L’archivio digitale dedicato a Manuela Pavesi, storica fashion coordinator di Prada
Il giovane archivista Davide Rizzini ha raccolto il materiale che racconta Manuela Pavesi, figura fondamentale della moda italiana dagli Anni Ottanta in poi. Artribune ha esplorato il suo archivio
Nel 1973, l’approdo da Vogue Italia poteva essere agevolato attraverso la partecipazione a concorsi dedicati alle giovani promesse del settore. In questo contesto si distinse Manuela Pavesi (Mantova, 1949 – Milano, 2015) che non passò inosservata nel circolo delle signore eleganti e rivoluzionarie milanesi, dove incontrò Miuccia Prada. Entrambe aderirono all’estetica di Yves Saint Laurent, che le unì fino a farle lavorare insieme. Pavesi, infatti, è stata fashion coordinator di Prada, fino alla sua prematura scomparsa. Questo non ha offuscato una personalità eclettica e fuori dall’ordinario: il suo lascito è ora accessibile a molti grazie all’archivio digitale del giovane archivista Davide Rizzini. Artribune l’ha intervistato, per fare luce su materiali inediti.
Intervista all’archivista Davide Rizzini
Dimostri una sensibilità culturale per le memorie artistiche dell’editoria di moda italiana. Come hai scoperto Manuela Pavesi?
L’interesse per Manuela Pavesi è nato durante il mio percorso formativo presso l’Istituto Europeo di Design (IED). L’indagine iniziale ha generato una vera ossessione, spingendomi a recuperare i suoi lavori da archivi digitali e da riviste cartacee. Nonostante la pandemia abbia interrotto il mio progetto di tesi originale, l’idea di divulgare la sua eredità è diventata la mia missione principale.
Come hai recuperato i suoi lavori considerando la scarsità di crediti attribuiti alle redattrici di moda dell’epoca?
Effettivamente il recupero dei lavori di Manuela Pavesi è stato un compito impegnativo a causa della mancanza di attribuzioni nelle pubblicazioni dell’epoca. Il catalogo Bianca e Blu Monica Bolzoni si è dimostrato prezioso in questo contesto, fornendo un resoconto dettagliato di numerosi editoriali a cui Pavesi ha contribuito.
La storia della fashion editor Manuela Pavesi
Potresti approfondire il percorso di Manuela Pavesi nel campo della fotografia?
L’evoluzione di Manuela Pavesi come fotografa ha avuto inizio nel 1986, quando Helmut Newton le cedette la macchina per completare gli scatti destinati al calendario Pirelli. Fu un punto di svolta nella sua carriera, aprendo la strada a una serie di collaborazioni di prestigio con riviste come i-D, Purple e Self Service. Il suo lavoro come fotografa si è sempre mantenuto in sintonia con la sua visione originale di fashion editor, creando un connubio unico tra l’estetica visiva e l’immaginario narrativo. Un esempio è l’editoriale Mamory Keeper, pubblicato su Dazed nel 2011, che evoca un universo intriso di suggestioni legate ai luoghi della provincia mantovana e ai cortocircuiti estetici del suo immaginario.
La collaborazione con Helmut Newton ha contribuito alla sua evoluzione artistica?
La collaborazione ha conferito un’energia vibrante e una profondità emotiva distintiva alla sua produzione visiva. Ha portato alla pubblicazione di editoriali che sono passati alla storia e a campagne pubblicitarie per Blumarine che ne hanno definito l’estetica. Riguardo all’evoluzione artistica di Pavesi, credo che Helmut Newton sia stato importante perché l’ha incoraggiata a esplorare il territorio della fotografia mantenendo sempre una visione personale.
La definizione di “disobbediente e pioniera” caratterizza il contributo di Manuela Pavesi alla moda italiana. La sua consulenza per Miuccia Prada ha ampliato il suo impatto nel settore…
La sinergia con Miuccia Prada è rappresentata nel volume Prada a Milano. Fotografata da Albert Watson. L’influenza di Pavesi e il suo operato per la casa di moda si riflettono ancora oggi negli estetismi del marchio, dimostrando l’eredità della sua visione creativa.
Manuela Pavesi nell’archivio di Davide Rizzini
Puoi, invece, condividere ulteriori dettagli sul suo archivio di abiti?
Al momento dispongo di poche informazioni sull’archivio personale di Manuela Pavesi, ma l’aspetto visivo è stato documentato in varie riviste di settore. Prima della scomparsa, erano in corso piani per una mostra tributo a Mantova, che non si è concretizzata.
Arriviamo alla gallery, perlopiù inedita, concessa ad Artribune e che racconta tutto il lavoro di Manuela Pavesi. Com’è stata ragionata?
La gallery si focalizza sul suo ruolo di fashion editor e sulla collaborazione con importanti fotografi come Albert Watson, Deborah Turbeville, Gian Paolo Barbieri e Helmut Newton. Sono inoltre presenti alcune fotografie delle prime campagne pubblicitarie di Prada e Blumarine realizzate con Albert Watson e immagini tratte dallo speciale booklet intitolato Manuela Pavesi Portrait of a woman by thinning out the layers of her personal wardrobe, allegato a Pop magazine nel 2009. Ho ritenuto interessante inserire anche un’immagine da lei scattata per Casa Vogue dell’interno del suo archivio di abiti.
Le immagini tratte dagli editoriali tengono conto degli aspetti a mio avviso più caratterizzanti del suo lavoro. Spero che emergano la mescolanza di stili differenti, la particolare scelta di location come paesaggi di provincia, lo scouting di volti spesso non convenzionali e l’importanza di un archivio personale come strumento di lavoro e ricerca.
Alessia Caliendo
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