Il 2023 è stato un anno poco brillante per il mondo della moda 

Per un settore come il fashion, per sua natura con gli occhi puntati al futuro il 2023 non è stato un anno di grandi progressi. Sostenibilità, inclusività, diversità, etica del lavoro: nessun consistente passo avanti è stato fatto

Presentazioni. Nonostante gli stop and go subiti dalle passerelle durante il periodo della pandemia, il web non ha sostituito le presentazioni fisiche. Anzi. Il 2023 ha significato più presentazioni, più viaggi, più prodotti da esibire. Sono tornati a sfilare tutti anche quelli che avevano resistito più a lungo come Ralph Lauren, dallo scorso settembre di nuovo inserito nel calendario ufficiale della New york fashion week. Di più: se Dolce&Gabbana che ha deciso di presentare in sede la sua ultima collezione houte couture super brand come Chanel, Dior e Louis Vuitton hanno aggiunto nuove sfilate itineranti a quelle consuete: pre-collezione maschile a Hong Kong per Louis Vuitton, Mumbai è stato raggiunto da Dior, Manchester da Chanel. Lo stesso è accaduto per Carolina Herrera a Rio, Gucci a Seoul, MaxMara a Stoccolma, Hugo Boss a Miami, Balenciaga a Los Angeles. Milano e Parigi e New York non sono più i soli riferimenti validi? I brand del lusso si muovono verso nuove location: costi quel che costi. 

Louis Vuitton a Hong Kong Courtesy Louis Vuitton
Louis Vuitton a Hong Kong Courtesy Louis Vuitton

I grandi temi nella moda 

Inclusione dimensionale. Il cambiamento in termini di inclusività razziale si è visto (del resto rispecchia quello dei clienti che possono permettersi di sostenere i prezzi dei capi presentati) l’inclusione “dimensionale” è stata inesistente. L’icona della modella skinny sembra scolpita nella pietra: le taglie forti sono state mediamente lo 0,6% di qualsiasi show svoltosi tra febbraio e marzo. Per quelli tenutisi tra settembre e ottobre vale lo 0,9% con un misero 3,9% per taglie medie. Età avanzata?  Disabilità? Non pervenute. Il mito un po’ scemo (sono i boomer i primi consumatori della moda lusso) dell’eterna giovinezza non si discute, figuriamoci quello della perfezione fisica. 
Sostenibilità. Durante lo show alla COP28 tenuto come rappresentante del mondo della moda Stella McCartney ha proposto paillettes biodegradabili e pellicce vegetali. Ma come sia andata nel suo complesso l’adunata “petroliera” di Dubai lo sappiamo tutti. Al momento la ricerca di alternative ai materiali da sempre sotto accusa per le ricadute sulla sostenibilità langue. La produzione di Mylo, la pelle di fungo utilizzata e sostenuta proprio da McCartney nel 2021 e nel 2022, è stata interrotta. Renewcell, il più grande impianto di riciclaggio tessile esistente, smetterà di produrre presto. Per entrambi il problema è la mancanza di domanda dovuta a una insensibilità nemmeno tanto nascosta da parte di chi questi materiali dovrebbe sforzarsi di utilizzare.  

La questione del fast fashion 

Sovraproduzione. Il fashion ha continuato ad ignorare il suo problema più grande: una quantità enorme di oggetti prodotti inutili. I giganti del fast fashion non solo continuano a prosperare ma si muovono con sempre maggiore disinvoltura. Se Uniqlo e H&M investono a più non posso in elaborate azioni greeenwashing, Inditex ha assoldato grandi creatori di immagine moda come Steven Maisel o Tim Walker per annullare la distanza percettiva con la fascia dei prodotti lusso. Shein, l’azienda con sede a Singapore che vale il 50 % del del fast fashion globale, recentemente è stata valutata 66 miliardi di dollari e si appresta a presentare istanza per la quotazione in borsa: segno che questo modello di consumo è tutt’altro che in crisi. Lavoro Etico. Né sono diminuiti i problemi con le catene produttive delocalizzate da cui dipendono indifferentemente tutti brand moda. La no-profit Transparentem, ha recentemente pubblicato un’indagine che evidenzia come sia in atto una vera e propria schiavitù salariale nelle fabbriche di Mauritius. Qui producono tra gli altri marchi come Diesel, Armani e PVH, (Calvin Klein e Tommy Hilfiger): ma mentre alcuni di loro si sono rimboccati le maniche per porre rimedio alla situazione, da altri silenzio assoluto.  

Dior a Mumbai courtesy Dior
Dior a Mumbai courtesy Dior

I designer nel mondo della moda 

Balletto dei designer. La pratica si è intensificata. Ma se l’arrivo di Pharrell Williams da Louis Vuitton ha chiuso una pratica aperta da tempo gli altri otto nuovi incarichi prevedono una donna (Chemena Kamali da Chloé) e sette uomini con curricula per lo più intercambiabili.  
Per nessuno tra i grandi gruppi l lusso il 2023 è stato un anno particolarmente positivo, in particolare i listini borsistici hanno penalizzato Kering (Gucci, St. Laurent, Balenciaga…)  e a metà dicembre è arrivato il delistening di Farfretch, piattaforma (un tempo veniva definita l’Amazon della moda) affogata in un mare di debiti da 500 milioni di dollari e ingoiata dall’ e-commerce sudcoreano Coupang (ancora una volta una società asiatica). Il fashion, insomma, comprensibilmente nervoso di fronte a un contesto politico ed economico incerto, ha seguito le solite traiettorie e pare nella stessa posizione dove lo avevamo lasciato nel 2019, prima dell’esplosione della pandemia.  

Aldo Premoli 

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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