Bufera Balenciaga. Tutta la storia di una polemica mediatica

Moda, pubblicità, fotografia. E l’infernale meccanismo del web. Uno storico brand internazionale finisce nel mirino dei critici e degli haters, per via di una campagna fotografica. Anzi due. Anzi tre. Un mix di passi falsi e poi di illazioni deliranti. Quindi le scuse. Ma resta il fallimento di un’idea debole, al netto dell’ottimo autore...

Giorni difficili per il mondo della moda, tra polemiche mediatiche e addii inattesi. Mentre Alessandro Michele lasciava nello sconforto stuoli di estimatori, dopo i suoi 20 anni di lavoro da Gucci e i suoi 7 di intrigante, innovativa, colta, sperimentale e romanticamente audace direzione creativa al servizio del marchio, il belga Raf Simons, mixeur di eleganza sartoriale e indomita sensibilità giovanile, annunciava dopo 27 anni la chiusura del brand che porta il suo nome (tenendosi “solo” il ruolo di condirettore creativo Prada, al fianco di Miuccia). Per il primo, si mormora, un fatto di resistenza rispetto a possibili cambiamenti di stile richiesti dalla proprietà (leggi Pinault e dunque questioni di finanza, nonostante il boom del fatturato negli anni pre-pandemia); per il secondo, probabile stanchezza, forse solo gli orizzonti e le stagioni della vita che cambiano, o forse perché ad essere di nicchia ci si guadagna in prestigio ma il mercato globale è un’altra cosa, e spesso oggi è una cosa violenta, ottusa.
Il sipario che cala su due realtà importanti e i riflettori che si accendono – in negativo – su un’altra icona del fashion system: lo storico Balenciaga, negli ultimi anni reinventato dall’ironia, l’irrequietezza e lo spirito pop-concettuale di Demna Gvasalia, inciampa nel classico fallo del politicamente scorretto. O chiamiamolo anche cattivo gusto. O ingenuità. O magari rischio mal calcolato, provando il controverso stratagemma del “purché se ne parli”. E se ne è parlato eccome, in questi giorni. Tra cronaca del fattaccio, analisi sulle pagine di cultura o di costume, indignazione di massa e complottismo social della specie peggiore. Fino all’ultimo atto, con il passo indietro della diva-influencer Kim Kardashian, testimonial del marchio (la si ricorda all’ultimo Met Gala infilata in un avveniristico total-black Balenciaga, che la fasciava e incappucciava dalla testa ai piedi, occultando pure il volto): dure critiche, da parte della musa, e possibili ripensamenti in merito alle collaborazioni future. Dissociarsi, in certi casi, vale più di un assegno a cinque zeri.

Uno scatto della campagna Holidays per i Balenciaga Objects Bufera Balenciaga. Tutta la storia di una polemica mediatica

Uno scatto della campagna per i Balenciaga Objects

 BALENCIAGA, L’INCIAMPO E LE SCUSE

Tutta colpa di una campagna pubblicitaria. Tema natalizio, nel senso che al centro delle immagini c’era la collezione di oggetti proposti per i cadeaux sotto l’albero, ma con la consueta vocazione provocatoria: non una capsule collection di sciarpe, pullover o ombretti glitterati, ma un piccolo arsenale di accessori in stile erotic-punk, con riferimenti al mondo BDSM, fra tanga, top a rete, choker con catene, punte e lucchetto, zainetti-peluche agghindati col classico harness in pelle nera e borchie. Tutto bene, per gli appassionati del genere, se non fosse che i set erano dei teatrini domestici a misura di bambino. Camerette immacolate e salottini buoni, in cui facevano bella mostra di sé i suddetti “giocattoli” a disposizione dei pargoli. Immagini non sconvolgenti ma certamente stonate, disturbanti, incomprensibilmente ambigue.
Risultato, dopo la valanga di critiche, boicottaggi via hashtag e indignazione montata a ritmo esponenziale: ritirata la campagna da tutte le piattaforme e ammesso l’errore (“
Ci scusiamo sinceramente per qualunque offesa che la nostra campagna holiday ha potuto causare […] I nostri orsacchiotti plush bear non avrebbero dovuto essere fotografati con i bambini”). Non lascia scampo il sistema della comunicazione web, con i suoi tribunali social, le modalità di costruzione e di consumo nevrotico della notizia, i meccanismi di amplificazione/distorsione del reale.

Uno scatto della campagna per i Balenciaga Objects 2 Bufera Balenciaga. Tutta la storia di una polemica mediatica

Uno scatto della campagna per i Balenciaga Objects

LE FOTO DI GABRIELE GALIMBERTI PER BALENCIAGA

Autore degli scatti è l’italiano Gabriele Galimberti, nome di peso che arriva dal mondo della fotografia di reportage, autore di servizi per testate internazionali di rilievo, impegnato in progetti di assoluta qualità. E il suo tocco, il suo stile, la sua mano, qui ci sono tutti. C’è proprio, in realtà, una doppio differente e dissonante, un remake in versione fashion di un suo lavoro noto. Galimberti ha replicato per Balenciaga il concept del suo “Toys Stories”, indagine condotta per anni tra appartamenti di tutto il mondo, a immortalare camerette di bambini: sul set giocattoli d’ogni sorta, apparecchiati con cura, insieme ai volti, i sorrisi, gli imbarazzi, gli abiti, i contesti, le storie non svelate dei piccoli protagonisti. Montagne di balocchi, qualche volta appena due o tre, tra linde dimore occidentali e povere baracche alla periferia del globo. Un delicato equilibrio fra costruzione estetica e autenticità, nella verità dei luoghi e delle scene, nella fissità e nella regolarità dei tagli frontali, nella maniacale collocazione di pupazzi, trenini, bambole, costruzioni, pistole, dinosauri, playmobil, palloni. E le distanze geografiche, economiche e culturali si assottigliano, con la genuinità del gioco che avvicina ed accomuna.

Una foto di Gabriele Galimberti dal ciclo Toys Stories (Tangawizi – Keekorok, Kenya)

Una foto di Gabriele Galimberti dal ciclo Toys Stories (Tangawizi – Keekorok, Kenya)


Le immagini sono da leggere nel più ampio contesto di una ricerca multi livello, diluita nel tempo. È un catalogo antropologico quello che viene fuori sfogliando i progetti dell’autore, in particolare
i lavori che ricalcano la stessa cifra domestica, tra memorie familiari, indagine sociale e vocazione per il ritratto: su tutti lo sconcertante The Ameriguns, che gli valse nel 2021 il World Press Photo, realizzato durante decine di viaggi attraverso gli Stati Uniti, incontrando e fotografando cittadini comuni, proprietari di armi custodite con orgoglio nelle loro abitazioni. L’immagine di un’America dilaniata da contraddizioni stridenti, di una democrazia che mantiene l’oscenità della pena capitale e che – a protezione di colossali lobby industriali – non ha il coraggio di sopprimere il Secondo Emendamento varato nel 1791, con cui si sancisce il diritto di possedere armi, senza alcun controllo da parte dello Stato.400 milioni di armi per 328 milioni di persone, ricorda Galimberti nel suo statement, ovvero “la metà di tutte le armi da fuoco nel mondo possedute da privati cittadini per scopi non militari”. La rigidità delle pose, l’ordine delle composizioni, l’intimità e la normalità dei contesti, contrastano con la ferocia essenziale: documenti visivi eloquenti, corredati da interviste e racconti biografici.
A questo ciclo fanno eco, oltre a “Toys Stories”, altre serie con lo stesso impianto, come quella sulle donne e le loro cucine (“In her Kitchen”) o quella sulle famiglie e i farmaci conservati tra le mura di casa (“Home Pharma”).

Gabriele Galimberti unpimmagine della serie The Ameriguns 2 Bufera Balenciaga. Tutta la storia di una polemica mediatica

Floyd and Lesia McMillin (both 49 years old) – Topeka, Kansas
Gabriele Galimberti, unp’immagine della serie The Ameriguns

LA POLEMICA BALENCIAGA. PROVOCAZIONI GRATUITE

Cosa non ha funzionato dunque nell’operazione Balenciaga e nell’incontro, teoricamente vincente, tra l’ironia provocatoria dello stilista georgiano e il talento di un fotografo di primo piano? Non è tanto, a ben guardare, un fatto di sdegno moralista, di critica bacchettona, di condanna a priori per questo sconfinamento nell’immacolato universo dell’infanzia. Il piano del peccato e della convenzione borghese non riguardano lo spazio della libera espressione artistica, quantomeno in termini di legge assoluta e di diktat morale. Non avremmo altrimenti accolto e celebrato centinaia di opere pittoriche, scultoree, letterarie, teatrali, cinematografiche, che il limite della perversione, del peccaminoso, del proibito, lo hanno sfiorato e valicato con profondità di sguardo e di pensiero. Anche, in qualche caso, confrontandosi con la delicatissima questione dei corpi, delle storie, delle immagini infantili.
Il punto sta nel senso, sempre. Nell’urgenza dei contenuti e nell’aderenza delle forme, nella giustezza dei linguaggi, nell’arguzia delle consonanze e delle dissonanze, nell’imperativo della poesia e nella scommessa di certe indagini umane, filosofiche, storiche, universali. Il punto sta nella potenza di ciò che si pone lungo il bordo, restituendone l’energia complessa e attrezzandosi per sperimentarne la rottura. Oltre la convenzione, la norma, il paradigma. Bisogna saperlo fare. Non è stato questo il caso.

Una foto di Gabriele Galimberti dal ciclo Toys Stories

Una foto di Gabriele Galimberti dal ciclo Toys Stories

Il mero spostamento di un lavoro di reportage, ben confezionato e ben pensato, sul terreno di un banale spot commerciale, in assenza di un’idea forte, di un’ispirazione artistica, di una motivazione che fosse estetica, politica, culturale, ha svuotato e svilito il primo, condannando il secondo a una gratuità indigesta: perché i bambini? Perché questa versione-vetrina dell’originale, che ha più il sapore della trovata? Dove conduce e da quali regioni profonde arriva questo turbamento? Nulla, a parte una banale sostituzione di giochi per bambini con giocattoli fashion per adulti, nel perimetro di un lavoro che nasceva con tutt’altre coordinate. Un progetto debole, più che scandaloso.
Galimberti, dal canto suo, ha rilasciato una dichiarazione sui suoi profili social, specificando di non aver avuto nessun coinvolgimento nella scelta dei prodotti o dei bambini da fotografare. In quanto fotografo mi è stato richiesto soltanto di scattare una scena già pronta, secondo il mio stile. Come succede spesso negli shooting commerciali, la direzione della campagna e la scelta degli oggetti da mostrare non erano nelle mie mani”.

Campagna Balenciaga Adidas

Campagna Balenciaga Adidas

BALENCIAGA E ADIDAS. SECONDO EPIC FAIL

A complicare le cose – con una concentrazione di sfortuna e di goffaggine che pare irreale – ci si è messa un’altra contestuale campagna Balenciaga. Stavolta al centro c’era la collaborazione con Adidas, per un’idea di sportwear minimale, futuristico, radicale, eccentricamente rivisitato in chiave luxury-dark: maxi stivali a spillo, sneaker, magliette, felpe, borsette, tute oversize, con le iconiche tre strisce e il trifoglio celebrati da un nero assoluto e da qualche pennellata di rosso e di blu, mentre in passerella si condiva il tutto con maschere di lattice, grandi occhiali da sole fluo e dettagli fetish. L’immagine incriminata mostra una delle borse in collezione poggiata su una scrivania in mezzo a una caterva di fogli. L’impietoso zoom ha però rivelato nientemeno che la copia di un verdetto della Corte Suprema americana in materia di pedo-pornografia, ovvero il caso US vs Williams del 2008. Nuovo scandalo e il “due più due” è subito fatto: il riferimento al sesso e all’infanzia della campagna natalizia non era casuale?
Tolta dalla circolazione anche questa foto e avanzata una giustificazione, con tanto di mea culpa per la propria “negligenza” e “mancanza di controllo”: quel documento non doveva stare lì, nessuno in casa Balenciaga saprebbe dire come ci è arrivato e a chiarire le effettive responsabilità sarà la giustizia, dal momento che il marchio ha sporto querela per danni d’immagine nei confronti della casa di produzione North Six e del set designer Nicholas Des Jardins, i quali non avrebbero dovuto utilizzare documenti reali, tanto meno materiale così scottante, accostato al brand con esiti catastrofici. Danno quantificato per 25 milioni di dollari.

Isabelle Huppert nella campagna Balenciaga Garde Robe, Spring 2023

Isabelle Huppert nella campagna Balenciaga Garde Robe, Spring 2023

IL CASO BALENCIAGA E LE DERIVE COMPLOTTISTE

Conclusione grottesca per la vicenda, stavolta grazie all’infernale macchina dei social network, capace di mettere in moto eserciti di fanatici, burloni, complottisti, fantasisti dei meme, degli screen e delle illazioni. Terza campagna Balenciaga, terza serie di scatti, stavolta per la linea Garde-Robe, pensata per la Cruise Collection che anticipa tradizionalmente le collezioni primavera-estate. Il fotoreporter è Joshua Bright, affiancato dalla videomaker Rosie Marks, e sulla scena – un sobrio ufficio metropolitano – prendono posto modelle d’eccezione, nei loro elegantissimi outfit urban-chic, con comode maxi bag o essenziali clutch: da Nicole Kidman a Isabelle Huppert, da Bella Hadid a Han So Hee, fascinose donne in carriera, distillati di sicurezza, empowerment e rilassatezza. Posture rigide, sguardi severi, tacchi sulla scrivania e pause manicure. Ma la lente d’ingrandimento non perdona. Ed ecco l’utente qualunque che nota una pila di libri su un tavolo e dal dettaglio tesse la sua trama: quel catalogo di Michaël Borremans e quel libro su uno degli episodi del ciclo Cremaster di Matthew Barney non stanno lì per caso. Dopo gli orsacchiotti sadomaso e il documento sulla pedofilia, ecco due artisti che in fatto di messaggi ambigui la saprebbero lunga: uno fra i più straordinari maestri europei della pittura figurativa contemporanea e uno tra i più influenti esponenti della ricerca filmica e performativa (ma loro, i complottisti, non lo sanno). Il belga Borremans, classe 1963, ritrattista sublime, ha dedicato tele meravigliose a volti di adulti e bambini, immersi in un realismo sospeso, metafisico, dilatato; a volte bambini dormienti, forse senza vita, e poi i bambini del ciclo “Fire from the Sun”, creature sinistre come nudi cherubini coperti di sangue e circondati da fiamme, materializzazione delle paure e delle ossessioni del presente.

Michael Borremans, un dipinto dal ciclo Fire from The Sun

Michael Borremans, un dipinto dal ciclo Fire from The Sun


A metterci il carico c’è quell’opera seminale che è
Cremaster, intitolata alle mutazioni dei corpi e ai movimenti magmatici della materia e delle pulsioni umane, con un nome mutuato dall’anatomia maschile (il muscolo cremastere è quello che ricopre i testicoli). Ce n’è abbastanza per eccitare ed allarmare i cospirazionisti di Facebook e di TikTok, assetati di indizi demoniaci e di messaggi occulti. Bazzecole da social, sì, ma un certo scoramento viene. Anche una simile montagna di idiozie, in fondo, ha avuto il suo peso nel violento attacco contro Balenciaga. Colpevole senz’altro di aver sbagliato in pieno una campagna pubblicitaria, ma costretto a togliersi di dosso lo stigma orrendo di chi schiaccia l’occhio alla pornografia minorile. Cosa resterà di questo caos? Poco o nulla, probabilmente, a parte la cifra che qualcuno dovrà sborsare in tribunale. Se il web crea e distrugge alla velocità della luce, con la stessa leggerezza dimentica, confonde, rimuove.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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