L’estetica boudoir dal Settecento ad oggi. Evoluzioni e significati nella moda
Tra le tendenze più recenti, c’è il cosiddetto Boudoircore. Perché la lingerie ha (ri)conquistato la moda. Dal Marchese de Sade a Jean Paul Gaultier, passando per Caterina de’ Medici e Vivienne Westwood
Le calze si portano con le autoreggenti, gli slip dress alla Courtney Love tornano a essere il must have delle star, i corsetti sono una chicca di styling, le culotte diventano i nuovi shorts e i reggiseni i nuovi top: uscire di casa in lingerie non è mai stato così sensuale ma soprattutto liberatorio. Se pensiamo che a inizio Novecento le classiche magliette erano un capo di biancheria intima, probabilmente stiamo assistendo a una nuova ridefinizione di ciò che è outwear e underwear tramite il Boudoircore. Oggi sinonimo di romanticherie e libera affermazione identitaria.
L’evoluzione dell’estetica boudoir
Per comprendere i significati associati a questa tendenza, partiamo dalla Francia del XVIII secolo, quando per boudoir s’intendeva un’elegante saletta adiacente alla camera da letto delle signore aristocratiche. Una sorta di luogo privato in cui intrattenersi in conversazioni libere da moralismi. Il mistero che avvolge questa stanza non tarda a suscitare gossip piccanti che si diffondono tra le corti, complici anche riviste e romanzi, mutando la sua reputazione agli occhi dell’opinione pubblica: i raffinati dibattiti e la toeletta lasciano spazio a fantasie sessuali e pratiche edonistiche. Da qui, appunto, boudoir diventa sinonimo di erotismo, libertinaggio e anticamera del potere femminile. Emblematico in questo senso è il libro La filosofia nel boudoir del Marchese de Sade pubblicato nel 1795. Un’opera in cui la pornografia letteraria sadiana si fa dramma politico-sociale, esponendo su uno sfondo sessuale le sue posizioni contro l’Ancien Régime. A plasmare visivamente questo immaginario di “lusso, calma e voluttà”, come direbbe l’esperto Charles Baudelaire, interviene la fotografia. A metà dell’Ottocento iniziano a circolare i primi dagherrotipi, si diffondono i primi ritratti e le prime fotografie in intimo per celebrare il proprio corpo e la propria sensualità. Si tratta di immagini estremamente romantiche e intrise di dolcezza, scattate ad uso strettamente personale, o come intimo dono agli amati. Le fanciulle appaiono vestite in graziose sottovesti, corsetti, guêpières fascianti e seducenti giarrettiere: oggetti ancora oggi portatori di una forte carica erotica, sconfinati poi anche negli universi feticisti e BDSM. Proprio per questo è chiaro come il linguaggio di questi capi sia spesso associato anche all’atmosfera lussuriosa delle case chiuse. Tra la miriade di esempi celebri troviamo le mise documentate all’interno de LeChabanais, sontuoso bordello parigino venerato dagli artisti di fine Ottocento, o quelle rappresentate sul grande schermo da Lina Wertmüller in Film d’amore e d’anarchia – ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” (1973).
Boudoircore: il corsetto e la sua storia
Dunque, le costellazioni della lingerie tracciano le coordinate per orientarsi nell’estetica boudoir, definendone lo stile. Tra i capi più controversi in questa categoria troviamo il corsetto. Introdotto prepotentemente nelle mode europee da Caterina de’ Medici alla corte di Francia nel XVI secolo, e sinonimo di estreme torture fisiche nell’età vittoriana inglese, questo serviva a sollevare il seno e assottigliare la vita, per rendere il corpo più “armonioso” secondo il costume dell’epoca. Tutti i disagi provocati da questa vera e propria gabbia – malformazioni ossee, difficoltà respiratorie e digestive, svenimenti – passavano in secondo piano rispetto all’apparenza, e per questo fu considerato spesso metafora della condizione femminile. Nel 1905 il primo a dichiarargli guerra è lo stilista Paul Poiret, proponendo l’abito chemisier, seguito poi da Madeleine Vionnet e Coco Chanel, che liberano le donne da questa costrizione in nome della naturale dinamicità.
La risemantizzazione del corsetto
Ma non finisce qui: sul finire degli Anni Ottanta del secolo scorso ci pensa Vivienne Westwood a stravolgerne i connotati. E chi se non lei. Infatti, a partire dalla collezione Harris Tweed del 1987, Dame Viv spoglia il corsetto da quel carattere oppressivo, a suon di lycra e zip, rendendolo simbolo di liberazione e sicurezza, nonché suo marchio di fabbrica. Oggi riscoperto anche grazie allo slancio della GenZ per la ricerca d’archivio. Già dalla seconda metà dell’Ottocento appaiono i primi timidi prototipi di reggiseni, fino ad approdare al 1912 con l’invenzione ufficiale di Caresse Crosby e il suo brevetto due anni dopo. Anche per questo capo i codici evolvono: dapprima simbolo di libertà dalla tirannia del corsetto, poi messo al rogo in nome della lotta al patriarcato sul finire degli Anni Sessanta del secolo scorso. Vent’anni dopo, Jean Paul Gaultier propone l’iconico cone bra, presentato nella collezione autunno-inverno 1984, rivestendolo di un nuovo empowerment, indissolubilmente legato a Madonna e il suo Blonde Ambition tour. Fino alla generale tendenza odierna di levarlo sotto ai vestiti, ed esaltarlo se in superficie.
L’estetica boudoir nella moda contemporanea
Quella boudoir è un’estetica tanto affascinante quanto audace, oggi sicuramente in dialogo con una percezione molto personale e, soprattutto, libera del proprio corpo. Come accennato, l’immaginario legato al boudoir ha da sempre ispirato stilisti e creatori, lessicalizzandone la propria visione. E proclamando ufficialmente l’attuale ribaltamento under-outwear sulle passerelle delle grandi maison così come nelle collezioni dei giovani brand. In prima linea troviamo Dolce&Gabbana, che ne fa il punto di partenza per l’intera collezione primavera-estate 2023. L’atmosfera noir sulla passerella di Versace è animata da super-sexy autoreggenti e babydoll, mentre da Acne Studios si opta per un’interpretazione coquette letteralmente “coi fiocchi”, protagonisti quelli copri-capezzoli. Spostando i riflettori sugli emergenti del bel paese citiamo, tra gli altri, le sottovesti velate di Alfredo Cortese per AC9, il boudoir decostruito di Lessico Familiare e i delicati pizzi di Christian Boaro. Nell’“eterno ritorno” della moda è chiaro il rinnovato desiderio di mostrarsi di nuovo e di più, non curanti di qualsiasi tabù e superamento del profondo impatto della pandemia. Infatti, il cambio di paradigma a cui stiamo assistendo in questi anni, responsabile anche il revival Y2K (acronimo di Year 2 Kilo) in chiave kitsch, riguarda proprio la destinazione dei capi legati al boudoir, non più celati nella sfera intima e non solo glorificati da rare personalità di spicco, ma massivamente, come provato dalla Lyst Inditex (Google della moda). Così la lingerie rivendica il suo spazio oltre le mura di casa, oltre gli strati di vestiti, per emergere in superficie in qualità di protagonista. Certo, riletta in chiave contemporanea, ma portando con sé il sapore rétro di quei primi romantici scatti.
Aurora Mandelli
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