Meno corpose delle controparti femminili ma ugualmente ricche di spunti, le fashion week svoltesi sull’asse Milano-Parigi tracciano, come sempre, la direzione per la moda maschile che sarà, quella della primavera/estate 2023. A Milano si registrano puntuali conferme e gradite sorprese, con giovani talenti pronti a spiccare il volo. Tra le prime, svetta la coppia d’assi composta da Fendi e Prada. L’uomo immaginato da Silvia Venturini Fendi, responsabile del menswear della maison, è al solito sospeso tra età adulta e naiveté fanciullesca, quindi suprema artigianalità della confezione versus rilassatezza totale dei volumi, grandi classici (blazer, spolverini, camicie – il passe-partout stagionale) versus feticci adolescenziali (ce n’è da perdere il conto, bucket hat, ciabatte in gomma bitorzolute, tracolle frangiate, skateboard con doppie F d’ordinanza…), tic stilistici da dandy impenitente (come le spille-gioiello al bavero) versus nappine, ricami, tie-dye e orpelli vagamente hippie, virtuosismi da far invidia alla couture versus logomania; l’ennesima riprova di come l’ironia sia spesso una carta vincente, pure nel terreno impervio del dress code maschile.
SFILATE UOMO 2023: L’UOMO PRADA E CINA
Anche da Prada la tensione tra seriosità borghese e rêverie giovanili è destinata a rimanere – felicemente – irrisolta; all’infilata di severissimi completi antracite (ma dalla linea affilata e portati coi texani a punta) fanno perciò da controcanto succinti pantaloncini in pelle, golf dalle tonalità garrule, denim lavato indossato da capo ai piedi, soprabiti a quadretti pastello, non troppo diversi dai grembiuli scolastici. Una «collezione incentrata sul concetto della semplicità come scelta, idea e tendenza» (Miuccia dixit), alla quale trovate in puro Prada style (vedi le tote bag fuori scala o i suit “a scatola”) e i fremiti subculturali del co-direttore creativo Raf Simons donano un quid provvidenziale. Fa parte della seconda categoria, invece, lo stilista romagnolo Federica Cina, che col marchio eponimo si lascia sempre suggestionare dalla sua terra d’origine, nel caso specifico le saline di Cervia. È lui stesso a motivare il titolo dello show – Salsedine – con la volontà di “corrodere gli strati fino ad arrivare all’autenticità delle persone, sciogliendo le barriere per sentirsi liberi”. Dal termine, ad ogni modo, si intuisce come i colori del posto pervadano la passerella, trasferendo le nuance assunte dai cumuli di cloruro di sodio durante la salinazione (dal rosa tenue al ruggine, al bianco sporco) in ensemble massimamente ariosi, fedeli al concetto di rimozione delle sovrastrutture, simboleggiato da velature, strappi, orli logori, lavorazioni crochet, superfici scomposte e ricomposte in nuove forme – avendo cura di lasciare ben in evidenza i segni del processo. La ricerca cromatica si spinge a decolorare i tessuti (lini, sete e canape), con porzioni brunite distribuite in modo irregolare su basi slavate; completano il quadro innesti marinareschi – corde annodate sul busto, berretti a secchiello, bisacce porta tutto, sandali a fasce, slide da piscina – e gradienti di azzurro da spiaggia al tramonto.
SFILATE UOMO 2023: IL TALENTO ITALIANO DI MAGLIANO
Magliano, altro lanciatissimo new talent nostrano, porta sulla terrazza di un edificio in disuso da decenni, nella periferia milanese, i suoi modelli dall’aria stralunata, reduci da una notte di bagordi. Il designer bolognese ci ha abituati a scelte decisamente poco canoniche, e anche stavolta i freak del brand (“trasgressivi ma a bassa voce”, puntualizza il diretto interessato, riprendendo la definizione che diede Pasolini del poeta Sandro Penna) s’impegnano a infrangere tabù, usi e dogmi – veri o presunti – del buongusto, campionando i lemmi estetici più disparati. Vale tutto e il contrario di tutto, le giacche dalle spalle squadrate possono accompagnarsi a pantaloni molli e mocassini sgraziati, i bomber collegiali a shorts microscopici, le canottiere ai calzoni con le pinces, per non menzionare le tasche dei cargo pants riempite all’inverosimile, oppure gli asciugamani fissati sulla vita dalla cintura. La ruvidezza dell’insieme è innegabile, eppure conquista grazie alla sincerità di una visione orgogliosamente anarchica, da outsider. Tra i nomi che hanno sfilato nella Ville Lumière, la preferenza di chi scrive va al più eclettico e, insieme, garbato dei mitici Antwerp Six, Dries Van Noten, maestro assoluto del colore, di cui fa un uso pittorico, elevandolo a veicolo privilegiato per l’espressione di uno stile colto, immaginoso, denso di sfumature (anche) di pensiero. Tornando al défilé dopo un biennio di presentazioni digital only, il belga passa ai raggi X i look dissonanti di sottoculture del passato come Zazous e Buffalo (che concepivano il vestirsi come un manifesto dell’anticonvenzionalità) e ne filtra a modo suo l’appariscenza, diluendola in mise notevolmente dégagé, tra pants liquidi che lambiscono il pavimento (o, all’opposto, risicati, fermi alla coscia), soprabiti svolazzanti, sciarpe drappeggiate sul torso e arditezze cromatiche, of course, sotto forma di pastiche in apparenza impossibili epperò ipnotici (patchwork in cui coesistono toni elettrici, animalier e ramages fiorati, lettering cubitali, trame geometriche abbaglianti, accostamenti temerari). Un’operazione da funambolo del fashion, oltremodo complessa, ma riuscita.
SFILATE UOMO 2023: LA MODA MASCHILE SECONDO DIOR
Un lirismo diverso, parimenti accattivante perché colmo di rimandi alla flora rigogliosa di due celebri dimore, costituisce l’essenza della proposta P/E 2023 Dior Men; Kim Jones esplicita, già nello scenografico allestimento nel cortile di Val-de-Grâce (una tenuta di campagna invasa da piante e fiori di ogni genere), la volontà di omaggiare l’atmosfera bucolica della villa natia di Monsieur Dior, a Granville, del tutto simile a quella di Charleston Farmhouse, nel Sussex, ritrovo del pittore Duncan Grant e altri intellettuali del Bloomsbury Group. Il direttore artistico ne fa i poli della sua ricerca creativa, individuando similitudini tra meteo, luci, vegetazioni delle due magioni, coagulando poi il tutto attorno alla figura di un esteta ritiratosi fuori città, un po’ giardiniere, un po’ flâneur, che neppure se immerso nei ritmi di vita della campagna perde un briciolo del proprio aplomb. Certo, vengono meno alcuni punti fermi dell’eleganza parisienne (un vessillo per gli uomini della griffe), stivaletti di gomma e scarpe da trekking prendono il posto della calzature formali, top smanicati, salopette e maglie in pile quello di capispalla e camiceria, le linee si fluidificano, gli orli si accorciano, l’attitudine è più nonchalant che mai. Tuttavia la chicness associata al marchio è preservata dall’accuratezza dei tagli, dalla leggiadria di materiali – come organza di seta, cady, cotone, paglia – e tonalità (una sinfonia di cromie desaturate, rosa, bianchi, verdi e celesti acquosi), dalle versioni rivedute e corrette dell’iconica Bar Jacket, dalle pennellate del citato Grant, che si insinuano su pullover o giubbotti, confermando l’inclinazione di Jones a riversare sul tessuto gli artwork, tramutandoli in capolavori à porter; per ribadire, qualora ce ne fosse bisogno, l’ottima salute di cui gode la liaison tra arte e moda.
– Marco Marini
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