Il marchio Nike festeggia 50 anni e guarda al metaverso
Accompagnato dal famoso, e controverso, simbolo dello swoosh, il brand Nike è uno dei più noti al mondo. Arrivato al traguardo dei cinquant’anni, il colosso dell’abbigliamento sportivo non si ferma e si avventura nell’universo digitale
È il brand più prezioso che esista. Vale più del doppio di Adidas, il suo rivale più prossimo nell’abbigliamento sportivo; ma distacca significativamente Louis Vuitton, Gucci e Chanel. Nike ha 73mila dipendenti diretti, controlla il brand Converse, è quotato alla borsa di New York e ha denunciato per l’anno fiscale 2021 ricavi per 44,6 miliardi di dollari. Eppure continua a mantenere un’aura cool.
Da quando nel 2020 Sotheby’s ha deciso di creare sedute regolari ‒ da 8 a 10 ogni anno – dedicate alle sneaker, circa il 95% delle sue vendite sono costituite da modelli Nike. La scarpa più costosa mai venduta all’asta? È una Nike. Si tratta di un prototipo di Nike Air Yeezy di Kanye West, che Ye ha indossato ai Grammy del 2008: acquistata nel 2021 per 1,8 milioni di dollari. Ci sono modelli Nike perfino nella collezione permanente del MET di New York.
LA STORIA DELLO SWOOSH
Nike ha un motto, “Just Do It”, introdotto nel 1984, ma soprattutto lo swoosh. Creato da Carolyn Davidson, neolaureata in graphic design alla Portland State University, viene registrato nel 1971: a guardarlo bene si tratta di un cenno alle ali della Nike di Samotracia, ma pure un segno di spunta che si appone nei questionari multichoice.
Lo swoosh ha rischiato però di scomparire nel 1988. Nike ha preso in considerazione l’ipotesi di disfarsene dopo le segnalazioni di condizioni di lavoro non sicure e sfruttamento minorile nelle fabbriche dei suoi subappaltatori in Asia. Gli attivisti coniarono in quel momento il sinonimo: “swooshticka”. Nel 2017 giunsero nuove accuse relative alle condizioni di lavoro non sicure. Più di recente rivelazioni sul trattamento riservato alle atlete, in particolare a quelle incinte, e alla discriminazione contro dipendenti di sesso femminile (con conseguente causa in sospeso). Questa serie di crisi ha costretto i dirigenti del colosso americano a rivedere le proprie pratiche tanto commerciali che produttive, ma non ad abbandonare lo swoosh, che comunque ha mantenuto il suo posto dominante nella psiche globale dei consumatori.
LA COLLABORAZIONE CON MICHAEL JORDAN E I GRANDI STILISTI
Ai suoi esordi Nike ha abbracciato l’epica sportiva collaborando con Michael Jordan, il suo primo e più celebre partner: gli ha concesso il controllo del proprio nome in un modo che nessuna star dello sport aveva mai avuto prima. Da lì in avanti gli investimenti in questo settore non si sono più fermati: dalla corsa al basket, dal tennis al calcio, dall’hockey su ghiaccio allo skateboard.
Poi Nike ha cominciato a investire anche in altre direzioni: ha via via penetrato un intero universo di sottoculture non sportive. Di più, ha cominciato a flirtare pure con i migliori designer del fashion in circolazione: Rei Kawakubo, Riccardo Tisci, Kim Jones, Virgil Abloh, Chitose Abe.
Hanno poi fatto scuola anche le sue relazioni con partner non tradizionali come Travis Scott, Drake e Billie Eilish.
UNA SNEAKER PER TUTTI E L’ACCESSO AL METAVERSO
All’inizio di giugno Nike ha presentato la NikeCraft General Purpose Shoe, disegnata dall’artista Tom Sachs: un oggetto dichiaratamente normcore e dichiaratamente “democratico” (costa poco più di 100 dollari, sold out in brevisismo temo). Questa sneaker è nata intorno all’idea che non c’è alcuna necessità di acquistare una nuova sneaker ogni settimana. Una proposta piuttosto ambigua per un brand che ha costruito la sua leadership economica fashion sulla vendita di scarpe da ginnastica. Meno ambigua è invece l’ultima acquisizione effettuata nei confronti del brand di sneaker virtuali RTFKT. In questo modo Nike dichiara di voler accelerare la sua trasformazione digitale utilizzando i più avanzati motori di gioco, NFT, autenticazione blockchain e realtà aumentata per creare prodotti adeguati al metaverso prossimo venturo.
‒ Aldo Premoli
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