Veronica Leoni è la fondatrice di Quira, uno dei brand indipendenti più interessanti del panorama della moda. Romana, classe 1984, un curriculum che vanta esperienze da Jil Sander, Céline con Phoebe Philo e The Row. Questo è un momento d’oro per lei, dopo il posizionamento tra i finalisti di LVMH Prize 2023 insieme a un altro stilista italiano, Luca Magliano.
INTERVISTA A VERONICA LEONI
Com’è entrata la moda nella tua vita?
Come “pratica del fare i vestiti” c’è sempre stata. La mia primissima ossessione è stata una gonna blu a pieghe, avevo tre anni. La definirei una vocazione che ha raggiunto il suo pieno compimento quando, dopo tanta esperienza, ho incontrato Jil Sander. Un colpo di fulmine durante un’estate di circa dieci anni fa. Dopo di lei c’è stato Céline di Phoebe Philo, la direzione creativa della 2 Moncler 1952 e, da quasi due anni, The Row, per cui disegno le linee donna e uomo. Nel mentre, dal 2020, si è aggiunto anche Quira.
Quando è nato Quira?
L’idea di un progetto personale è nata nel 2020. Il tutto ha preso forma in cinque minuti: di fronte alla proposta, ricordo d’aver detto subito sì. Ma sentivo l’urgenza di definirlo, così è nato Quira, che riprende il nome di mia nonna, Quirina, ed è un modo per misurare la distanza che ho percorso fin qui. Mi piace pensare che il progetto non ruoti intorno al mio nome, piuttosto che sia la materializzazione del percorso stesso. Una sorta di romanzo di formazione.
IL BRAND DI VERONICA LEONI
Qual è il DNA del tuo brand?
La formula è essenziale e integralista; il risultato sono collezioni dal carattere ricercato, dalla qualità altissima, in grado di parlare di una femminilità contemporanea. Siamo un ristrettissimo gruppo di veterani dell’industria in grado di filtrare e applicare solo il meglio delle nostre reciproche esperienze. Per me è l’occasione di porre di nuovo il design e la creatività al centro di tutto, e fare ciò che amo di più.
Dove e come vengono realizzati i tuoi capi?
La collezione è interamente Made in Italy, infatti seguo personalmente la ricerca e lo sviluppo. La mia più grande fonte di energia è lo scambio e la stretta relazione con l’atelier e i tecnici che realizzano i capi. Trascorro ore e ore con loro, non smettendo mai di parlare delle idee e delle forme a cui lavoriamo. Credo siano il plusvalore emozionale e l’ossessiva cura per i dettagli, anche i più segreti, a fare la differenza sul prodotto una volta in negozio.
Qual è oggi, secondo te, il valore sociale dell’abito?
L’abito è da sempre una questione profondamente culturale, bandiera e manifesto di ogni messaggio. Possibilmente oggi, in un’epoca in cui l’opinione sui fatti della moda è accessibile a chiunque, diventa più che mai responsabilità dell’industria farsi portavoce di valori che integrino il messaggio di stile. Si tratta di qualcosa di aggiuntivo quanto intangibile, in grado di contaminare il prodotto rendendo la creatività ‒ così come il consumo ‒ un atto culturale. E, perché no, anche politico.
Valeria Oppenheimer
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