitale potesse vedere il mio lavoro. Nelle varie tappe ho incontrato i miei follower e chi mi ha sostenuto. Approderemo al Salone del Mobile di Milano e, mediante il supporto di Manteco, utilizzando lane riciclate, sveleremo una capsule di cinque maglioni il cui ricavato sarà devoluto in beneficenza.
Designer e imprenditore di se stesso. Le due anime possono convivere?
Lo definirei un rapporto catulliano: “Odi et amo”. Se si pensa al punto di vista creativo non è conciliabile con l’aspetto manageriale. Sono libero ma vincolato. E, se desidero produrre una linea di successo, devo necessariamente entrare in contatto con la parte imprenditoriale. Molte volte mi risulta ostica, ma è importante poiché non riuscirei a portare avanti ciò che faccio. Mi sono abituato a tutto questo grazie alle consulenze, che mi hanno permesso di misurarmi in uno spazio connesso al mercato: ci si relaziona maggiormente con il commerciale rispetto all’ufficio stile. Costruire una collezione sui dati del venduto dopo il briefing rientra ormai nella mia metodologia progettuale.
LA MODA SOSTENIBILE DI MARSEGLIA
Una moda ecologica è possibile?
Mi sono innamorato dell’upcycling e del riuso. Non esiste un’unica moda sostenibile ma differenti modi sostenibili di fare moda. Nell’abbigliamento, riutilizzare gli scarti può essere una soluzione contro le emissioni di CO2 e lo spreco. Il nostro iconico patchwork viene fuori da tirelle di collezione, piccoli pezzi di tessuto portati in giro dai tessutai e destinati alla vendita. Lo scopo è recuperare ciò che era destinato al macero, lo stesso vale per la pelletteria. I miei accessori sono confezionati con pellami che non provengono dalla filiera del fashion, ma da aziende secondarie e dall’industria ittica: la pelle di salmone, che ricorda quella di rettile o di serpente, arriva dall’Islanda grazie alla partnership con Atlantic Leather che la concia al vegetale. Così come per l’anguilla. E, oggi, sono diverse le imprese che si propongono per darci materiali di scarto e prove di tessitura. Ne deriva una filosofia demi-couture che dell’alta moda conserva la non riproducibilità della foggia spaziando sulle configurazioni patchwork. Per esempio, cento camicie vendute avranno l’identico mood della linea ma si differenzieranno, quanto a originalità, nei singolari dettagli delle fantasie.
Cosa si augura per la sua carriera?
Una ripartenza, non un semplice reload con le stesse identiche dinamiche di qualche tempo fa. Spero in un cambiamento radicale. In caso contrario, il rischio è di restare emergenti fino a quarant’anni ed è abbastanza frustrante. Eliminiamo le modalità obsolete che non funzionano!
‒ Gustavo Marco P. Cipolla
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