Tra passerelle, campagne pubblicitarie e red carpet, l’arte del vestire si apre alle diversità culturali, fisiche e ideologiche, facendo spazio a una commistione sempre più eterogenea. Al passo con i tempi e con le problematiche che affliggono la contemporaneità, il costume ancora una volta si evolve, facendo da specchio della società. Così il velo, oggetto di opinioni contrastanti, al centro del dibattito socio-politico, riesce a collocarsi nell’ambito del vestire ma, più di altri accessori, rimanda a temi come integrazione e femminismo.
LA TRADIZIONE DI COPRIRE IL CAPO
L’associazione più immediata che il capo velato evoca nel nostro contesto storico è quella della donna nel mondo islamico. Andando a ritroso nella storia del costume, la pratica di coprire il capo è ricorrente, in realtà, in numerose culture, il che fa riflettere su quanto sia riduttivo e improprio associare questo indumento unicamente alla religione musulmana. Esistono testi che ne testimoniano l’uso nell’Antica Grecia e nell’Impero Romano, in cui si fa riferimento a stoffe impalpabili per coprire la testa con espressioni quali “ventus textilae” (tessuti di vento) e “nebula linea” (nebbia di lino).
Fin dai tempi dell’antichità pagana il costume di indossare un velo sulla testa era proprio delle donne maritate, relativo dunque allo stato civile e lontano da ogni accezione religiosa. Anche nella Bibbia il velo viene citato in questo senso: nel libro della Genesi, Rebecca si copre il capo quando Isacco la chiede in moglie, segnando così il passaggio dallo stato di nubile a quello di donna sposata. La stessa religione cattolica ancora oggi prevede la pratica di coprire la testa soprattutto come simbolo di cambiamento di status nelle cerimonie di passaggio. Basti pensare al velo da sposa o alla veletta da lutto o ancora ai copricapi indossati da monache e suore una volta presi i voti.
Ogni lettura islamocentrica o islamofobica è insomma piuttosto fuori luogo. Un’interessante lettura in merito è VeLo spiego: Un velo contro i pregiudizi della carismatica Tasnim Ali, conosciuta come “la TikToker col velo” impegnata sul fronte sociale per dare voce a tutte le donne musulmane che subiscono discriminazioni.
LE TIPOLOGIE DI VELO ISLAMICO
Una superficiale abitudine interpretativa del mondo occidentale è quella di considerare il cosiddetto “velo islamico” ‒ che come abbiamo già detto non è solo tale ‒ uno strumento di oppressione nei confronti della donna, tralasciando il valore comunicativo e l’eredità culturale intrinseci nell’oggetto e trascurando l’importanza della facoltà di scelta di chi lo indossa. Le tipologie di copricapo islamico sono molteplici e variano a seconda della collocazione geografica e del contesto culturale: dal più diffuso hijab, drappo che copre collo, capelli e orecchie lasciando in vista il volto, al più integrale burqa, indumento che copre completamente il corpo con una parte traforata ‒ in un tessuto molto leggero ‒ all’altezza degli occhi per consentire la vista. Oltre a questi esistono poi khimar, chador, niqab. Una tale varietà di forma testimonia quanto siano diversificate le sfumature ideologiche e culturali che dipingono il contesto in cui si colloca questo oggetto.
GLI USI DEL COPRICAPO NELLA MODA
Assodato che la storia del capo coperto nella moda è lunga e densa di significati, in tempi più recenti abbiamo visto il mondo del fashion aprire le proprie frontiere e, in certi casi, appropriarsi di codici culturali legati a questi indumenti. A partire da cappelli e berretti, passando per cappucci e foulard, le tendenze su ornamenti e coperture per il capo sono all’ordine del giorno. Basti vedere come il balaclava (in italiano passamontagna) sia stato uno dei trend streetwear più diffusi da ormai due anni. Durante gli Anni Novanta e i primi Duemila, è esploso anche l’uso del durag, stoffa aderente che copre la testa legata con un nodo sul retro, soprattutto nelle sottoculture vicine all’hip hop. Questa sorta di foulard elasticizzato è distintivo della cultura afroamericana in quanto usato dagli schiavi a partire dal XVII secolo. Oggi è ancora indossato dai rapper più celebri come simbolo di appartenenza. Tornando invece all’hijab, le sue declinazioni nel campo della moda sono sempre più diffuse, complice il lavoro di fashion designer come il tunisino Azzedine Alaïa, che fin dagli Anni Ottanta ha proposto fra le sue creazioni abiti con cappuccio incorporato. Giungendo alle ultime collezioni, griffe come Saint Laurent, Versace e Ferragamo hanno presentato in passerella elegantissime versioni di hooded dress per la primavera-estate 2023.
In tempi ancor più recenti, prestigiosi red carpet hanno visto sfilare star con il capo velato, come Jenna Ortega, Alexa Demie e Taylor Russell. Il discorso sul velo agisce da punto d’incontro tra moda e diritti umani, aprendo dibattiti di natura politica e sociologica. Noi di Artribune approfondiremo il tema nella prossima puntata di Fashiontribune, nuovo format in diretta ogni mercoledì alle 20 sul nostro canale Twitch. L’influencer Tasnim Ali, l’attivista e consigliera comunale di Reggio Emilia Marwa Mahmoud e l’autrice e ricercatrice Sumaya Abdel Qader ci affiancheranno nella scoperta di un capo d’abbigliamento ancora non del tutto conosciuto.
Elena Canesso
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