Moda, animalismo, sostenibilità: a che punto siamo?

I brand di moda abbandonano le pellicce, ma il cuoio e la pelle rimangono. Come il dubbio se questa sia vera sostenibilità o meno

Dopo anni di attivismo, la pelle animale è diventata sinonimo di sostenibilità per alcuni marchi, scortata dalla dicitura “cruelty free” se non si provoca sofferenza agli animali. In molti ricordano il momento in cui Marina Ripa di Meana si recò alla prima della Scala per bruciare davanti a tutti le sue pellicce o quando si prestò a fare da modella nuda indossando un toupet sulle parti intime, sottolineando come quella fosse “l’unica pelliccia” che non si vergognava di indossare. Correva l’anno 1996 e la fotografia corredava la campagna contro l’uso delle pelli di foca per pellicce, presentata dal Fondo internazionale per il benessere degli animali (IFAW).

I BRAND CHE HANNO ABBANDONATO LE PELLICCE

Giorgio Armani, insignito di recente della laurea honoris causa dall’Università Cattolica di Milano, è stato tra i primi fashion designer a rinunciare all’uso della pelliccia animale, abolendola a partire dalla collezione autunno/inverno 2017. Gucci invece ha espresso la sua opinione sull’uso delle pellicce con le parole dell’AD Marco Bizzarri, il quale, dalla collezione primavera/estate 2018 in poi, ha decretato la pelliccia out of fashion. E dopo di loro anche Michael Kors, Versace, Chanel e molti altri si sono uniti al coro del no fur nelle collezioni.
Eppure alcuni usano ancora la pelle, spesso ricavata da animali che non rientrano necessariamente nella catena alimentare di massa, come rettili, struzzi, coccodrilli e lucertole. Perché i brand di alta gamma hanno legato la propria immagine all’uso di materiali rari sin dall’inizio. In questi casi, la motivazione (o scusa) adottata dai produttori di cuoio e di pelle è che non si rivolgono ad allevatori di animali uccisi espressamente per realizzare capi e accessori di moda, bensì raccolgono i resti di carne bovina indirizzata al consumo alimentare. Peccato che molte associazioni animaliste abbiano più volte sottolineato che non ci sia alcuna differenza, in quanto i produttori di pelle farebbero pressioni, anche indirettamente, sugli allevatori per macellare più animali, i cui scarti finiscono per sovvenzionare l’industria della moda.

Photo Jorgen Hendriksen (via Unsplash)

Photo Jorgen Hendriksen (via Unsplash)

PELLE E MODA: GLI ANIMALI COINVOLTI NELLA PRODUZIONE

Ancora oggi gli animali che contribuiscono alla creazione di capi di abbigliamento e accessori sono tanti. Diamo per scontato che la pelle di mucca venga utilizzata una volta abbattuta la bestia per inserirla nell’industria alimentare, ma ci dimentichiamo che anche altri animali contribuiscono con il loro sacrificio a vestirci o arredare le nostre case: da maiali, pecore, capre, alligatori, struzzi e canguri a cani, gatti, cavalli, agnelli e zebre, senza tralasciare bufali d’acqua, cinghiali, elefanti, alci, delfini, foche, trichechi, rane, tartarughe, coccodrilli, lucertole e serpenti. Tuttora, quando si tratta di lussuose case di moda, i clienti facoltosi possono recarsi negli allevamenti di coccodrilli o alligatori per scegliere l’animale che sarà sacrificato per produrre una borsa. Anche i brand d’abbigliamento sportivo si avvalgono di questo tipo di pellame, ma qualcosa sta cambiando in positivo perché Nike ha annunciato che smetterà di utilizzare la pelle di canguro per le sue calzature. Facendo un passo in avanti, magari utile per smuovere le coscienze.

Photo Rich Carey (via Unsplash)

Photo Rich Carey (via Unsplash)

PELLAMI ETICI E MATERIALI SOSTENIBILI

Per andare incontro al cambiamento della società, molte aziende produttrici di accessori moda si sono orientate verso pellami alternativi che non hanno a che vedere né con la pelle naturale né con la pelle finta (che qualcuno erroneamente chiama ecopelle): entrambe queste tipologie sono estremamente inquinanti, anche se la seconda è più gentile verso gli animali. E allora quali sono i materiali che possono unire etica e sostenibilità? Innanzitutto i materiali riciclati, perché in questo caso la pelle può realmente entrare in un circuito di circolarità ed etica. Poi esiste la pelle riciclata sotto forma di second hand, vintage o upcycle. A proposito di riciclo, questa pratica è applicabile al poliestere, come fa Stella McCartney. E sono tanti i materiali che nascono come scarti di altre materie: Pinatex, Vegea, Apple Skin e Orange Fiber possono essere adottati per la realizzazione di prodotti moda e accessori. Forse vent’anni fa non avremmo mai immaginato di indossare materiali alternativi o addirittura la plastica, eppure alcuni brand hanno trasformato questo materiale di recupero in qualcosa di nobile. Anzi, “estremamente cool”, come dicono quelli bravi. 

Viviana Musumeci

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Viviana Musumeci

Viviana Musumeci

Viviana Musumeci è una giornalista, una docente e un'insegnante di mindfulness. Coordina la redazione di Cocooners, sito dedicato al mondo dei perennials, ha fondato il lifestyle blog dedicato alla sostenibilità Gaiazoe.life e collabora con selezionati magazine scrivendo di lifestyle e…

Scopri di più