È giunta al termine, martedì 20 giugno, la Milano Fashion Week Uomo in cui brand affermati e emergenti hanno presentato le collezioni Primavera/Estate 2024. Quest’anno, però, l’evento organizzato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana ha visto un calendario meno ricco a causa di Fendi che ha scelto di sfilare al Pitti Uomo 104 e perché in Maison Gucci stanno aspettando l’arrivo del nuovo direttore creativo, Sabato de Sarno. Ma anche Versace non era in calendario. Così la settimana della moda ha dovuto fare a meno di alcuni nomi in favore di altri, riuscendo ugualmente nell’intento principale: attirare l’attenzione degli addetti ai lavori con capi d’effetto.
L’ANDROGINIA DI VALENTINO E DOLCE&GABBANA
Se l’esito è piuttosto chiaro, l’uomo che verrà nella Primavera/Estate 2024 lo è decisamente meno, data l’incertezza che alberga nelle estetiche contrastanti viste in passerella. Ad aprire la kermesse, è stato il minimalismo formale di Valentino, dopo tre anni dal suo ultimo fashion show nel capoluogo lombardo. Tra gonne a portafoglio con spacco frontale, bermuda a metà coscia, camicie bianche con cravatta en pendant e classici blazer, la figura maschile rappresentata da Pierpaolo Piccioli riparte dai capi essenziali dell’armadio per dialogare con ciò che significa essere uomini oggi. Quindi avere il coraggio di raccontarsi a modo proprio (non a caso la collezione si intitola The Narratives) come il libro “A little life” di Hanya Yanagihara, presente sugli abiti sotto forma di frasi stampate. Sulla stessa mascolinità decostruita e ripensata punta anche Dolce&Gabbana, creando una nuova figura legata alle trasparenze e alla sovrapposizione di tessuti leggeri. Qui il confine tra il costume femminile e maschile diventa ancora più sottile, senza menzionare fluidità o altre definizioni che possano rendere fasulla l’operazione di umanizzazione dell’uomo intrapresa dai fashion designer Stefano e Domenico.
LA SEMPLICITÀ DI NEIL BARRETT E FEDERICO CINA
Anche da Neil Barrett la semplicità prevale, e viene ridotta all’essenziale. Gli unici azzardi sono colori vivaci come il giallo limone e fantasie floreali sovrapposte a righe abbozzate. Il resto della collezione è un insieme di linee dritte, essentials dell’armadio di ciascuno di noi. Elementi che ribadiscono agli insider del settore la partenza di Barrett, le sue origini per ritrovarsi e, forse, evolvere in altro ancora per la prossima stagione, approfittando del ritorno del minimalismo e del bisogno di capi intercambiabili. Pure Federico Cina parte dall’essenzialità, tant’è che ha fatto sfilare alcune donne con seno in vista e un uomo con una coperta ripiegata su stessa come unica protezione. Ma lo stilista romagnolo non si è fermato alla struttura scarna degli indumenti, bensì ha preso gusto nel cucire di sbieco le camicie o nell’assemblare dal verso sbagliato gli abiti. E ancora: ha osato con frange in maglia, tessuti effetto accartocciato e bermuda cortissimi. Moderando tinte, trame e cuciture, ed onorando il ricordo dell’atmosfera torrida e arida dell’estate romagnola quanto dei campi arati, della semina e della raccolta, aiutato dall’art e show direction di Gabriele Rosati.
LE MEZZE MISURE DI PRADA
Tra il primo e il secondo macro gruppo, quindi tra l’androginia modaiola e la semplicità degli abiti, si posiziona in prima linea Prada. Che conosce benissimo – e lo dimostra anche – come siano fatti i vestiti, indistintamente da quali essi siano. Eppure Miuccia Prada e Raf Simons, (al suo fianco ormai da anni) hanno scelto questa volta più che mai di prendersi beffa della borghesia, quella italiana, enfatizzando i giro vita, denudando le gambe, osando con tinte come il lilla e attingendo all’abbigliamento tecnico. In questo modo l’uomo Prada viene alleggerito dai completi formali e dalla cravatta in favore di una libertà attualissima e necessaria. Che può passare da bluse decorate con fiori astratti, borse extra-large, dettagli in pelo e boxer intravisti. Alcuni hanno addirittura colto un riferimento al gilet da lavoro rosso scarlatto indossato dall’artista Joseph Beuys.
LA CLASSE OPERAIO-DIRIGENTE DI MAGLIANO
Una categoria a sé stante è occupata da Magliano, il brand vincitore dell’importante premio del fashion system LVMH Prize 2023. Qui si parla di abiti pragmatici che fungono da punto d’incontro tra classe operaia e classe dirigente. Oggi più che mai, in cui il confine tra le due sembra netto. Bomber, pantaloni, tute da lavoro e giacche anti vento diventano radicali per le scelte cromatiche e si frammentano in couture povera. La tecnicità del capo permane, affiancata da preghiere, epigrafi e ringraziamenti per chi c’è e ci sarà, tutto riportato sui capi. E infatti la felicità non è contemplata nella collezione Primavera/Estate 2024 dello stilista bolognese, che riflette una società ben lontana dalla perfetta contentezza delle anime del Paradiso.
IL SESSO DI DSQUARED2, LA SENSUALITÀ DI JORDANLUCA E IL PUNK DI SIMON CRACKER
Ai marchi più composti si oppongono i più sfacciati: Dsquared2 reinterpreta pezzi d’archivio risalenti ai primi anni Duemila e mescola lo stile preppy di John Fitzgerald Kennedy Jr. alle nudità tipiche di Rocco Siffredi, presente in passerella per mimare la registrazione di un video porno. A questo punto è palese il riferimento al sesso e al corpo scoperto nei jockstrap in vista, nelle vite bassissime, nella lingerie a mo’ di abito e nelle gonne iper-mini. Sesso però è diverso da sensualità, e la mancanza di questa alla MFW viene colmata dal marchio emergente Jordanluca. Gli elastici dell’intimo in vista sono stati ridotti in favore di cerniere orizzontali sul ventre, tessuti audaci che lasciano intravedere le fattezze del corpo. Se si parla di ribellione rispetto ai canoni, è doveroso menzionare Simon Cracker, figlio di un’estetica punk tipica della Londra di Vivienne Westwood. Di abiti ironici, colorati non se ne vedono più nel capoluogo lombardo, per giunta rispettosi nei confronti dell’ambiente grazie a tecniche come l’upcycling e il patchwork.
LA PERSONALITÀ DI CHARLES JEFFREY LOVERBOY, JW ANDERSON ED ETRO
Ma di giochi e di colori si parla anche da Charles Jeffrey Loverboy, dove le trame floreali possono incontrare quelle a quadri e gli abiti vengono arricchiti da morbide armature. Il punto di riferimento sembra essere l’estetica tipica dei videogiochi, con bizzarrie e aspetti inspiegabili annessi. Milano non è abituata a fare moda per puro divertimento, ma pian piano lo comprenderà. Come sta facendo con Jw Anderson, abile nel camuffare le astrazioni proprie di un artista surrealista attraverso tinte unite, righe o pois. In questo caso la struttura dell’abito rimane centrale, seppur a volte trasformata in qualcosa di impensabile ed informe. Rendendo l’inspiegabile il proprio tratto distintivo. Allo stesso modo la personalità del creativo, perché di questo si parla, è tangibile nella collezione del nuovo Etro di Marco de Vincenzo, dove lo stilista sta cercando di comprendere dove indirizzare un marchio dal passato importante. E il metodo migliore è metterci del proprio, con la speranza di raggiungere un equilibrio durante le prossime stagioni. In questa, fortunatamente, una soluzione comune è stata trovata grazie a trame vistose, tipiche di Etro, e design chiari.
L’UOMO CHE VERRÀ NELLA MODA DEL FUTURO
Alla fine della giostra, l’uomo che verrà nella Primavera/Estate 2024 – in termini di vestiti – non sarà solo uno, semmai molteplici. La narrazione unilaterale della figura maschile è stata oltrepassata, e non c’è da meravigliarsi se le tendenze totalizzanti, come accadeva dieci anni fa, non esistano più. Ora convivono uomini coraggiosi, altri seri ed altri ancora che ironizzano su loro stessi. Poi uomini realistici oppure sognatori. Ognuno di loro può ritrovarsi nel vestiario, che diventa il primo mezzo per comunicare senza l’ausilio delle parole. E forse è proprio questa l’inclusione nel settore moda.
Giulio Solfrizzi
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