Mentre riparte il rituale delle presentazioni a tema moda (è in corso a Firenze Pitti Immagine uomo, seguita a ruota dalla Fashion Week milanese), altrove i decisori che contano nel modo del fashion globale sono in azione. I titoli delle Borse di Milano, Parigi, Francoforte, New York e Hong Kong ‒ dove si sono collocati tutti i grandi gruppi del fashion ‒ vivono dall’inizio di questo 2022 momenti di grande incertezza. Prima la guerra in Ucraina, poi le chiusure forzate di Pechino e Shanghai e infine le manovre antinflazionistiche delle banche centrali non hanno dato tregua in questi primi sei mesi dell’anno. E questo nonostante tutti i grandi brand abbiano riportato risultati positivi per i fatturati dei mesi precedenti.
Deve essere questo il perché della inconsueta frenesia di cambi al vertice in arrivo per i direttori artistici di brand molto noti. I creativi di questo settore stanno perdendo l’aura magica che ha accompagnato la loro figura nel XX secolo? Appaiono piuttosto come pedine spostate a piacimento sulla scacchiera dei gruppi finanziari del lusso che dominano questo settore.
IL CASO KIM JONES E MARC JACOBS
Sono soprattutto le due major francesi (LVMH ‒ 64,2 mld i ricavi nel 2021, e Kering ‒ 17,6 mld) a conferire a torri e cavalli, alfieri e pedoni movimenti inaspettati. In casa Kering lo scorso novembre il francese Matthieu Blazy (1984) ha preso il posto, come direttore creativo di Bottega Veneta, dell’inglese Daniel Lee (1974), che solo quattro anni fa aveva sostituito il tedesco Tomas Maier (1957), da quasi vent’anni al timone dell’azienda fondata nel 1966 a Vicenza. Da LVMH Marco de Vincenzo (1978), proveniente dalla sezione accessori di Fendi, lo scorso mese è divenuto il direttore artistico del brand Etro (la cui maggioranza oggi appartiene al fondo L Catterton, sempre di Bernard Arnault, patron di LVMH), estromettendo così definitivamente la famiglia che quel marchio aveva fondato nel 1968 a Milano. In attesa di capire chi potrà sostituire il rimpianto Virgil Abloh, ora arrivano rumor a proposito di un atterraggio dell’americano Marc Jacobs (1963) da Fendi: in questo caso non per sostituire ma per affiancare l’inglese Kim Jones (1979).
A questo punto un passo indietro è indispensabile. Marc Jacobs non è un debuttante: è stato alla testa dello stile di Louis Vuitton, il più profittevole tra i brand di LVMH, tra il 1997 e il 2014. Jacobs e Kim Jones hanno lavorato insieme da Louis Vuitton dal 2011 al 2013, l’uno per la linea donna e l’altro per quella uomo. Al posto di Jacobs è poi subentrato il francese Nicolas Ghesquière (1971), riconfermato pochi mesi fa, mentre Kim Jones è stato sostituito da Virgil Abloh.
Dunque Kim Jones e Marc Jacobs ora potrebbero affiancarsi di nuovo per Fendi, escludendo definitivamente la famiglia che questa casa di moda aveva fondato nel 1925 a Roma. Kim Jones è attualmente il direttore artistico della collezione haute couture, prêt-à-porter e pellicce di Fendi. Ma è pure il direttore artistico di Dior’s Men. Nel corso della sua carriera ha collaborato con un’ampia gamma di artisti tra cui KAWS, Daniel Arsham, Peter Doig. Jacobs ha unito arte e moda in passerella ancor prima collaborando con Stephen Sprouse e Takashi Murakami. La loro liaison dovrebbe essere annunciata ufficialmente già dal prossimo settembre in occasione delle presentazioni delle collezioni donna a/i 2023.
MODA E BRAND
Questi slittamenti da un brand all’altro, da una collezione originariamente ispirata al viaggio a una celebre per la pellicceria, non sembra impensierire. Né i direttori artistici chiamati in causa né i loro CEO chiamati a far fruttare in ogni modo il prestigio storico di questi brand.
Di certo, tra torri e alfieri, cavalli e pedoni, di caselle libere per i movimenti del re e della regina (per loro un tempo il nome del designer corrispondeva a quello del brand) pare non ce ne siano più.
‒ Aldo Premoli
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