Il fenomeno MSCHF, quelli della borsa Vuitton più piccola del mondo

È la borsa l’oggetto del desiderio più acquistato e rielaborato. E un collettivo di New York ne ha fatto una versione piccolissima. Possibile da guardare solo al microscopio…

Si chiama MSCHF il collettivo di Brooklyn che potrebbe diventare la new big thing del fashion Made in Usa. Difficile comprendere appieno il senso di quello che sta facendo ora, ma questa è la definizione con cui si presenta: “MSCHF è un collettivo artistico che coinvolge arte, moda, tecnologia e capitalismo. Il collettivo sovverte la cultura popolare e le operazioni aziendali utilizzandole come strumenti di critica e intervento. MSCHF ambisce ad utilizzare il lavoro creativo per esercitare un potere tangibile (nella cultura; sulla scena mondiale; come contro misura rispetto al potere culturale detenuto da aziende, celebrità ed entità multimediali)”.

La piccolissima tote bag di Louis Vuitton 

Tra le “operazioni” più complesse messe in atto dal collettivo c’è la riproduzione (senza permesso) delle tote bag OnTheGo di Louis Vuitton. Caratteristica principale la grandezza: 657 x 222 x 700 micrometri, più piccola di un granello di sale. Solo al microscopio la borsa verde fluorescente rende visibili i suoi manici traslucidi e il monogramma LV. Con questo prodotto MSCHF porta alle estreme conseguenze l’attuale tendenza alla miniaturizzazione che elimina in una borsa qualsiasi precedente utilità, per concederle esclusivamente la funzione di portatore del marchio. È quello che accade ad esempio con la mini Cleo di Prada e la Jodie in formato “caramella” di Bottega Veneta, ma anche con le micro borse Chiquito di Jacquemus. Nella fascia del lusso il dopo Covid-19 ha fatto della borsa il “capo” più redditizio in assoluto. Basta guardare che cosa espongono in ogni città del mondo i grandi marchi: ovunque in vetrina è proprio la borsa ad essere protagonista. Con questa operazione MSCHF ha puntato l’attenzione proprio lì. Tra i fondatori del collettivo c’è Kevin Wiesner double degree in Industrial design e ingegneria alla Brown University: la borsa “invisibile” è stata realizzata in resina attraverso un processo chiamato polimerizzazione a due fotoni, una sorta di stampa 3D per oggetti microscopici. Il colore brillante e la traslucenza hanno lo scopo di renderla più visibile quando è illuminata dal basso su un vetrino da microscopio. La borsa è stata difatti venduta all’asta lo scorso giugno pre-montata sotto un microscopio con display digitale: un ignoto l’ha acquistata per 63.000 dollari presso la Casa d’aste Joopiter che appartiene a Pharrell Williams, di recente nominato main designer per Louis Vuitton uomo.

Red big boot. Courtersy MSCHF
Red big boot. Courtersy MSCHF

La borsa Birkinstock e le sneakers sataniche

Detto così il sospetto che si tratti di una operazione di marketing per ottenere ulteriore visibilità da parte del marchio di proprietà di LVMH appare legittimo. Ma che dire delle “Birkinstock”?  Il nome e la forma ricordano il più classico sandalo Arizona di Birkenstock ma ricavato da scarti della borsa per eccellenza (la Birkin di Hermès) poi riassemblati: vendita su prenotazione dai 35 ai 76.000 euro. Birkenstock ed Hermes non hanno reagito. Ma guai legali MSCHF ne aveva già avuti in precedenza con Nike a causa della messa on line di 666 paia di Nike alterate rinominate Satan Shoesin occasione dell’uscita di un video musicale a tema diabolico per la canzone “Montero (Call Me by Your Name)” del rapper Lil Ns X.  Per rendere“satanica” la Nike Air Max 97 una goccia di sangue estratto dal corpo degli stessi componenti del collettivo mescolata con inchiostro è stata utilizzata per riempire una bolla d’aria visibile sul profilo della sneaker,  il tutto accompagnato  da un ciondolo con la scritta Luca 10.18 (“Ho visto Satana cadere come un fulmine dal cielo”) . In precedenza, già era arrivata la Nike Air Max 97 MSCHF x INRI Jesus Shoes provvista di acqua del Giordano e crocifisso in ottone: nel 2019 messa in vendita a 1500 dollari attualmente raggiunge sul web i 4.000. 

Il collettivo MSCHF al lavoro sull'opera di Damien Hirst. Courtesy MSCHF
Il collettivo MSCHF al lavoro sull’opera di Damien Hirst. Courtesy MSCHF

MSCHF e l’arte contemporanea

Il collezionismo per quel che riguarda le sneaker non ha mai smesso di crescere. Ma per MSCHF le incursioni non si sono limitate alla moda. Nel 2020 il collettivo ha acquistato per 30.000 dollari una xilografia su carta di L-Isoleucine T-Butyl Ester, uno dei celebri Spot Paintings di Damien Hirst. Dal foglio sono stati ritagliati gli 88 “punti” colorati che la componevano, venduti successivamente in pochi minuti per 480 dollari l’uno sul web.  Totale delle entrate oltre 300mila dollari: 10 volte il valore dell’originale.  Esattamente come accade per le sneaker gli stessi “punti” sono rapidamente tornati in vendita su eBay per prezzi variabili fra i 1000 e i 3500 dollari. Successivamente MSCHF ha venduto in un’asta online la carta piena di buchi sulla quale rimaneva esclusivamente la firma di Hirst: 261.400 dollari, oltre otto volte e mezzo il valore dell’originale.

Le sneakers di MSCHF

Recentissimo per MSCHF è stato invece il passaggio dal progetto per un singolo pezzo alla collezione ora in vendita col nome di MSCHF Sneakers. Prezzo accessibile (220 dollari) per il modello, TAP3, che ricorda la Nike Air Force 1, ma decorato con tagli di nastro da imballaggio in poliuretano termoplastico sovrastampato e poi fuso in modo permanente al corpo della scarpa. Si tratta con ogni probabilità di una ricaduta “capitalista” del lavoro svolto in precedenza. Certo la visibilità più eclatante è arrivata con un prodotto immediatamente definito da molti) come “assurdo” e “stupido”: che però altrettanto immediatamente ha affascinato gli utenti di Twitter e TikTok (20 milioni di visualizzazioni su quest’ultimo) che lo hanno paragonato alle calzature del manga Astro Boy. Si tratta di stivali gonfi dalla punta alla caviglia, che salgono poi dritti fino a metà polpaccio: assomigliano più all’idea di una scarpa che alla scarpa stessa. Uno scherzo? Al “capitalismo” gli scherzi vanno benissimo, purché rendano. E così a giugno è arrivata la versione gialla dei Big red boot, studiata apposta per Crocs con Paris Hilton a fare da testimonial. 

Aldo Premoli

Scopri il libro sulla moda newyorkese

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

Scopri di più