L’alta moda è la rappresentazione più tradizionalista quanto favolistica di una società che esiste ormai in poche case reali, sui red carpet e in qualche dimora di famiglie altolocate o ricche da potersi permettere abiti da cinque zeri. Poi il caso ha voluto che la settimana dell’Haute Couture Autunno Inverno 2024 si contrapponesse alle rivolte della comunità afrodiscendente scoppiate in Francia e causate dall’uccisione del diciassettenne Nahel M. per mano di un poliziotto nella periferia ovest di Parigi. Questo ha allargato la crepa tra passerelle e strade, anche se fermare tutto non sarebbe stato logico tantomeno fattibile per un sistema che lavora e vive in funzione di quei pochi giorni in cui si presentano i vestiti di un’intera stagione.
Haute Couture a Parigi. L’arte di Schiaparelli
Ad aprire una stagione surreale, è stato l’altrettanto surreale Schiaparelli con la rilettura di un vasto patrimonio artistico da parte del direttore creativo Daniel Roseberry. Spaziando dal riferimento allo studio londinese di Lucien Freud fino alla Femme de Venisse II di Alberto Giacometti, al blu di Yves Klein e alla Venere di Milo. Se i rimandi sono chiari, e non si limitano a quelli sopracitati, il ritratto della donna da salotto o cena di gala un po’ meno. Il risultato è stato un caotico atelier di più artisti, in un tripudio di colori, forme, decori, volumi e tagli. Che ritornano, meno colorati, negli abiti tridimensionali di Iris van Herpen e nelle maschere totem, nei cappelli-scultura che raffigurano pennuti imponenti di Charles de Vilmorin. “Penso di essere più interessato a creare un’emozione che a piacere alle persone”, afferma il giovane stilista dopo aver messo in scena una “battaglia tra il cavallo e il cigno, lo slancio e la paura” nella sua prima sfilata a cui ammette di aver dato tutto il suo essere. Dimostrando che si possa sempre ripartire dalla creatività, anche dopo l’esperienza gravosa e tortuosa negli uffici stile di Rochas.
Haute Couture a Parigi. Le semplici dee greche di Dior
Se c’è chi unisce l’abito all’opera d’arte, c’è anche chi si ferma ad una determinata forma di minimalismo rendendo il prodotto artistico la cornice della collezione. E questo è il caso della sfilata di Dior, che ha visto le dee greche di Maria Grazia Chiuri susseguirsi di fianco all’installazione disegnata da Marta Roberti e realizzata da Chanakya International. La semplicità propria dei drappeggi, dei pepli e dei tessuti che si sovrappongono dovrebbero essere alla base dell’alta moda proposta dalla maison francese, ma la natura rappresentata sulle pareti ha distolto da una collezione che avrebbe dovuto rappresentare in chiave inedita, dunque non simile al prêt-à-porter, forti personalità femminili come Afrodite e Demetra. Il problema però non sta nella semplicità perché Pierpaolo Piccioli, da Valentino, è andato alla ricerca dell’essenza, quella vera, della Haute Couture, abolendo fronzoli inutili e mantenendo solo quelli necessari.
Haute Couture a Parigi. La tradizione di Chanel e Balenciaga
Da Chanel invece si punta sul tradizionalismo ovviando la necessaria evoluzione in qualcosa di nuovo. Attenzione, non distante dalle proprie origini bensì rispettosa del passato quanto del futuro, perché l’abito va di pari passo ai cambiamenti sociali. Spazio quindi a scarpe Mary Jane, calze velate, tweed, completi giacca gonna e cappotti fascianti. Pure Balenciaga si rifà alla tradizione, o almeno sembra farlo. Il direttore creativo Demna in realtà la sta svuotando di tutti quei costrutti polverosi per poi riempirla con una contemporaneità che si rifà al costume, alla storia. Come? Affiancando abiti che ricordano i couturier d’altri tempi a calzature dalle dimensioni extra, occhiali da sole e jeans, accompagnando i modelli con un brano di Maria Callas privo di musica (originariamente presente) e chiudendo la sfilata con un abito da sposa simile alle armature medievali di Giovanna d’Arco, quindi tutto fuorché un vestito tradizionale.
L’Intrattenimento di Thom Browne e Viktor & Rolf a Parigi
Non esistono solo addizione, sottrazione e operazioni impossibili nella moda, ma anche collezioni che uniscono intrattenimento e vestiario. Vedi il debutto di Thom Browne durante la settimana della Couture, tra spettatori in uniforme, valigie, controllori, personaggi con cappelli che ricordano i volatili e tacchi con campanella incorporata, un fondale fatto di sagome e altrettanti colombi, e un treno impersonificato da un abito bianco velato con tre metri di strascico, su cui spalline, cravatta e colletto sono costruiti con strati di tulle e organza per la massima traslucenza. Poi tutto svanisce nel grigiore, come se fosse un’illusione. E di un intrattenimento simile, teatrale ma più legato ai vestiti, se ne parla da Viktor & Rolf tra fiocchi e manichini che si avvinghiano alle modelle, nascondendo semplici tutine sgambate che rendono comune l’alta moda. Da loro gli abiti superano il tessuto e le cuciture in favore di uno spettacolo fatto di elementi che non hanno nulla a che vedere con la moda. Rischiando però di non creare più vestiti, piuttosto di fare teatro.
L’alta moda è distante o vicina alla realtà?
Effettivamente la Haute Couture può sembrare distante dalla realtà, e un po’ lo è, ma ha cercato di adattarsi a un mondo che è cambiato. Lo si comprende dal denim visto in passerella fino alla nudità. Preservando il suo vero e unico obiettivo: far sognare lo spettatore anche quando a Marsiglia o nella stessa Parigi ci sono delle rivolte per una vita distrutta.
Giulio Solfrizzi
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