Sylvio Giardina, lo stilista che fa dialogare arte e alta moda
Ha presentato la sua collezione haute couture SS23 con un progetto performativo site specific pensato per Palazzo Farnese a Roma. Lui è Sylvio Giardina, stilista che ha trovato nelle sue radici franco-italiane uno spunto per le proprie creazioni
Palazzo Farnese, sede dell’Ambasciata di Francia a Roma, ha ospitato, sabato 28 gennaio, /gal-le-rì-a/: intervento performativo site specific curato da Alessio de’ Navasques e creato dall’artista e stilista Sylvio Giardina per la presentazione della sua collezione haute couture SS23.
Dalla Sala dell’Ercole Farnese si passa alla Galleria di Murano, fino ad arrivare alla Galleria Carracci. Questo grazie a un dialogo tra arte contemporanea e métiers d’art che unisce l’Italia e la Francia, rendendo omaggio ad alcuni saloni emblematici in cui i due Paesi si incontrano. Non potrebbe essere più coerente la scelta del luogo, perché Giardina è nato a Parigi nel 1967, ma le sue origini sono siciliane. Dopo aver completato gli studi presso l’Accademia di Costume e di Moda di Roma, ha fondato il marchio Grimaldi Giardina per poi imbarcarsi, dodici anni dopo, in una nuova avventura con il suo brand omonimo. Tra i pochi stilisti di alta moda rimasti in Italia, Giardina non si dedica solo a ideare vestiti capaci di celebrare la silhouette femminile in chiave sartorial-chic, ma anche alle arti visive, che fungono da principale ispirazione per le sue creazioni. Un artista che sfrutta il Made in Italy per rappresentare al meglio sia l’attento design sia il pregio della manifattura.
INTERVISTA A SYLVIO GIARDINA
Partiamo con il definire la tua interpretazione dell’alta moda, perché non tratti semplicemente vestiti ma piuttosto l’arte del vestire.
Sì, ogni volta racconto sempre come l’abito porti con sé una storia. Non mi riferisco solo alla tradizione sartoriale tramandata, ma anche a quella personale che si interseca con il rituale proprio dell’alta moda. Nel mio lavoro, quando iniziamo una collezione, il ruolo della première è molto importante perché con lei andiamo a fissare i processi, a vedere come realizzare al meglio le intelaiature, a decidere se rendere un tessuto più o meno rigido. In quel momento tutto prende forma. Alla fine, l’abito, oltre a rappresentare chi lo indossa, porta con sé una storia.
Cosa c’è dietro la collezione haute couture SS23 di Sylvio Giardina?
La natura, colta nei suoi cicli di trasformazione.
E poi?
E poi la tradizione, intesa come parte di un contesto evolutivo. Il progetto si trasforma, raccontando così la cultura e il costume. Gli abiti di questa collezione sono come suggestioni: ho iniziato a disegnare su due sketchbook senza pensare a un tema, poi mi sono reso conto di aver evidenziato alcuni aspetti peculiari del moulage, ovvero la costruzione dell’abito attraverso il drappeggio direttamente sul manichino, senza cartamodello.
Una collezione spontanea, quindi.
Esatto, la mia visione è estremamente spontanea. Questi sono abiti iniziati ma incompiuti, come fotografie che immortalano un attimo. In questo senso c’è la connessione con l’elemento naturale, con il movimento, con il concetto di vita. Le acconciature sono composte da ampolle che contengono piccole piante vive e il ricamo sospeso attraverso il grande telaio nella Sala d’Ercole evoca le gocce d’acqua, appena fermate. I grandi telai nella Sala d’Ercole e nella Galleria Carracci, dove lavorano dieci ricamatrici, rimandano all’idea di un processo di lavoro sospeso, colto nell’attimo in cui si compie, ma sono anche l’elemento che racconta i métiers d’art e l’incontro tra l’Italia e la Francia nella cultura dell’alta moda.
Invece qual è il punto d’incontro tra l’aspetto installativo e performativo della presentazione e le tue nuove creazioni?
È nel rito che abbiamo messo in scena. Raccontiamo la nostra storia attraverso il rituale del ricamo che, oltre a essere bello da vedere, è anche uno strumento politico e identitario. Le protagoniste della performance sono dieci giovani ricamatrici dell’Accademia Koefia di Roma, luogo di formazione di talenti nell’ambito dell’artigianalità e dell’alta sartoria. È importante che la tradizione venga tramandata alle nuove generazioni.
LA MODA SECONDO SYLVIO GIARDINA
Parlando di approccio creativo, cosa è cambiato in questi dieci anni dalla fondazione della tua casa di moda?
Tantissime cose. Io ho iniziato in un ufficio stile, perciò lavoravo in team. Nella seconda parte della mia vita ho lavorato con un altro creativo, quindi c’era una mediazione continua tra due visioni. Lavorare da solo per dieci anni mi ha portato a scoprire me stesso. È stato come un processo di metacognizione perché non avevo mai pensato alle mie peculiarità. Ho scoperto quello che ero capace di fare con grande entusiasmo. Ciò che mi stimola è non lavorare mai in una comfort zone, infatti, a costo di rischiare, non scelgo progetti che mi facilitino. Nasce da qui la mia esigenza di ricerca, sia da un punto di vista tecnico che di linguaggi.
E come ti definiresti?
Come un creativo, per questo scelgo spesso attraversamenti nell’arte contemporanea. Anche la moda ha bisogno di nuovi linguaggi.
Giulio Solfrizzi
https://www.sylviogiardina.com
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