Dopo due settimane della moda piuttosto sottotono, come dimostra lo scarso interesse per New York e Londra, la Milano Fashion Week è partita in vantaggio in occasione delle collezioni Primavera Estate 2024. Questo lo dicono anche i numeri: entro la fine dell’anno, il fatturato del settore arriverà a €103,5 miliardi in Italia, con un aumento del 5,3% rispetto al precedente. Se però economicamente sembra ci sia una certa stabilità, da un punto di vista estetico si formano diversi schieramenti, già presenti durante le scorse stagioni.
La sensualità di N°21 e Marco Rambaldi
La sensualità, ad esempio, è tra i macro temi di cui la moda italiana non può fare a meno. N°21 da tempo gioca con elementi intimi come la biancheria per svelare una donna casta ma audace nel denudarsi a piccole dosi. La stratificazione e la carnalità diventano così il tema portante della collezione Primavera Estate 2024 dello stilista Alessandro Dell’Acqua, dedicata a una Napoli sdoppiata: “ho messo insieme l’animo aristocratico e quello popolano, la cultura e la carnalità, la finta moralità e la sfacciata sensualità naturale. Con un pensiero al Cristo Velato del Sammartino e un altro a San Lorenzo”. Ne sono la conferma gli abiti in paillette che svelano micro top, abiti da notte con fronzoli che mostrano il corpo nudo, i body sbottonati da cui esce il reggiseno, le gonne lunghe fino al ginocchio che nascondono spacchi vertiginosi fino al fondoschiena, e il tripudio di guanti e velette. Di sensualità parla pure Marco Rambaldi, inquadrando una generazione che non guarda a Monica Vitti, piuttosto ai club dal respiro internazionale. La sua è una “malafemmina” che qualcuno direbbe sfidi i passanti, mentre è semplicemente libera di “partire da ciò che è stato per arrivare a ciò che sarà”, quindi al crochet senza nulla sotto, alle calzamaglie trasformate poi in abiti e guanti, e ai contrasti tra ingenuità e peccato.
L’erotismo di Dolce&Gabbana
C’è però una differenza tra sensualità ed erotismo, perché il secondo supera la mente e il corpo rappresentando l’insieme delle varie manifestazioni del desiderio sessuale. È qualcosa di teorico quanto pratico, che può trasformarsi in una collezione come la Primavera Estate 2024 di Dolce&Gabbana. Gli stilisti Stefano e Domenico, infatti, non temono di rappresentare ciò che si è sempre cercato di demolire. Così hanno liberato calze e giarrettiere, reggiseni e slip, su cui venivano applicati colletti, pizzi e merletti, dal pregiudizio. In questo modo il corpo nudo preserva ed esalta l’erotismo, servendosi pure di tacchi a spillo senza abiti che li “giustifichino”, pellicce prive di altre vesti che facciano da scudo alla pelle e completi che di maschile non hanno più nulla. Ecco allora come si tiene lontana la volgarità dall’eros.
La ribellione secondo Act N°1 e Msgm
Tra intimo e nudo, si intrufolano i ribelli che palesemente combattono contro qualcosa. Se Prada lo fa contro una borghesia finta perbenista, oggi contaminata dalla realtà in cui le trasgressioni (non più tali) vengono meno ripudiate, Act N°1 si rivolge a un intero sistema che ha causato la crisi climatica e fa poco per quella economica, come dimostrano gli spezzoni di telegiornale fatti risuonare quando giungevano gli invitati. Poi è arrivato il momento dei vestiti, che dicono basta alle strutture e alle sovrastrutture abbinando tute e felpe a blazer e sneakers, perché tra i tanti gilet sono proprio le classi a voler essere abolite dallo stilista Luca Lin. Ma nella lotta verso un mondo allo sbaraglio, c’è spazio per la speranza in una società più sana dove gli abiti da sera diventano una mastodontica (sul serio) celebrazione della natura e dei fiori. Poi c’è la ribellione di Msgm contro tutto ciò che sia prestabilito, quindi in favore del “rischio e del sentimento della vertigine”. Allora spazio a disegni, gonnelline pompose, colori pastello, quadretti, gonne portafoglio, blazer e calzettoni sotto ai sandali, il cui messaggio implicito è di non voler crescere fino in fondo, perché quello sì che sarebbe prevedibile.
La nostalgia nella moda
A chi guarda al futuro, si contrappone chi guarda al passato. Antonio Marras con la sua ode a una Hollywood perduta di cui Marisa Berenson si fa portavoce in una recita drammatica; Fendi attraverso una Roma aristocratica che sta tutta nei guanti sovrapposti a borsette e abiti fascianti; Tom Ford rileggendo una decade, quella dei Novanta, e una sexiness ormai andate con tutto il loro motivo di essere; Moschino con quattro stylist, in attesa di un nuovo direttore creativo, che avrebbero dovuto ripescare dagli archivi dell’irriverente Franco; Versace attingendo al Gianni dei 90s. In quest’ottica gli abiti sbuffanti e le cravatte schiacciate tra camicie e maglioncini di Marras, le toghe drappeggiate di Kim Jones, i completi slip fit di Peter Hawkings, le frasi simboliche dell’originale signor Moschino e gli abitini falsamente morigerati di Donatella fanno sorgere una domanda spontanea: la moda ha bisogno di ritornare sui propri passi per andare avanti? Forse la risposta è in queste collezioni.
L’addio di Walter Chiapponi
Tra i rivoltosi e i nostalgici, ecco spuntare l’ultima collezione di Walter Chiapponi da Tod’s: perché non unire questi due aspetti in una classe operaio-borghese che indossa gonne, tacchi, maglioni (o felpe) e cinturoni dotati di tasche per utensili e guanti? Questi dubbi però Giorgio Armani, tra la sua linea principale ed Emporio, non se li pone perché si fida dei classici intramontabili, gli stessi che ha creato e che lo accompagnano nel suo intento di rinnovare il concetto di “eleganza” a cui ha contribuito.
La coolness di Diesel, MM6 e Missoni
Si contrappone, invece, radicalmente Diesel che ricorda alla città di Milano l’esistenza della cosiddetta coolness. Nel loro caso, questa riflette scenari catastrofici attraverso denim lacerato, poi ammorbidito da colori sgargianti e tessuti lucidi. Pure MM6 di Maison Margiela ricorda allo spettatore l’esistenza della coolness, ma differente poiché disimpegnata come i ragazzi che possono permettersi di prendere due cose dall’armadio, giocare con le stratificazioni e sembrare spontanei nella loro perfezione non-colorata, a tratti inquietante. Tutta l’opposto della coolness vivace di Missoni, che opta per colori e trame rassicuranti su abiti velati e camicette svolazzanti, azzardando con silhouette fresche e desiderabili. Oppure dello spirito californiano di Laneus.
La semplicità camuffata di Bottega Veneta
Attenzione: c’è spazio anche per la semplicità. Quella fatta di blazer sfiancatissimi, scolli a V che armonizzano spalle imbottite, gilet in pelle con tasconi dettaglio, maxi borse rettangolari e bluse smanicate ma lunghe. Insomma, la donna Calcaterra che sembra semplice ma in realtà è complessa dentro. Una semplicità, dunque, non tale, come afferma Bottega Veneta tra gonne in rafia, abiti in pelle dalle frange bicolore, trench mescolati a mantelle, spalline in perle e fantasie camaleontiche. Il risultato è un’estasiante collezione dai mille rimandi al mondo animale e al mondo intero, come dimostra la pavimentazione della sfilata, ideata dall’artista Claire Detallante, che raffigura una mappa tutta da guardare mentre si susseguono i look. A Matthieu Blazy piace fare proprio questo: giocare con mente e sogni, materiali e linee, tagli e dettagli, artigianato italiano e innovazione (sempre italiana). Alcuni infatti dicono sia il migliore.
Il cambiamento della moda
C’è però chi transita da un’estetica all’altra, da un’idea a tutto il contrario, ed è giustissimo se lo si ritiene opportuno. Blumarine abbandona gli anni Duemila in favore di un aspetto angelico che non rinuncia alla provocazione; Gcds si dedica a indumenti divertenti ma quotidiani nella loro delicata stravaganza che ricorda i colori del Napoli; Del Core riflette sul suo passato e sul suo futuro, decisamente più minimalista, negli spazi di Monterosa, l’edificio di Renzo Piano. Perché la moda è evoluzione, a tratti indecisione e disordine, come ha dimostrato la Milano Fashion Week per la stagione Primavera Estate 2024.
Giulio Solfrizzi
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