Siamo piccoli e abbiamo bisogno del sostegno della politica e degli ammortizzatori sociali.
Ad affermare quest’urgenza non è, come si potrebbe pensare, il rappresentante di un’impresa attiva nel settore dell’arte o nella gestione di servizi bibliotecari. E non è nemmeno una delle società o delle tantissime cooperative che sviluppano servizi museali. Queste sono le parole di Giovanna Ceolini, presidente di Assocalzaturifici, che rappresenta a livello nazionale le imprese a carattere industriale che operano nel settore della produzione delle calzature.
Parliamo, dunque, di uno dei settori più industrializzati del comparto delle industrie culturali e creative e, più nel dettaglio, di una parte di quel made in Italy che afferisce al settore moda.
Un settore che spesso viene considerato a sé stante, e che invece contribuisce in modo considerevole ai volumi d’affari dell’industria creativa, e che, con le industrie culturali e creative, condivide molte caratteristiche, sia culturali che economiche.
Non si tratta soltanto di affinità professionali. È noto a tutti che l’industria della moda occupi moltissimi lavori creativi, e basta assistere a una sfilata per comprendere quanto siano numerose le intersezioni con le altre industrie culturali (dall’arte contemporanea al comparto audiovisivo, fino alla grafica e alla pubblicità).
La relazione che unisce cultura e moda, tuttavia, non si esaurisce nel semplice concetto di interdipendenza settoriale: è una relazione molto più profonda, che parte dalla condivisione di alcune premesse immateriali (basti pensare a come quella classificazione tra arte e artigianato sia pienamente applicabile anche al settore del fashion), e che si estende fino alla condivisione di target e di obiettivi strategici.
IL POTENZIALE DELLA MODA
Estendendo, solo per un attimo, la prospettiva, i settori della moda, delle industrie più fortemente legate al patrimonio culturale (gestione e valorizzazione dei luoghi della cultura), il comparto audiovisivo, e alcune filiere dell’offerta turistica, concorrono a diffondere quello che qualche anno fa si chiamava brand Italia, condizione che ha delle evidenti ripercussioni sulla parte della nostra economia che si rivolge direttamente al consumatore finale, e che ricopre una fetta importante della produzione nazionale.
In una recente riflessione apparsa su Micro & Macro Marketing, si cita un protocollo d’intesa che l’Ente Nazionale del Turismo e Netflix hanno siglato per rafforzare la produzione audiovisiva in Italia e la promozione turistica. Tale protocollo segue un approfondimento, condotto per conto di Netflix, che mostra come, a livello internazionale, l’essere esposti a contenuti italiani incida in modo significativo sulla volontà di visitare il nostro Paese. I risultati dell’indagine, pur con una certa alea di faziosità (è chiaro che l’interesse di Netflix fosse quello di testimoniare quanto potesse essere utile al turismo), in ogni caso inquadrano un fattore innegabile.
Come detto, però, le affinità tra cultura in senso stretto e moda, e, per estensione, tutto il mondo dell’artigianato di qualità, non si fermano soltanto alle componenti immateriali. Una valida riprova, che consente di mantenere la riflessione su un livello non tecnico, è offerta dalle parole del Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Lucia Albano, che in occasione di un recente convegno ha sottolineato come l’azione di governo debba essere finalizzata a fornire liquidità alle imprese (ricorda qualcosa?), o i differenti report, come ad esempio un documento mediante il quale, qualche anno fa, le principali associazioni di categoria (CNA Federmoda e Confartigianato Moda, solo per citarne alcune) evidenziavano come per lo sviluppo del settore fosse necessario potenziare il ruolo dell’intera filiera, sempre più esposto a una strutturazione del mercato che minacciava i soggetti più piccoli e i loro dipendenti, proponendo, tra le varie strategie attuabili, misure a sostegno della capitalizzazione delle imprese, iniziative volte a incrementare il livello di digitalizzazione, e, ancora, misure che favorissero l’export.
Questi frammenti, che pur non possono disegnare una fedele rappresentazione di un settore così radicato nel nostro Paese, permettono però di evidenziare un’analogia importante che spesso, nel settore culturale, tende a essere ignorata, e vale a dire che il settore della moda condivide, con la cultura, non solo l’aura del made in Italy, ma
“Sarebbe invece importante iniziare a considerare l’insieme delle industrie culturali e creative all’interno di una visione politica sistemica”
ECONOMIA E MODA
Sono elementi noti, senza dubbio, ma su cui non sempre è possibile registrare una vera e profonda consapevolezza. Una profonda consapevolezza che è importante invece maturare, e in fretta, perché i grandi sconvolgimenti degli ultimi anni stanno incidendo in modo massivo sul settore, sia dal punto di vista industriale sia sotto il profilo del fatturato potenziale.
Si pensi, ad esempio, all’insieme di riflessioni relative alla filiera produttiva globale, e all’esigenza di ridurre il tasso di dipendenza da determinati fornitori stranieri che sono emerse nei periodi di blocco delle esportazioni durante il Covid. Oppure si pensi ai dati dell’ultimo rapporto sul settore del fashion redatto da McKinsey, che evidenzia come il settore della moda e dell’abbigliamento possa essere uno tra i più colpiti dagli effetti economici inflattivi: a fronte dell’incremento dei prezzi, e della riduzione delle disponibilità economiche, ci si attende che moda e calzaturiero divengano meno prioritari nelle scelte dei consumatori internazionali. Secondo il report, infatti, questo settore chiuderebbe le priorità dei consumatori, posizionandosi dietro viaggi, elettrodomestici, cura della casa, elettronica, cibo e bevande, prodotti per la cura della persona e giochi e videogame.
Da un lato, quindi, il nostro settore moda, uno dei segmenti più industrializzati del comparto delle industrie culturali e creative, è esposto a delicatezze strutturali; dall’altro, i fattori di scenario indeboliscono la domanda potenziale, con effetti sulla disponibilità da parte delle imprese di poter avviare investimenti di medio termine con cui fronteggiarle.
Ciò che evidentemente urge è una serie di azioni che, sia sotto il profilo della programmazione industriale, sia sotto il profilo formativo, sia, infine, sotto il versante fiscale, mostrano più di un punto di contatto con quelle azioni che diviene sempre più necessario adottare per dare al nostro settore culturale (biblioteche, musei, archivi, gallerie, aree archeologiche) la solidità economica e patrimoniale necessarie per attivare quelle economie in grado di valorizzare il nostro territorio e la nostra occupazione.
Eppure, a fronte di tali comuni necessità, non solo moda e cultura vengono trattate, anche dal nostro settore pubblico, come due entità distinte, ma persino gli interlocutori tendono a essere estremamente differenti: da un lato l’Economia, dall’altro la Cultura. Qualche avvicinamento pare esserci durante questo Governo, ma si tratta, almeno al momento, di vicinanza dichiaratoria, con la cultura che si dichiara interessata al turismo, ma che nei fatti non applica azioni tanto dissimili dalle precedenti.
MODA, CULTURA, POLITICA. LE SOLUZIONI
Sarebbe invece importante iniziare a considerare l’insieme delle industrie culturali e creative all’interno di una visione politica sistemica: comprendere che le similitudini sono tante anche sotto il profilo strutturale, e che le azioni debbano essere condotte secondo una logica di sinergia degli effetti sperati. Iniziare, davvero, una politica industriale per quella parte di cultura che risponde al concetto di industria, e integrare all’interno delle politiche culturali quella parte industriale del nostro Paese che, storcano pure il naso i puristi, assomiglia molto più a un’opera d’arte che a una pala di un elicottero.
Una visione strategica, appunto. Quella che da anni tutti confermano essere necessaria. E che nessuno può però presentare, in quest’Italia di cortili e quartieri.
Stefano Monti
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